giovedì 6 maggio 2010

Era il 6 maggio...

Solo per ricordare ed essere vicino a tutti quelli che in Italia e nel Mondo hanno sofferto e soffrono ancora a causa di eventi naturali considerati catastrofici... Penso ai terremotati dell'Aquila, soprattutto, ma anche a quelli di Haiti e del Cile...  dico a tutti di non perdere la Speranza! Abbiate il coraggio di chi sa che in "certe" circostanze si deve lottare, abbiate la fede per superare i momenti difficili e magari di sconforto, ma soprattutto vi sostenga l'orgoglio interiore che spinge ad "agire", a "fare", ad "andare avanti".


La Giornata
Era il 6 di maggio di 34 anni fa, il 1976, un giovedì, proprio come oggi, in un paese a nord di Udine, Reana. Ero un ragazzo, mancavano solo 10 giorni al mio 16° compleanno. Mi ricordo le giornate calde ed afose di quei giorni, assolutamente estive, ma anche così "strane" e "innaturali"...

Frequentavo la seconda superiore allo Zanon di Udine, istituto per ragionieri, ma quando alle due del pomeriggio sono tornato a casa non potevo ancora sapere che per me e per tutti i miei compagni di classe quello sarebbe stato il nostro ultimo giorno di scuola per quell'anno.

Ero un ragazzo molto impegnato, e proprio di giovedì pomeriggio mi toccava di fare due cose, una dietro l'altra. Per prima cosa sono andato a lezione di musica, suonavo la tromba nella banda del paese che si era "ricostituita" solo un anno prima ed io ero molto orgoglioso di farne parte. Non potevo ancora sapere che in quell'edificio al centro del paese, sede della neonata banda musicale, non avrei mai più potuto entrarci per molti anni, quasi 15 passarono da quel giorno per poter tornare a frequentare quell'edificio che oggi si trova proprio di fronte all'ufficio postale, ancora sede della Banda Musicale di Reana, ma anche sede di una struttura teatrale...

Ancora oggi penso alle persone di cui sono orgoglioso di essere stato amico, amministratori pubblici e semplici persone impegnate nel sociale, che hanno pensato di rendere agibili gli edifici pubblici o di pubblica utilità prima delle loro stesse case, seppur così seriamente danneggiate. I giorni e gli anni che sono seguiti da quel giorno per me sono stati una vera e propria "lezione di vita"... non fatemi pensare troppo, mi stanno venendo le lacrime agli occhi.

Finita la lezione di musica per un attimo sono rientrato a casa... mi muovevo sempre e solo in bicicletta, non in motorino o addiritura con le mini-car come i ragazzi di oggi, io e quasi tutti i miei amici avevamo solo la biciletta per muoverci, insomma ci tenevamo in esercizio...

Anche quel giorno ho percorso in bici i quattro chilometri che separavano casa mia dal campo sportivo di Tricesimo. La nostra era una squadra di calcio straordinaria, vincevamo quasi sempre, ma soprattutto stavamo bene insieme, un allenatore, Carlo Virilli, bravo a farsi rispettare, ma anche un amico a cui potevi confidare "certi problemi". In quella squadra così speciale c'era anche un giovane promettente, certo Luigi De Agostini, che quando aveva il pallone sul sinistro non glielo portavi via... Eravamo tutti orgogliosi di lui quando un paio di anni dopo è stato chiamato dall'Udinese, ma lo siamo stati molto di più quando è rientrato dopo aver giocato con i colori della Nazionale a Italia '90. Alla fine di quell'allenamento ci siamo dati appuntamento per la domenica mattina, avevamo una partita in trasferta sul campo della Tarcentina, a Molinis. Nessuno di noi poteva sapere che quello era il nostro ultimo allenamento e che per molti mesi non ci saremo mai più ritrovati insieme. Alle otto di quella sera, quando ci siamo salutati, non potevo immaginare che molti di quei compagni avebbero perso la casa soltanto un'ora dopo. A nessuno di noi è passato per la testa che solo tre giorni dopo, proprio nella domenica della nostra partita contro la Tarcentina, proprio quel campo sportivo a Molinis sarebbe diventato una tendopoli... e che lo stesso campo sportivo di Tricesimo in cui ci eravamo appena allenati, anche lì un'altra tendopoli solo qualche giorno più tardi.

Quella sera del 6 maggio di 34 anni fa rifeci il percorso inverso verso casa, decisi di prendere la statale, la strada più breve, sempre in bicicletta con la borsa sportiva appesa al manubrio. Dal campo di calcio arrivai all'incrocio del Boschetti (per chi conosce quei posti forse è più facile capire), da lì andando dritti a 50 metri si arriva alla piazza della Chiesa dove c'è anche il municipio di Tricesimo. Non potevo sapere che poco meno di un'ora dopo, proprio lì, la Chiesa sarebbe parzialmente crollata assieme ad alcune case vicine, e che proprio in quel posto solo un'ora dopo due persone che passavano nella stradina che fiancheggia quella piazza sarebbero morte a causa dei crolli... e che in quella stessa Chiesa poi ricostruita, 9 anni dopo mi sarei anche sposato.

Non ho proseguito verso la chiesa ma ho svoltato a destra imboccando proprio la statale, sono arrivato all'altezza della ormai ex-stazione delle corriere di Tricesimo (oggi c'è un grande negozio di abbigliamento). Chi poteva immaginare che proprio lì di fronte abitava una ragazzina, che in quel giorno aveva ancora 10 anni, e che solo 9 anni dopo sarebbe diventata mia moglie.

Continuai dritto su quella strada fino al Morena, ricordo che c'era poco traffico ma respiravo un insolito calore estivo, nonostante si fosse ancora a inizio maggio. Come potevo sapere che la strada che stavo percorrendo in quel momento poco dopo sarebbe stata letteralmente presa d'assalto da ambulanze, vigili del fuoco, polizia, carabinieri, e mezzi di soccorso di ogni tipo. Già come potevo sapere...

Girai a sinistra verso Reana. Arrivai a casa poco dopo le otto e mezzo di quella sera, mia mamma aveva lasciato la cena per me ed era un po' preoccupata perché avevo fatto più tardi del solito, i miei due fratelli più piccoli erano già in camera loro, mio papà e l'altro fratello erano ad una riunione in canonica perché si stava organizzando la sagra paesana che tradizionalmente inizia una settimana prima di ferragosto e finisce proprio il 15 agosto.

Quando mi sono seduto a tavola ricordo che ero solo, mia madre si era già ritirata in camera sua. In casa avevamo una televisione, ovviamente in bianco e nero, ma era sempre spenta, e io non l'ho accesa perché pensavo solo che il mattino dopo dovevo alzarmi presto per andare a scuola.

Quel preciso interminabile Minuto
Ormai erano arrivate le fatidiche ore nove di quella sera...

Ricordo come fosse adesso che sentii un gran boato, sordo e molto forte, notai il lampadario del soggiorno che si muoveva ...non potevo immaginare, pensavo a qualcosa di accaduto nella vicina officina meccanica... seguirono interminabili secondi di silenzio assoluto... poi improvvisamente iniziò a tremare tutto, ero incredulo e non capivo cosa stesse succedendo, ero convinto che tutto sarebbe finito presto, avevo un po' di paura, volevo che finisse presto, ma invece non finiva mai e in casa stava cadendo di tutto... ho fatto fatica ad alzarmi dalla sedia... sono andato verso la camera di mia mamma, ma lei era già in corridoio così come i due fratelli più piccoli... la luce andò via, tutto era buio, il pavimento continuava a muoversi e noi facevano fatica a raggiungere la porta di ingresso, lì a due metri ma irragiungibile. Sentivo un rumore continuo e sordo inframmezzato dal rumore di vetri rotti, piatti e vasi di fiori che cadevano a terra... mia mamma continuava a dire "Ce sucedial, Florindo ce sucedial?" (espressione in friulano per chiedere cosa sta accadendo)... una domanda a cui in quel momento non potevo né avevo la forza di rispondere. Finalmente tutto si è fermato e allora siamo riusciti ad aprire la porta e ad uscire in cortile.

Tutti eravamo spaventati perché non si capiva esattamente quello che era accaduto... dalle case vicine si sentiva parlare ad alta voce, qualcuno gridava. Anche a distanza di anni quando penso a questo "esatto istante" (noi eravamo salvi nel cortile) non posso nemmeno immaginare a quello che, in quello stesso "esatto istante", ad altri era accaduto solo pochi chilometri più in sù (verso Tricesimo e oltre, a nord). Ai mille morti, alle case crollate, alla gente intrappolata sotto le macerie, ai feriti... a tutto.

La prima Notte
Intorno a noi tutto era buio, ma ricordo la luce della Luna e ricordo l'odore dell'aria come di un fiammifero acceso. Mia madre disse "Cuissà to pari, e to fradi" (espressione in friulano, si preoccupava di papà e dell'altro fratello che erano andati in paese a quella riunione)... Quel 6 maggio del 1976 non c'erano ancora i cellulari... Dissi alla mamma di restare in cortile, presi la bicicletta e mi diressi verso il centro del paese, verso la canonica. Per strada c'era gente... più avanti alcuni calcinacci in strada... poi ho visto la Chiesetta, rimasi "impietrito", la parte anteriore, quella che guarda verso la Centa, era completamente caduta, così il piccolo campanile e le sue campane. Sull'asfalto un grosso cumulo di pietre, sassi e tegole che ostruiva il passaggio ad una macchina... E' il primo edificio crollato che vidi, purtroppo in seguito ne ho "dovuti vedere" moltissimi altri.

Finalmente ho visto alcune persone nel cortile della Canonica che era lì di fronte, andai incontro a quel gruppo quasi silenzioso, tra di loro c'era anche il papà e Maurizio (mio fratello). Timidamente chiesi se era "tutto a posto", una flebile voce mi rispose in friulano "si, siamo tutti usciti". Ad un certo punto si ripresero e iniziarono a preoccuparsi della propria famiglia e della propria casa... e in un attimo sparirono tutti.

Passammo gran parte di quella notte nel cortile di casa, e ogni tanto si faceva un giro nelle case vicine per vedere se anche gli altri stavano bene, sembrava che lì intorno stessero tutti bene, a parte lo "spavento".

La mamma iniziò subito a preoccuparsi dei "suoi", i nonni e gli zii che abitavano a Tricesimo, un po' tutti si pensava ai vari parenti e amici, il buio di quella notte era lacerato dall'incessante e continuo rumore di sirene che andavano e venivano su quella statale a 500 metri in linea d'aria e che io avevo percorso solo poco prima, ancora non si sapeva nulla della gravità dell'accaduto, né cosa era realmente successo.

Ad un certo punto della notte (forse erano le due o le tre, non ricordo bene) ritornò la luce e allora con molta prudenza il papà rientrò in casa e noi a seguirlo subito dopo. Abbiamo provato a telefonare ai nonni, ad altri parenti, ad amici, nulla, la linea non dava segni di vita, e quindi la preoccupazione per loro cresceva. Per terra molte cose, bicchieri e altri sopramobili rotti, il piatto dove stavo mangiando caduto, mobili spostati anche di più di un metro, ma la televisione quasi nuova miracolosamente al suo posto... e così scoprimmo dai vari telegiornali in edizione straordinaria che "un forte terremoto ha colpito il Friuli, in particolare la zona a Nord di Udine e la zona collinare", e poi "si segnalano ingenti danni, edifici crollati nel gemonese e nel Majanese", e così via via tutti noi si prese coscienza sempre di più di quello che era realmente successo.

All'inizio le notizie parlavano di qualche decina di morti, e di qualche decina di dispersi... Alla fine si sono contati quasi mille morti, 350 solo a Gemona.



Con i ricordi di quel 6 maggio chiudo qui...
E' stata una sofferenza personale ricordare, volevo scrivere questi pensieri in occasione dell'anniversario, e volevo scrivere poche righe... due giorni dopo sono ancora qui a pensare, e più ci penso e più eventi ed episodi ormai sopiti affiorano dalla mia mente... potrei scrivere un libro (e forse lo farò per il prossimo anniversario). Penso solo a quell'estate del 1976, alla straordinaria solidarietà ricevuta da ogni parte del mondo, agli alpini, ai soccorritori, ai volontari giunti qui da ogni dove; alla gente friulana che, seppur colpita, comunque aiutava chi aveva più bisogno, penso a quell'estate iniziata in anticipo alle ore 9 di sera di quel 6 maggio, poi un continuo tremare della terra, un tremore praticamente quotidiano, penso a quell'estate poi finita il 15 di settembre con una scossa ancora più forte, ma "per fortuna" (dicono) più breve, quel poco che era rimasto in piedi crollò del tutto. Non crollò la Tenacia e la Speranza dei Friulani che seppero reagire come in fondo dovrebbero fare tutti quelli che, anche individualmente, subiscono un evento negativo o tragico.

Il Friuli Oggi
Ma adesso, 34 anni dopo, voglio pensare al Friuli com'è diventato:

  • Non c'è più il confine della così detta "Cortina di Ferro" a 30 chilometri da qui, adesso è possibile girare l'Europa senza praticamente vedere barriere e gendarmi.
  • Nel 1976 avevamo a che fare spesso con lo Scellino Austriaco, il Dinaro Jugoslavo, e la Lira Italiana; adesso tutto intorno a noi c'è solo un'unica moneta: L'Euro... E' fantastico!
  • Da regione di confine, il Friuli è diventato una regione al centro dell'Europa.
  • Siamo il Nord-Est del Nord-Est, e il Nord-Est in questi ultimi anni è diventato il simbolo dell'Italia che lavora, una terra di persone che sanno "rischiare", poche grandi fabbriche, ma una miriade di aziende a carattere familiare. Insomma si vive bene, nonostante la crisi.
  • Da un'economia prevalentemente agricola e basata solo su grandi aziende industriali, si è trasformata in un'ecomia a carattere artiginale basata sui distretti organizzati (la sedia a Manzano, i coltelli a Maniago, il prosciutto a San Daniele, i mobili a Tricesimo e Brugnera, ecc...) e di tipo commerciale (ci sono più centri commerciali solo a nord di Udine che in tutta l'intera città di Roma). Quella statale di cui parlavo prima (Statale 13 Pontebbana) è stata ridenominata "La Strada del Commercio".
  • Da terra di emigrati, qui praticamente in ogni famiglia c'è un parente che è, o è stato all'Estero (mio zio in Canada, mio suocero in Venezuela e Svizzera, mia zia paterna in Olanda); questa terra ora è tra le regioni italiane a più alta densità di immigrati (il 14% della popolazione iscritta all'anagrafe di Udine è straniera).
  • Si parla di "Modello Friuli" come esempio da imitare in tutto il Mondo. I paesi che furono distrutti sono stati ricostruiti negli stessi luoghi, la case e le villette più belle di prima. Gente che non ha aspettato che tutto cadesse miracolosamente dall'alto, ma che si è data da fare e che ha messo mani di persona nella ricostruzione delle proprie abitazioni.

Il Duomo di Venzone dopo il sisma
L'efficacia e la gestione dell'emergenza ha gettato le basi per quella che oggi è la "Protezione Civile".

C'è un posto, a Venzone, che comprende il Duomo e le mura di cinta. Crollò tutto, rimase solo un immenso cumulo di pietre in terra e di ruderi pericolanti, tutti pensavano che era impossibile ricostruire di nuovo com'era. Ebbene si fece un autentico miracolo, da prima fu numerata ogni singola pietra, una per una, e poi ogni singola pietra fu rimessa esattamente dov'era prima che crollasse. Il Duomo e le vecchie mura ora sono esattamente uguali a prima, quel posto ora è considerato patrimonio mondiale dall'Unesco. Per me quel luogo è, e rimane, un simbolo di tenacia e di speranza, un simbolo positivo che l'impossibile può diventare possibile.

Vivere il proprio sogno significa anche sapere che, ogni singolo individuo, ha in sè la forza per superare qualsiasi ostacolo, e che nulla è "impossibile", e quando questa "forza interiore" è condivisa da un intero popolo, seppur scatenata da un evento tragico come il terremoto, trasforma il dolore in volontà, e la volontà di rinascita dei friulani è stata molto più grande di qualsiasi ostacolo.


Oggi il Friuli è senza dubbio migliore di prima... anche se gli adolescenti di allora sono diventati degli attempati cinquantenni come me, ma quello che lasciamo ai nostri figli, alle nuove generazioni, è senz'altro una terra felice e una regione straordinaria.

Il Duomo di Venzone ricostruito
A Mimmo
Infine un pensiero per Mimmo (un amico che non ho mai incontrato personalmente, ma che ho sentito sempre particolarmente vicino per quanto accaduto alla sua città), alla sua famiglia, alla città dell'Aquila, agli abruzzesi. Siate sempre orgogliosi della vostra terra abruzzese, come io lo sono del mio Friuli. L'augurio che un giorno anche voi possiate affermare con convinzione e assoluta serenità "abbiamo ricostruito la nostra città e i nostri paesi più belli di prima e ora l'Abruzzo è una terra migliore".



Articolo di Florindo Dal Bello


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domenica 4 aprile 2010

La Firma di Dio nella Bibbia

Oggi è il giorno di Pasqua e ho deciso di rendere pubblico un articolo molto accurato e puntiglioso tratto dal libro di Karl Sabiers “Nuove Straordinarie Scoperte” – Ediz. ERA. Esso dimostra in maniera seria, scientifica e anche matematica come il numero sette (7) compaia in modo sorprendente in tutti libri della Bibbia. Non voglio (né posso) convincere nessuno, ma semplicemente invito tutti a leggere l'intero articolo: per chi crede potrebbe essere una naturale "conferma", per chi non crede solo una  banale "curiosità", ma tutti saranno senz'altro sorpresi dalle tante e straordinarie coincidenze che si nascondono nei sacri testi, sia in quelli del Vecchio Testamento che in quelli del Nuovo Testamento.
Il numero sette è decisamente importante nella Bibbia, un libro che senz'altro possiamo definire "ispirato", scritto in ben 1.600 anni di storia dell'Umanità (dalla Genesi all'Apocalisse di San Giovanni). Il numero sette è straordinariamente presente nei testi nonostante tutti questi secoli, esso è il simbolo di Dio e della Sua perfezione e completezza.
Fin dal racconto della creazione con cui si apre il Sacro Libro, si nota come il settimo giorno di riposo, carico della benedizione divina, sia dato come un sigillo alla creazione stessa.
In Egitto vi furono, al tempo di Giuseppe, sette anni di abbondanza, seguiti da sette anni di carestia. Quando Gerico fu conquistata dagli Israeliti, dopo l’esodo, il popolo e sette sacerdoti, che portavano sette trombe, marciarono intorno alla città per sette giorni consecutivi; il settimo giorno marciarono intorno alla città per sette volte. Ogni sette anni la terra in Palestina non doveva essere coltivata (il settimo anno era chiamato appunto “anno sabatico” perché la terra veniva fatta riposare) e, dopo sette cicli di sette anni, il cinquantesimo anno era un giubileo.
Naaman, generale del re di Siria, che andò a consultare il profeta Eliseo a causa del fatto che era malato di lebbra, fu da questi mandato a bagnarsi nel fiume Giordano per sette volte. Salomone impiegò sette anni a costruire il tempio all’Eterno e, alla sua inaugurazione, indisse una festa che durò sette giorni.
Nell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, tutto si svolge attorno a questo numero: sette chiese, sette candelabri, sette suggelli, sette trombe, sette coppe, sette stelle, sette spiriti... Il numero stesso dell’Anticristo, 666, ricorda al lettore, per contrasto, l’importanza della firma divina: dove essa è assente vi è il massimo dell’imperfezione (il 6 ricorda i giorni della creazione senza la benedizione di Dio avvenuta nel settimo giorno).
E’ dunque universalmente riconosciuto che il numero sette ricorre nella Bibbia in modo del tutto particolare e più frequentemente di ogni altro numero.

Per scaricare l'intero articolo utilizzare il link sottostante.
La Firma di Dio nella Bibbia: il numero sette

...e per restare in tema una straordinaria canzone ispirata al Libro dei Salmi.
Rivers of Babylon è una canzone spiritual scritta nel 1970 da Brent Dowe e Trevor McNaughton, del gruppo giamaicano dei Melodians. Il testo è il Salmo 137 della Bibbia (nella versione della Bibbia di Re Giacomo), che tratta dell'esilio del popolo ebraico a Babilonia dopo la conquista di Gerusalemme nel 586 a.C.. Viene descritta la nostalgia degli ebrei che, seduti piangenti sulle rive dei fiumi di Babilonia (il Tigri e l'Eufrate), ricordano Gerusalemme e si rifiutano di cantare un canto gioioso in terra straniera.
La versione più popolare di questa canzone è quella di genere disco dei Boney M., del 1978, che è rimasta per 5 settimane in vetta alle classifiche del Regno Unito e di altri Paesi, vendendo milioni di dischi e vincendo diversi dischi di platino.
Dopo i Boney M sono stati fatti diversi remake, e la canzone è stata tradotta in varie lingue.

Salmo 137
Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion.
Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre.
Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportati o canzoni di gioia, i nostri oppressori: "Cantateci i canti di Sion!".
Come cantare i canti del Signore in terra straniera?
Se ti dimentico, o Gerusalemme, paralizza la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.
Ricordati, Signore, dei figli di Edom, che nel giorno di Gerusalemme dicevano: "Distruggete, distruggete anche le sue fondamenta".
Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto!
Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra!


venerdì 12 marzo 2010

"Il mio primo Lancio"

Pisa, lunedì 3 dicembre 1979
Un giorno Straordinario.
in quel giorno ho vissuto il mio Sogno, il primo di tanti!
Finalmente dopo due mesi di duro addestramento e sacrifici è arrivato il grande giorno. Questa mattinata è stata così irreale e indefinibile, non potrei descrivere le mie emozioni. La sveglia avvenuta un'ora prima del solito, poi alle 7.30 saliamo sui camion che ci portano all'aeroporto di Pisa. Appena arrivati i direttori di lancio ci dispongono su due file in base all'ordine di uscita, ritiriamo i paracadute, ci imbraghiamo... C'è "Zig 3" (attesa del miglioramento delle condizioni di visibilità), ma dopo un'attesa che è sembrata interminabile, finalmente si sale sull'aereo, un C130 che ci porterà in zona lancio, ad Altopascio. Per me è anche la prima volta che salgo su un aereoplano, un'emozione in più. Alle 11.30 si parte, si sale verso il cielo, un cielo perfettamente azzurro, straordinariamente terso. Guardo dall'oblo e vedo scorrere sotto di me un paesaggio che sembra un meraviglioso plastico. Io sarò l'ultimo ad uscire... Guardo gli altri commilitoni, ognuno ha i suoi pensieri, le sue sensazioni, per tutti noi è il primo lancio. Qualcuno manifesta apertamente la propria paura, qualcun altro cerca di nasconderla, altri ancora parlano d'altro, forse per allontanare la tensione.
Ecco, i portelloni dell'aereo si aprono, entra un filo di aria fresca, siamo in zona e ci stiamo allineando alla perpendicolare di lancio. La prima sortita viene lanciata, poi la seconda, la terza, un altro giro... tutto si svolge così in fretta, ti concentri solo su quello che devi fare. Non posso descrivere i miei sentimenti in quel magico momento.Guardo l'ora, è mezzogiorno e 14 minuti... Un attimo dopo sono solo in mezzo al cielo, attraversato da una brezza di vento, tutto intorno il silenzio, sorretto solo da un pezzo di tela a forma di ombrello, il mio paracadute.
Le sensazioni si susseguono a ritmo frenetico, una gioia immensa pervade il mio cuore, l'emozione e la meraviglia non hanno confini. Non c'è tempo di pensare alle cose che ti hanno insegnato, ma solo di goderti un momento così speciale. Ti senti immerso nell'infinità del Mondo, ti senti fragile ma nello stesso tempo assorto dalla pienezza della felicità.
Guardo giù e vedo il brulicare dei paracadute, i paracadute di quelli "saltati" dall'aereo prima di me; poi vedo che il prato dove toccherò terra si avvicina, ritorna la lucidità, faccio un atterraggio perfetto. Non so quanto tempo è passato da quando sono uscito dall'aereo, non so per quanto tempo sono rimasto a galleggiare nell'aria, non mi importa, so solo che è stata la più bella esperienza della mia vita.
La gioia è troppo grande e non si può descrivere. Ripiego il paracadute e arrivo nel punto di raccolta, bevo una bibita e finalmente mi rilasso. Qualcuno è andato finire sugli alberi, a qualcuno si è avvitato troppo il fascio funicolare all'uscita dall'aereo, ma ci siamo tutti e nessuno si è fatto male.
Alle tre del pomeriggio il rientro in caserma. Trovo Paolo, mio vicino di branda, lui non ce l'ha fatta ad arrivare al lancio e adesso viene trasferito in fanteria, andrà a Codroipo, vicino a Udine, insomma proprio dalle mie parti. Per me è la terra di casa, ma per un siciliano come lui quella è la terra dell'esilio. Comunque non dimostra di essere troppo deluso. Telefono a casa, risponde la mia mamma, un nodo in gola mi impedisce di raccontare esattamente quello che ho passato in questa straordinaria giornata.
Per gustare al massimo questo giorno sono uscito in libera uscita da solo, senza i soliti amici. Ho camminato tra i luoghi turistici di Pisa guardando le persone, sorridendo a ragazze che non conoscevo, in molte mi hanno ricambiato quel sorriso. Un'aura luminosa mi circonda, la vedo anch'io e se ne accorgono tutti quelli con cui entro in contatto. Mi sento diverso, mi sento speciale, ho superato una grande prova, ora sono un uomo migliore... Voglio dire migliore nello spirito, migliore nei sentimenti. Sono sensazioni vive che fanno riflettere anche sul senso della vita, sulle meraviglie del mondo che ci circonda... e sul suo creatore.
Domani il secondo lancio, poi il terzo. Saranno altri due giorni straordinari, e finalmente avrò conquistato il mio brevetto di parà.
(dal mio diario, avevo 19 anni)