martedì 9 novembre 2021

Niger, incendio in una scuola. Muoiono 26 bambini

Le fiamme hanno distrutto una scuola costruita con la paglia nel centro della città meridionale di Maradi. 26 bambini sono morti, decine gli ustionati.

Orrore in Niger
, dove almeno 26 bambini sono morti in un rogo della loro scuola di paglia e legno. È successo a Maradi nel sud del Paese. "È un incendio che ha decimato una scuola ma non abbiamo ancora un bilancio definitivo", ha dichiarato Issoufou Arzika, segretario generale del sindacato degli insegnanti.

È terribile il bilancio dell'incendio divampato nella scuola. Oltre ai 26 morti accertati, ci sono circa 80 bambini rimasti ustionati. Il governatore regionale Chaibou Aboubacar ha comunicato all'agenzia stampa Dpa che le cause del rogo non sono ancora note.

Le fiamme hanno distrutto tre classi della scuola Afn, un edificio di legno e paglia nel centro della città meridionale di Maradi, capitale economica del Niger. Sul posto sono intervenuti i pompieri, aiutati dalle forze dell'ordine e la popolazione locale.

Il Niger, con i suoi 25 milioni di abitanti, è uno dei paesi più poveri del mondo e, secondo i dati dell'Onu, ha fra i più bassi tassi di alfabetizzazione dell'Africa. Le scuole sono insufficienti e spesso si tratta di costruzioni precarie di legno, paglia e lamiera. In alcune zone rurali, le lezioni si svolgono all'aperto, all'ombra degli alberi. L'anno scorso, 20 bambini sono morti nell'incendio di un'altra scuola a Niamey, la capitale. Le autorità avevano allora annunciato un piano di edilizia scolastica.


domenica 7 novembre 2021

Madagascar. Emergenza alimentare per la prolungata siccità

Nella Grande Isola il primo caso di carestia legata alla crisi climatica

Nel sud del paese quattro anni di siccità hanno azzerato le capacità di sopravvivenza di almeno 1,3 milioni di persone, con circa mezzo milione di bambini che soffrono di malnutrizione. Ma è tutto il continente a pagare il prezzo più alto dei cambiamenti climatici in atto.

Quello che sta avvenendo nel sud del Madagascar può essere considerato il primo caso di carestia legato alla crisi climatica. È quanto ritiene l’Onu, che sottolinea che questo sia l’unico luogo oggi al mondo in cui condizioni di carenza alimentare di tale portata sono riconducibili solo al clima e non ad un conflitto. Le carestie in altre parti del mondo, come lo Yemen, il Sud Sudan o la regione del Tigray, in Etiopia, sono infatti il risultato indiretto di conflitti armati.

Il Programma alimentare mondiale, braccio operativo delle Nazioni Unite, sta lanciando l’allarme da mesi ormai, mentre già da un anno la fame imperversa e con tutta probabilità si aggraverà nei prossimi mesi. A meno che non si intervenga con aiuti massicci alla popolazione. Una toppa in un vestito che si sta lacerando. Ma almeno salverebbe vite umane.

Va considerato che lo stato di siccità perdura da ormai quattro anni e alla perdita dei raccolti non si può più supplire (e ormai da tempo) con scorte. A determinare l’estrema siccità, che si è sommata negli anni scorsi alle tempeste di sabbia e alle invasioni di locuste, sarebbe il riscaldamento globale, di fatto fuori controllo.

Almeno 1,3 milioni di persone (ma secondo alcuni sarebbero molti di più) hanno bisogno di assistenza alimentare di emergenza, di queste già 30mila sono colpite dalla carestia. Circa mezzo milione di bambini nella regione soffrono di malnutrizione e 110mila rischiano di perdere la vita se non riceveranno subito assistenza.

Molte le testimonianze di persone che per sopravvivere mangiano qualunque cosa: dagli insetti ai fiori dei cactus rossi, a ogni tipo di tubero. E la stagione di magra, quella che va dalla semina ai raccolti (di cui ora pare non ci sia grande speranza), è appena cominciata. Ovviamente tale situazione, aggravata dalla pandemia e dall’isolamento che questa ha determinato, si ripercuote su vari ambiti della vita quotidiana, dalla salute all’istruzione, visto che molti bambini non vanno più a scuola.

Secondo il Programma alimentare mondiale servono almeno 69 milioni di dollari per finanziare quegli aiuti umanitari che sono indispensabili per affrontare (anzi, in realtà per tamponare) una tale situazione di emergenza. Il Madagascar, quarta isola più grande del mondo, è oltretutto particolarmente esposto ai cicloni per la sua posizione geografica nell’Oceano Indiano.

Si calcola che in media, 1,5 cicloni colpiscono la costa malgascia ogni anno e che ognuno di questi mega-eventi colpisca in media 700mila persone. Ora, dicono i climatologi, questi numeri stanno aumentando a causa del riscaldamento globale. La regione del sud ne risulta particolarmente colpita. E si tratta dell’area più povera del paese che soffre di una cronica mancanza di infrastrutture e investimenti pubblici.

Ma nel complesso è tutto il paese a dover fare i conti con una situazione difficile, basti pensare che il 77% della popolazione vive in condizioni di estrema povertà e ancora un 77% della popolazione urbana vive in baraccopoli. Anche qui, come nelle aree colpite da siccità, anche se per motivi diversi, scarseggia l’acqua così come l’elettricità, i servizi igienici e sanitari. Mentre la scarsità di cibo, causata dalla mancanza di mezzi, determina una condizione di malnutrizione acuta per migliaia di bambini.

L’Africa il continente più colpito

Oggi è il Madagascar. Domani sarà un altro paese, altre popolazioni. Nessun presagio di disgrazia a buon mercato. Facciamo parlare le osservazioni e le analisi scientifiche. L’ultimo decennio in Africa è stato il più caldo mai registrato (temperatura di circa 1,2°C più alta della media) e si prevede che molti paesi, certamente quelli fino a 15 gradi di latitudine dall’equatore, sperimenteranno (e stanno sperimentando) ondate di calore più frequenti.

In particolare, Camerun, Guinea Equatoriale, Gabon, Repubblica del Congo, le regioni costiere dell’Angola settentrionale e della Repubblica democratica del Congo, ma anche, in Africa orientale, Uganda, Etiopia e Kenya. Una situazione legata al manifestarsi di eventi climatici estremi, aumentati nell’Africa subsahariana più velocemente che nel resto del mondo. Eventi che minacciano già 120 milioni di persone, secondo l’ultimo report dell’Organizzazione meteorologica mondiale.

Una prova di tutto ciò è data dallo scioglimento dei ghiacciai dell’Africa orientale, che subiranno la completa deglaciazione in soli due decenni a partire da ora. Rispetto agli anni ’70 la frequenza della siccità è quasi triplicata, le tempeste quadruplicate e le inondazioni decuplicate. Più del 20% delle inondazioni e più di un terzo delle siccità registrate sul pianeta negli ultimi dieci anni si sono verificate nell’Africa sub-sahariana.

Tutto questo si ripercuote sulle colture e sulla capacità dell’essere umano di gestire una terra costantemente violentata e incapace di adattarsi velocemente a situazioni climatiche così estreme. Un aumento della temperatura di 1°C, è associato a una diminuzione del 2,7% della produzione agricola.

Gli effetti saranno ancora più gravi nel continente africano, appunto, dove il sostentamento di milioni di famiglie dipende esclusivamente da attività sensibili ai fenomeni meteorologici: colture, allevamento, pesca. La diminuzione della produzione alimentare alla fine vuol dire la fuga, il tentativo di milioni di persone di cercare rifugio e salvezza altrove.

È stato calcolato che, nello scenario peggiore del riscaldamento globale, più di 86 milioni di persone nell’Africa sub-sahariana si metterebbero in marcia, diventando di fatto degli sfollati. E con 19,3 milioni di sfollati, ovvero circa il 9% della popolazione, si stima che sarà il nord-africa la regione più colpita, in gran parte a causa della crescente scarsità d’acqua.

Se il trend attuale, fatto di crisi climatiche a cui si aggiungono quelle sociali, dovute ai conflitti e anche alla pandemia, continuerà, tra meno di dieci anni 840 milioni di persone nel mondo saranno affamate. Oggi sono 768 milioni, mentre 1 miliardo di persone non hanno cibo a sufficienza. Ovviamente si trovano tutti nei paesi a basso e medio reddito.

Le aree più critiche, evidenziate nella HungerMap, oltre a quelle in conflitto, l’India e zone del sud-est asiatico, si trovano nel continente africano. 8 dei 15 paesi in condizione di grave crisi alimentare sono in Africa. E non vanno dimenticati i “moltiplicatori di crisi”, i conflitti appunto, come quello in corso nel Tigray, quello civile in Camerun (che ormai va avanti da 5 anni) o le situazioni di instabilità, come quella in Sudan e nel Sahel, o dove sono molto attivi gruppi terroristici, come in Nigeria.

Secondo l’ND-GAIN Country Index, dei 20 paesi ritenuti più vulnerabili ai cambiamenti climatici, 16 si trovano in Africa. E la maggior parte di questi vive anche condizioni di forte precarietà sociale, sul fronte economico e della sicurezza.


lunedì 28 giugno 2021

Mafia nigeriana in Italia. Black Axe, trenta arresti in tredici province

In affanno la mafia nigeriana della Black Axe Confraternity
Una trentina di arresti in tredici province

L’importante operazione avviata da un paio di anni dalla squadra mobile di L’Aquila sulla mafia nigeriana dei Black Axe e condotta in ben tredici province con una trentina di arresti e perquisizioni domiciliari, è la conferma di una accentuata attenzione investigativa nei confronti di una criminalità divenuta con il passar degli anni sempre più intraprendente e pericolosa.

Un centinaio i capi di imputazione rilevati dalla DDA abruzzese tra i quali il traffico di stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, lo sfruttamento della prostituzione, le truffe informatiche (ambito nel quale i nigeriani sono grandi esperti), il riciclaggio attuato anche mediante la compravendita di bitcoin.

I Black Axe si confermano, dunque, uno dei quattro cults (insieme ai Supreme Eiye Confraternity, ai Maphite e ai Vikings) a connotazione mafiosa operativi sul territorio nazionale. Già la DIA, tre anni fa (relazione semestrale 2018), aveva riservato una speciale attenzione alla mafia nigeriana presente in Italia (più recentemente, gennaio 2021, sul tema un documento è stato elaborato dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale).

La Black Axe (nota anche come Neo Black Movement of Africa), è nata il 7 luglio 1977 a Benin City (Nigeria) in un Campus universitario e, come le altre analoghe confraternite, aveva intenti caritatevoli e di diffusone di messaggi positivi per il rispetto, la pace, la tolleranza, contro il razzismo. La Black Axe è presente con proprie cellule in diverse regioni tra cui il Piemonte, la Campania, la Puglia, la Sicilia (principalmente a Palermo) ma anche in alcuni paesi europei ed extraeuropei. L’ascia (axe in inglese) è il simbolo della confraternita che sta a rappresentare lo strumento che ha reciso le catene della schiavitù (il numero 7, giorno della fondazione, viene anche utilizzato per rappresentare l’ascia).

La Black Axe pur mantenendo gli aspetti magici e religiosi legati alla cultura tribale di origine, è anche “..dotata di una struttura fortemente gerarchizzata e piramidale, basata su precise regole per l’elezione dei propri capi, una tassa da pagare per farvi ingresso, complessi cerimoniali di affiliazione..” (relazione DIA, cit.). In ogni Stato, poi, l’organizzazione ha la sua Zone con un capo chiamato National Head (a L’Aquila individuato un nigeriano di 35 anni) nominato direttamente dal capo supremo del cult in Nigeria, al quale sono subordinati i Forum che sono le cellule di riferimento in ogni città. Dai capi locali detti anche Lord, dipendono le persone incaricate di spedizioni punitive (i picchiatori detti sluggers).

La scelta dell’Aquila quale base di “lavoro” della organizzazione criminale pare si stata dettata proprio dalla considerazione di una “città tranquilla” dove si poteva lavorare comodamente da casa, nell’ombra, privilegiando truffe informatiche e reinvestendo il denaro provento dai vari delitti commessi in un fitto reticolo di transazioni finanziarie nel tentativo di dissimulare l’origine illecita dei fondi.

Leggi i nostri articoli sulla "Mafia nigeriana in Italia"

sabato 24 aprile 2021

Nigeria: banditi attaccano università e rapiscono studenti

Un membro del personale ucciso e un numero di studenti sequestrati da verificare
Uomini armati in Nigeria hanno attaccato l'università privata Greenfield nello Stato di Kaduna, nel nord del Paese, uccidendo un membro del personale e rapendo un numero imprecisato di studenti, come hanno detto polizia e funzionari locali. È dallo scorso dicembre che bande criminali di matrice islamista hanno incrementato i sequestri a scopo di estorsione prendendo di mira scuole e collegi.

"L'educazione occidentale è peccato", ovvero Boko Haram. Questa è la nuova campagna terroristica lanciata dagli integralisti islamici nel nord della Nigeria. L'obiettivo sono le scuole e le università, gli studenti e gli insegnanti. L'obiettivo è quello di impedire ai giovani, agli adolescenti e ai bambini di studiare. Una campagna terroristica che fin'ora a buon gioco, vista l'inerzia dell'esercito (una volta una dei potenti e armati dell'Africa, oggi infiltrato da ufficiali corrotti e in combutta con i terroristi). Il governo federale, guidato da un mussulmano, Muhammadu Buhari, sembra inerme e incapace di reagire, rifiutando sistematicamente ogni aiuto dall'esterno e dalle organizzazioni internazionali. Una situazione drammatica.

"C'è stato un attacco alle 20.15 circa (ora locale) il giorno 20 aprile. I sospetti banditi si sono infiltrati in grande numero nell'università", ha detto all'agenzia Afp il portavoce della polizia del posto, Mohammed Jalige. "Si dice che alcuni studenti siano stati rapiti, ma dobbiamo ancora verificare il loro numero. Abbiamo dispiegato i nostri uomini per cercare i responsabili e salvare le vittime".

"Un membro del personale dell'università è stato ucciso ieri sera nell'attacco contro l'istituto", ha affermato in una nota Samuel Aruwan, commissario della sicurezza e degli affari interni dello Stato. "Dopo operazioni di ricerca e soccorso, è stato confermato che un membro del personale universitario è stato ucciso dai banditi, mentre un numero (imprecisato) di studenti è stato rapito".

I recenti rapimenti di massa hanno portato sei Stati nigeriani del nord a chiudere le scuole pubbliche per prevenire ulteriori attacchi. Da dicembre 2020, infatti, circa 730 studenti sono stati rapiti, interrompendo gli studi di oltre cinque milioni di bambini e adolescenti, secondo le stime dell'Unicef