lunedì 18 novembre 2019

Sud Sudan. L'acqua ha inghiottito interi villaggi, un milione le persone colpite

Un report di Amref dal Paese più giovane dell'Africa. Si stima che siano circa 908 mila le persone colpite dalle alluvioni e ora in stato di bisogno. Tra loro almeno 490 mila bambin


Un una nazione già martoriata da anni di guerra civile si è abbattuta una vera e propria catastrofe. In Sud Sudan è stato dichiarato lo stato di emergenza a causa di violente inondazioni che hanno sommerso il Paese. Si stima che siano circa 908 mila le persone colpite dalle alluvioni e ora in stato di bisogno; tra loro almeno 490 mila bambini. L’acqua ha inghiottito interi villaggi, compresi centri sanitari e scuole. Anche l’erogazione di servizi sanitari di base è al momento sospesa: in diverse aree del Paese sono operative solo il 10% delle strutture sanitarie.

Alla metà della popolazione manca cibo
Questo ennesimo dramma sta avvenendo in un Paese già in crisi: prima di questa catastrofe si contavano oltre 7,2 milioni di persone in stato di necessità, bisognose di assistenza umanitaria. Il 54% delle persone in Sud Sudan vive ancora in condizioni di grave insicurezza alimentare. Amref è presente nell'area del Sud Sudan dal 1972 con l’obiettivo di rafforzare il sistema sanitario del Paese. "Anno dopo anno, abbiamo ampliato il ventaglio dei nostri progetti e degli interventi a favore della popolazione sud-sudanese".

Il sostegno ai progetti di aiuto
"Le alluvioni hanno risparmiato le aree di intervento dei nostri progetti, ma gli effetti nel lungo periodo non mettono da parte nessuno. È fondamentale continuare a investire in questi progetti proprio per permettere alla popolazione sud sudanese di non perdere la fiducia nella possibilità di vivere una vita migliore. Le persone salvate oggi meritano un domani degno di essere chiamato futuro".

E sullo sfondo dei disastri naturali, la guerra
La prima guerra civile in Sudan nasce in un momento in cui in tutto il continente africano i diffusi fermenti indipendentisti sgretolavano (o almeno si illudevano di sgretolare) i regimi coloniali. Il conflitto interno al Paese (da sempre agitato dal contrasto fra il Nord arabo e il Sud a prevalenza etnico-culturale sub-sahariana, animista e cristiana) ha luogo dal 1955 al 1972. In guerra entrano il governo centrale del Sudan e i separatisti del Sud, che chiedono con forza una maggiore autonomia regionale. A rimetterci la vita, in quei 17 anni di guerra, furono circa mezzo milione di persone, per lo più civili.

Un incubo che dura da quasi 25 anni
La storia è poi proseguita con una ritmica successione di conflitti interni, in circa 25 anni, quasi 3 milioni di persone sono morte e oltre 4 milioni di cittadini sono stati ridotti allo status di sfollati. Il conflitto tra milizie governative al Difaa (al Shaabi, in arabo) e lo SPLA, in tutto questo arco di tempo è stato causa di carestie, epidemie, povertà e fame diffusa, smantellamento di quel poco che c'era nell'ambito dei servizi sanitari e di esodi forzati di gente costretta a mollare tutto ciò che possedevano.


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sabato 16 novembre 2019

Mafia nigeriana, 11 misure cautelari a Roma. Inchiesta nata dalla denuncia di alcune ragazze

Sono accusate di aver ridotto in schiavitù moltissime ragazze nigeriane, le 11 persone destinatarie di ordinanze cautelari emesse dal Giudice per le indagini preliminari di Roma.


In carcere sono finiti otto nigeriani, altri due sono da tempo fuori dall'Italia ed un altro ancora è ricercato.

Gli investigatori della Squadra mobile romana hanno ricostruito il percorso o meglio il calvario di queste donne dalla Nigeria all'Italia.

Il viaggio
La collaborazione di alcune vittime ha consentito in particolare di disegnare le fasi del reclutamento e della partenza dai villaggi di origine. Le donne, spesso minorenni, venivano avvicinate da persone vicine al clan familiare e lusingate con promesse di facili guadagni in Europa.

Non veniva nascosta l’attività di prostituzione che sarebbe stata svolta al loro arrivo in Italia, ma ne venivano enfatizzati gli aspetti positivi: guadagni ingenti e poche o nulle le spese di viaggio e mantenimento. Dopo aver accettato, le donne venivano sottoposte ad un rito religioso (woodoo, o JuJu) con uno stregone che suggellava il patto con le divinità.

Il culto JuJu in Nigeria è molto diffuso e i patti stipulati con i “sacerdoti” di questa religione sono molto temuti dalla popolazione, non rispettarli significherebbe per le ragazze attirare su di sé e sui propri congiunti malattie, sciagure e morte. Non appena il rito era stato celebrato le ragazze venivano allontanate dalla propria famiglia, in buona sostanza venivano prese in consegna dall'organizzazione che le teneva rinchiuse in attesa della partenza.

Dalla Nigeria le donne, attraverso il Niger, per arrivare fino a ridosso delle coste libiche, dove venivano alloggiate all'interno di “connection house”, in attesa del passaggio via mare a bordo di barconi.

Ovviamente, già durante il viaggio le donne capivano che i guadagni promessi non sarebbero mai stati realizzati, ma a quel punto era impossibile tornare indietro. Il viaggio in camion o in bus veniva anticipato dalle “mamam” residenti in Italia (o in altri paesi europei).

Il costo del viaggio, da 30 a 35mila euro, doveva essere ripagato con prestazioni sessuali, un costo che in realtà alla mamam costava poco più di un decimo di quello che poi veniva richiesto alle ragazze. E anche il cibo e la permanenza nella “connection house” dovevano essere ripagati nello stesso modo. In sostanza le ragazze erano costrette a prostituirsi già in Libia, durante l'attesa di attraversare il Mediterraneo.

Durante il tragitto le donne venivano violentate e malmenate, anche per iniziare quella sorta di assoggettamento che le avrebbe rese oggetti di proprietà dell’organizzazione.

Arrivate in Italia le ragazze, dopo essere fuggite dai centri di prima accoglienza, venivano affidate alle “mamam” che continuavano l’assoggettamento psicologico e fisico: alloggio in casa con la propria “mamam”, nessuna relazione sentimentale, pagamento dell’alloggio, del vitto e dell’affitto del marciapiede dove prostituirsi.

Non c’era nessuna possibilità di ribellarsi. il rapporto era talmente stretto che le malcapitate chiamavano le “mamam” con il diminutivo di “mami”, mentre le ragazze a loro volta erano chiamate figlie.

Il passaggio di denaro
Difficile è stato ricostruire il passaggio di denaro tra questi moderni schiavisti.

I criminali infatti non utilizzavano sistemi bancari o di money transfer, ma utilizzavano il sistema Hawala; un sistema molto semplice che non prevede reali passaggi di denaro durante la transazione. Il soggetto, che chiameremo A, avendo la necessità di trasferire del denaro al soggetto B, si avvale di un intermediario, l’hawaladar broker, che riceve il denaro e che si rivolge ad un suo referente, un altro hawaladar broker, nella località di destinazione del denaro.

Il segreto sta in un codice, una parola cifrata, un simbolo, che il primo intermediario consegna al soggetto A; questo lo comunicherà al soggetto B, che, a sua volta, lo utilizzerà con il secondo intermediario; quest’ultimo riterrà il codice comunicato, come un codice di sblocco del denaro, che verrà quindi consegnato al soggetto B, fruitore finale della intermediazione.

Il denaro, fisicamente, invece, viaggerà in modo separato attraverso dei corrieri, nascosto in valigie o con altri sistemi.
(Questura di Roma, Polizia di Stato)


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martedì 12 novembre 2019

Burkina Faso. Attacco nell'est, 37 morti

Contro il personale locale di una società mineraria canadese


Trentasette persone sono morte e altre 60 sono rimaste ferite ieri nel corso di un attacco contro un convoglio di personale locale della società mineraria canadese Semafo, in Burkina Faso: lo ha reso noto il governatore della regione dell'Est del Paese, Saidou Sanou, citato dai media internazionali.

L'attacco, ha precisato la stessa società sul proprio sito, è avvenuto sulla strada tra Fada e la miniera di Boungou, a circa 40 chilometri da quest'ultima.

Il convoglio, composto da cinque bus e scortato dal personale militare, trasportava dipendenti e fornitori locali.
(Ansa)


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Alessandria, "qui non ti siedi". Razzismo su un autobus verso una ragazzina di colore

È accaduto su un pullman. La denuncia di una consigliera comunale che posta l'accaduto su Facebook


"Alabama 1955? No, Alessandria 2019". Inizia così lo sfogo della consigliera comunale pd Vittoria Oneto, che su Facebook ha raccontato un vile episodio di razzismo a cui ha assistito mercoledì sull'autobus di linea che aveva preso per tornare a casa.
Una bimba di sette anni è stata vittima di discriminazione per il colore della sua pelle: voleva sedersi accanto a una donna che con aria stizzita le ha detto: "No qui tu non ti siedi". La consigliera comunale è intervenuta ed ha poi ottenuto che la piccola si riuscisse a sedere, tra gli sguardi silenziosi di tutti gli altri passeggeri.

Ho preso l'autobus per tornare a casa. Pochi posti a sedere. Io rimango in piedi. Salgono una mamma con due bambini. Lei si appoggia in uno spazio largo col passeggino e la bambina di circa 7 anni prova a sedersi in un posto vicino ad una signora di circa 60 anni che aveva appoggiato la sua borsa della spesa sul sedile. La signora guarda la bambina e le dice : "No no tu qui non ti siedi!" ha raccontato Oneto nel suo post, spiegando poi così il suo intervento: "Io dico alla donna di spostare la borsa e di fare sedere la bambina ma lei insiste e mi dice in modo arrogante di farmi gli affari miei". Peccato, hai trovato la persona sbagliata. La madre della piccola non dice nulla e guarda a terra.

A quel punto alzo la voce sempre di più e le intimo in malomodo di fare sedere immediatamente la bambina e di vergognarsi con tutto il fiato che avevo in gola. La signora a quel punto la fa sedere ma continua a borbottare e a guardare schifata la bambina. Tutte le persone sull'autobus mi guardano in parte compiaciute, in parte no ma nessuno osa dire nulla. Secondo voi di che colore aveva la pelle quella bambina? Sì proprio così. La consigliera conclude poi il suo sfogo raccontando tutta l'amarezza provata: "Ho pianto. Sono scesa dall'autobus e ho pianto. Per il nervoso, per la tristezza per il senso di sconfitta che ho provato e provo. Come se questi giorni non fossero già dolorosi"

È questo quello che siamo? È questo quello che vogliamo essere?
Io non voglio crederci. In poche ore il suo post ha ricevuto centinaia di commenti, attestati di stima e ringraziamento per il suo intervento a favore della bambina.
(La Repubblica)

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