venerdì 19 aprile 2019

Tratta di nigeriane. Undici arresti a Torino e in altre città

Operazione dei Carabinieri del nucleo investigativo. Torino, tratta di nigeriane destinate alla prostituzione, 11 arresti.


Reclutate e sottoposte a un rituale woodoo. Dopo il viaggio sul gommone e l’approdo in Sicilia venivano ospitate nei centri di accoglienza e da lì prelevate dall'organizzazione e portate in Piemonte. Riscatto fissato a 25mila euro.

Approfittando delle condizioni di fragilità in cui si trovavano, le ingannavano promettendo lavoro e casa in Italia, ma quando giungevano alla meta venivano costrette a prostituirsi. A scoprirlo i carabinieri del Nucleo investigativo di Torino che hanno sgominato un’organizzazione criminale internazionale al femminile specializzata nel traffico di giovani donne nigeriane destinate alla prostituzione.

I carabinieri del nucleo investigativo di Torino hanno sgominato un’organizzazione criminale internazionale, composta prevalentemente da donne, specializzata nel traffico di giovani ragazze nigeriane destinate alla prostituzione. Undici nigeriani, otto donne e tre uomini, sono stati arrestati a Torino e in altre località sul territorio nazionale, ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.

Le denunce partite dagli stessi centri di accoglienza che avevano giudicato anomale le continue "sparizioni" delle ragazze nigeriane ospiti.

Nel traffico sono state coinvolte almeno 50 ragazze, tutte nigeriane e alcune delle quali minorenni



Il viaggio
Le giovani donne nigeriane venivano reclutate nel loro Paese, in particolare dall'area attorno alla città di Benin City, e sottoposte a un rito di magia woodoo. Dopo un lungo viaggio fino in Libia attraverso il deserto e dopo un'attesa di mesi nei campi di detenzione, salpavano su gommoni diretti verso Lampedusa.

Ospiti nei centri di accoglienza, in primis il Cara di Mineo, venivano poi prelevate dall'organizzazione e portate a Torino. Le giovani erano poi costrette a prostituirsi per fare fronte al debito contratto, pari a 25mila euro e oltre.


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Maris Davis Joseph

lunedì 15 aprile 2019

Nigeria. Cinque anni fa il rapimento di Chibok ma nessuno ne parla più

In occasione del 5° anniversario del rapimento delle studentesse di Chibok, l'appena ri-eletto presidente Buhari fa l'ennesima promessa, libereremo tutte le ragazze rapite da Boko Haram.


La stessa promessa che fece 4 anni fa quando salì al potere. Promessa MAI mantenuta.

Alcune delle giovani ora sono libere, stanno studiando, alcune studiano in Nigeria altre all'estero. Alcune sono tornate a casa dalle loro famiglie.

Ma a cinque anni dal loro rapimento, i destini di oltre 100 altre studentesse che sono state rapite in quella scuola di Chibok, nel nord-est della Nigeria, sono sconosciuti. Sono ancora prigioniere di Boko Haram, alcune costrette a convertirsi all'Islam e a sposare i loro stessi rapitori, altre diventate schiave sessuali dei miliziani jhadisti, altre ancora morte, con ogni probabilità diventate bombe umane, kamikaze negli attentati che in questi anni hanno devastato il nord-est della Nigeria.

Domenica scorsa, nella commemorazione del quinto anniversario del rapimento dal villaggio di Chibok avvenuto il 14 aprile 2014, il presidente Muhammadu Buhari ha ribadito il suo impegno che aveva fatto anni fa per liberare tutte le studentesse.

"Non riposeremo finché tutte le ragazze restanti non saranno di nuovo riunite con le loro famiglie", ha detto sul suo account Twitter ufficiale. "Ho fatto questa promessa quando sono diventato presidente, e manterrò quella promessa"

Il 14 aprile 2014 i miliziani di Boko Haram hanno assaltato una scuola femminile a Chibok e hanno portato via oltre 200 ragazze che erano lì per sostenere gli esami il giorno successivo. Un atto che ha attirato l'attenzione diffusa in tutto il mondo con l'hashtag #BringBackOurGirls dei social media a sostegno della loro liberazione.

Quello fu solo il primo rapimento di massa compiuto da Boko Haram. In questi ultimi 5 anni i miliziani islamisti potrebbero aver rapito oltre duemila donne e ragazze. Durante i loro innumerevoli assalti ai villaggi infatti, Boko Haram sistematicamente uccide gli uomini e porta con se giovani ragazze, donne e perfino bambini.

Boko Haram ha provocato oltre 2,7 milioni di profughi, causato una gravissima crisi umanitaria attorno al lago Ciad aggravata dalla siccità perdurante, ucciso oltre cinquemila persone, oltre un milione di bambini non può più andare a scuola.

Il messaggio del presidente Buhari è arrivato dopo mesi di silenzio sull'argomento, e a malapena accennato nel suo programma elettorale durante le elezioni presidenziali di quest'anno. I rapimenti sistematici di Boko Haram sembrano non interessare più il mondo e i mass-media occidentali.

Perfino i manifestanti che una volta marciavano tutti i giorni a Unity Fountain ad Abuja, la capitale della Nigeria, ora rimangono in silenzio. Gli attivisti, sia a livello locale che a livello globale, che 5 anni fa avevano creato una grande attenzione in tutto il mondo, ora sembrano rassegnati al peggio.

Eppure le studentesse scomparse rimangono costantemente nelle menti e nel cuore dei loro genitori che si sono radunati domenica scorsa nella scuola di Chibok, nello stesso luogo del rapimento, per pregare per il loro ritorno.

"Stanno perdendo la speranza", ha detto Allen Manasa, portavoce del villaggio, aggiungendo che in cinque anni il governo non ha ancora informato ufficialmente i genitori che le loro figlie sono state rapite.






Articolo di
Maris Davis


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Maris Davis Joseph

venerdì 12 aprile 2019

Colpo di Stato in Sudan, ma non è finita

L'esercito ha annunciato l'arresto del presidente Omar al Bashir, al potere da più di trent'anni: decine di migliaia di persone stanno festeggiando nella capitale Khartoum.


I manifestanti al centro delle proteste però rifiutano il governo militare che ne ha preso il posto, e ne chiedono uno civile.

In Sudan gli organizzatori delle manifestazioni che hanno portato alla rimozione del presidente Omar al Bashir, che governava il paese da oltre trent'anni, hanno detto di non accettare il governo militare che ne ha preso il posto con un colpo di stato, invitando la popolazione a continuare le proteste violando il coprifuoco imposto dal generale Awad Ibn Auf, che ha giurato giovedì come presidente di un consiglio militare che ha preso il posto di Bashir.

Alaa Salah
I principali leader dietro alle manifestazioni degli ultimi giorni, compresa la studentessa 22enne Alaa Salah, protagonista di una fotografia molto condivisa online, chiedono che si insedi un governo civile di transizione.

Auf ha invece annunciato giovedì un governo militare per due anni, dopo i quali saranno organizzate nuove elezioni. Ha anche sospeso la Costituzione, chiuso temporaneamente lo spazio aereo e i confini del paese, e imposto un coprifuoco per un mese tra le 10 di sera e le 4 del mattino.

I giornalisti sul posto raccontano che il clima delle manifestazioni, inizialmente festanti per via della rimozione di Bashir, è presto cambiato e il malcontento e l’insoddisfazione per il colpo di stato militare sono diventati predominanti.

L’Associazione dei Professionisti del Sudan (SPA), una delle principali organizzazioni dietro alle proteste, ha detto che si aspetta che il nuovo consiglio militare accetti di trattare sulle condizioni del periodo di transizione successivo alla rimozione di Bashir, specificando che l’unica condizione accettabile è quella di un governo civile.

Il primo coprifuoco è già stato largamente violato dai manifestanti, che sono rimasti per le strade per rivendicare le richieste democratiche dei giorni scorsi. La SPA ha organizzato un sit-in davanti al quartier generale dell’esercito nella capitale Khartum. Secondo il Comitato Centrale dei Dottori sudanesi, nella sola giornata di giovedì 13 persone sono morte durante le proteste, due delle quali a Khartum. Dall'inizio delle proteste più grandi, la settimana scorsa, i morti sono stati 35.


Non si sa dove sia Bashir
Auf ha detto solo che è in un «posto sicuro», mentre delle fonti sudanesi hanno comunicato all'agenzia Reuters che si trova al palazzo presidenziale, protetto da molte guardie.

Genocidio del Darfur
Bashir è stato condannato dalla Corte internazionale di Giustizia e su di lui pende un mandato di cattura per l’accusa di genocidio, che risale ai massacri del Darfur del 2003.

Lo stesso Auf, però, è stato oggetto di sanzioni internazionali per via del suo coinvolgimento nel genocidio, in cui si stima siano morte 300mila persone. Non è chiaro comunque se nelle intenzioni dell’esercito sarà lui a guidare il governo di transizione militare.

Le proteste contro Bashir erano iniziate a fine dicembre nella città di El Gadarif e, dopo che le forze di sicurezza le avevano represse con estrema violenza, si erano allargate ad altre città, arrivando anche a Khartoum. Inizialmente le manifestazioni riguardavano la cancellazione di un sussidio per comprare il pane e il caro vita, ma sono poi diventate proteste contro Bashir, che era al potere da più di 30 anni ed era accusato di corruzione e violenze.

Da allora c’erano state proteste e manifestazioni a più riprese e le ultime erano iniziate venerdì a Khartoum: da quel momento, decine di migliaia di persone avevano preso parte a cortei e manifestazioni. C’erano stati violenti scontri tra le forze di sicurezza controllate direttamente da Bashir e i manifestanti, che però negli ultimi giorni erano stati difesi direttamente dall’esercito.
(Il Post)


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Maris Davis Joseph

lunedì 8 aprile 2019

Modena, nigeriana uccisa a sprangate. Confessa l'autore del delitto.

A Modena nigeriana uccisa a sprangate da un cliente, confessa un 41enne siciliano.


È di origini siciliane, 41 anni, l'uomo che si è costituito e ha confessato il delitto della donna nigeriana trovata cadavere ieri mattina a Modena in un fosso, in stradella Toni, nella frazione di Albareto.

L'assassino ha guidato per diversi chilometri con il cadavere della donna nel furgoncino prima di liberarsi del suo corpo gettandolo in un fosso alla periferia di Modena

L'uomo avrebbe preteso la restituzione di 20 euro pagati alla donna per un rapporto sessuale non andato poi a buon fine. Sembra che l'uomo non sia riuscito ad avere un'erezione soddisfacente e quindi abbia preteso la restituzione del denaro.

Al rifiuto della donna si è scatenata la furia omicida di Leopoldo Salici, un palermitano senza fissa dimora si è costituito nel tardo pomeriggio nella caserma dei carabinieri di Modena e poi è stato interrogato dal pm Angela Sighicelli.

La vittima, Benedicta San, 40 anni, una prostituta nigeriana, sarebbe stata uccisa a sprangate. L’omicidio potrebbe essere avvenuto a seguito di una lite per un rapporto sessuale che non è riuscito a consumare in modo soddisfacente. La vittima è stata colpita più volte alla testa e al volto con un attrezzo che si trovava nel furgone che l'uomo aveva preso in prestito da un amico.

Secondo le indagini che sono in mano alla squadra mobile della polizia, la 40enne potrebbe essere stata uccisa altrove, poi il corpo abbandonato appunto nelle campagne alle porte di Modena, dove un passante ieri in tarda mattinata lo ha notato all'interno di un fosso.

Secondo le prime ricostruzioni l'uomo avrebbe caricato la vittima su un furgone a Modena preso in prestito da un amico, poi, nel corso di un rapporto sessuale o nei momenti immediatamente successivi, l'avrebbe colpita più volte al capo e al volto con una morsa da banco, un utensile dal peso di diversi chilogrammi, dopo una discussione sulla prestazione, ma non legata al compenso economico, avvenuta sempre all'interno del mezzo.

Il procuratore capo Lucia Musti ha spiegato che «le indagini a 23 ore dal fatto non possono dirsi di certo concluse, ma alle 20 e 20 di ieri, confermo, abbiamo sottoposto a fermo l’uomo che si è presentato spontaneamente alla caserma dei carabinieri di Pavullo». È proprio sul racconto di Scalici che gli inquirenti stanno ricostruendo l’accaduto, tutte parole da vagliare e comprovare.

Scalici, incensurato, disoccupato e senza una dimora fissa, avrebbe guidato per un lasso di tempo ancora da stabilire con la donna ormai morta sul furgone, decidendo poi di liberarsi del cadavere, in un fosso. È stato poi un passante a notare il corpo e a dare l’allarme.

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Maris Davis Joseph

Sudan. Il popolo in piazza per cacciare il dittatore

Oltre centomila persone si sono riversate sulle strade in tutti i diciotto distretti del Sudan per chiedere le dimissioni di Omar al Bashir, che guida il Paese con pugno di ferro dal 1989 dopo un sanguinoso colpo di Stato.


Già dalle prime ore di sabato mattina le forze dell’ordine hanno cercato di bloccare gli accessi che portano alla capitale per impedire alle persone di partecipare alle proteste. Moltissimi sudanesi sono riusciti ad entrare ugualmente e un folto gruppo di dimostranti ha raggiunto addirittura il quartier generale delle forze armate, dove hanno sventolato bandiere e cantato: “Un solo esercito, un solo popolo”.

La polizia anti-sommossa ha cercato di disperdere la gente con gas lacrimogeni. Alcuni dimostranti hanno risposto lanciando pietre e gli agenti hanno utilizzato una ventina di automezzi per respingerli. I militari hanno ordinato alla polizia di ritirarsi e le proteste si sono placate. Gli organizzatori hanno chiesto ai manifestanti di restare davanti al quartier generale e di tenere un sit-in sulle strade. In un comunicato hanno fatto sapere di aver apprezzato il comportamento dell’esercito di fronte alla protesta.

Malgrado ciò una persona ha perso la vita a Omdurman, la più grande città del Sudan e dello Stato di Khartoum, situata sulla riva occidentale del Nilo, di fronte alla capitale. Un giovane medico di laboratorio, Al-Muiz Atta Allah Musa, è morto, mentre altri civili e diversi agenti delle forze dell’ordine sarebbero stati feriti.

Omar al Bashir
Le proteste sono iniziate lo scorso dicembre, dopo l’annuncio del governo di voler triplicare il prezzo del pane. Ben presto le dimostrazioni si sono diffuse in tutto il Sudan fino a raggiungere anche Khartoum; ora la gente chiede non solo una vita dignitosa, ma anche l’uscita di scena dell’anziano dittatore.

Sudanese Professional Association, che dirige in clandestinità tutte le manifestazioni, ha lanciato un appello chiedendo ai vertici militari di schierarsi dalla parte dei manifestanti. Già a gennaio l’organizzazione ha elaborato un documento, Freedom and Change (Libertà e Cambiamento), con il quale si propone la formazione di un governo di transizione, composto da tecnocrati, il cui mandato deve essere concordato da rappresentanti di tutta la società sudanese. Freedom and Change è stato firmato anche da alcuni gruppi dell’opposizione. Gli organizzatori del movimento hanno chiesto alle Forze armate: “Scegliete tra il popolo e il dittatore”.

Gli attivisti sudanesi, certamente incoraggiati dalle manifestazioni su ampia scala nelle piazze algerine, che hanno portato alle dimissioni di Abdelaziz Bouteflika, hanno voluto organizzare le proteste di ieri in memoria dell’anniversario del colpo di Stato del 1985 che aveva costretto l’ex presidente Jaafar Nimeiri a lasciare il potere.

Anche Hassan Ismail, ministro dell’Informazione e portavoce del governo di Khartoum, ha elogiato il modo con il quale le forze di sicurezza hanno gestito le proteste e ha precisato che il governo conferma l’impegno al dialogo per risolvere la crisi. E infine ha aggiunto: “Il sangue sudanese è la cosa più preziosa che dobbiamo preservare”.

Da dicembre a oggi sono morte decine di persone durante le manifestazioni, moltissimi i feriti e centinaia di dimostranti sono stati arrestati e il dittatore si rifiuta categoricamente di lasciare la poltrona. A febbraio Al Bashir, sul quale pende un mandato d’arresto internazionale spiccato dalla Corte penale internazionale, ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il territorio nazionale e istituito tribunali speciali.
(Africa Express, Cornelia I. Toelgyes)

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Maris Davis Joseph

venerdì 5 aprile 2019

Palermo. Si pentono due capi, sgominata cellula della mafia nigeriana

Si pentono due capi della mafia nigeriana. Blitz al mercato di Ballarò, 13 arresti.


Svelati i segreti della “Eiye”, droga e prostituzione. Una microspia ha registrato il rito di affiliazione. "Bevi lacrime, sangue e alcol". Una cellula pure al Cara di Mineo. L’inchiesta nata da una giovane che si è ribellata.

Alla squadra mobile di Palermo, qualcuno li ha già soprannominati “don Masino” e “Totuccio. Un capomafia e il suo factotum in fuga, braccati dai loro complici, che decidono di saltare il fosso e parlare. Come Masino Buscetta e Totuccio Contorno. Adesso, anche la mafia nigeriana deve fare i conti con due pentiti di rango. E la scorsa notte, la squadra mobile di Palermo ha fatto scattare 13 fermi, disposti dal procuratore capo Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Salvatore De Luca.

Anche la mafia nigeriana deve fare i conti con i pentiti di rango

Le parole dei due pentiti hanno aperto uno squarcio nella confraternita degli "Eiye": c’erano anche loro fra i vicoli del popolare mercato di Ballarò, non solo i "Black Axe", già colpiti tre anni fa con un altro blitz della polizia. Sette sono stati arrestati a Palermo, due a Catania, gli altri avevano lasciato da qualche tempo la Sicilia, due sono stati fermati a Castelvolturno, uno a Treviso, uno a Vicenza. Tutti sono accusati di associazione mafiosa.

Il rito di affiliazione della mafia nigeriana: "Giuro di sostenere la Confraternita"

La decimazione dei Black Axe aveva portato all'espansione dei rivali, già ben radicati al Cara di Mineo, dove la scorsa notte sono stati fatti altri arresti. Mentre c’è il sospetto di una terza presenza a Palermo, quella dei "Vickings". “Gruppi che sono come le diverse mafie italiane: Cosa nostra, ndrangheta, camorra”.

Tutti impegnati in affari di droga e tratta delle donne, costrette alla prostituzione. Ma una di loro si è ribellata, i poliziotti della Mobile diretta da Rodolfo Ruperti l’hanno liberata dalla schiavitù di una mamam e lei ha svelato che anche a Palermo c’erano gli "Eiye". Così è iniziata questa storia, con un gesto di coraggio e libertà.

La Rete
L'indagine, condotta dai sostituti Gaspare Spedale, Chiara Capolungo e Giulia Beux, svela che gli Eiye sono ben radicati in diverse città, da Catania a Torino, passando per Cagliari e Padova. In questi mesi, alla squadra mobile di Palermo sono arrivati magistrati da tutta Italia per interrogare i primi pentiti della confraternita che nel dialetto Yoruba è chiamata “Uccello”. I clan sparsi per il mondo sono soprannominati “nest”, ovvero nidi. E si entra tramite dei rituali di affiliazione, parecchio movimentati.

Il Rito
Uno di questi riti è stato registrato da una delle microspie piazzate dalla polizia a Ballarò. Una conferma straordinaria al racconto dei pentiti. Il nuovo adepto viene spogliato e spinto per terra, preso a calci e pugni, poi costretto a bere un intruglio del suo sangue e delle sue lacrime.

Avvicinano del peperoncino sulla testa e la faccia. Intanto, feriscono il corpo con un rasoio. Il peperoncino fa lacrimare l’occhio, loro raccolgono la lacrima che viene mescolata con il sangue delle ferite. Lacrime e sangue vengono mescolate con alcol, riso e tapioca, viene chiesto di giurare fedeltà e totale silenzio sulle pratiche dell’organizzazione”. Il nuovo affiliato deve pagare una somma al capo e diventa schiavo di tutti i componenti del clan, perché è l’ultimo arrivato. “Poi, nel gruppo, sali di grado in base a quanti reati commetti”.

Il ministro dell'interno: "Pericolo crescente"
Il ministro dell'Interno Matteo Salvini si dice compiaciuto per il blitz: "Altro colpo alla mafia nigeriana, con tredici fermi disposti dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Violenti, organizzati, senza scrupoli: i boss africani rappresentano un pericolo crescente che va subito estirpato. Grazie a forze dell'ordine e inquirenti"
(La Repubblica)

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