domenica 13 marzo 2016

Migranti, rotta balcanica chiusa. In 44 mila bloccati in Grecia

Si chiama Bayane, ha venti giorni. Fa il bagno in mezzo al fango con l’acqua di una bottiglia di plastica. La sua famiglia è scappata da Idlib, dalla guerra in Siria. Adesso Bayane ha una tenda per casa, due sorelle, dorme fra le braccia di sua madre, davanti a un fuoco acceso nella notte. Forse un giorno sarà un ragazzo felice in Europa o chissà dove.

La vita continua persino in mezzo al disastro. Ma non è affatto una notizia per chi resiste nella tendopoli di Idomeni, dove 16 mila profughi sono bloccati alla frontiera fra Grecia e Macedonia.

Qui partoriscono in media quattro donne a settimana. I bambini sono più di seimila. Li senti ridere ovunque, li senti piangere. Piove, fa freddo. Ci sono pozzanghere grandi come piscine. Serve un’ora e mezzo di coda per un panino. E se è bello celebrare la vita che va avanti nonostante tutto, è giusto dire quello che sta succedendo, ci sono stati diversi casi di aborto spontaneo, madri che non ce l’hanno fatta, bambini che non sono nati. Qui nel fango, in questa frontiera d’Europa.

La rotta del Balcani è ufficialmente chiusa. Per Vienna, però, non è ancora abbastanza. Secondo il ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz, lo stesso tipo di provvedimento dovrebbe essere adottato per la rotta che potrebbe portare i profughi in Italia. "Il traffico di migranti non si ostacola facilmente, dovremo fare tutto quello che abbiamo fatto lungo la rotta balcanica anche lungo la rotta Italia-Mediterraneo, in modo che sia chiaro che il tempo del lasciapassare verso la Mitteleruopa è finito, qualsiasi sia la rotta"

Con la chiusura della rotta balcanica continua ad aumentare il numero di migranti e rifugiati che si trovano bloccati in Grecia.
  • Solo a Idomeni, un campo ormai divenuto famoso nel mondo, sarebbero in 16 mila,
  • altre 9 mila persone sono in attesa sulle isole greche dell’Egeo orientale,
  • circa 11 mila rifigiati e migranti sono presenti nella regione di Atene
  • e circa 8 mila sparsi in campi in altri centri della Grecia.
Al momento si parla di un totale di 44 mila persone presenti in Grecia, anche se la capacità di accoglienza attuale è di circa 31 milaL’organizzazione umanitaria Medici senza Frontiere ha fatto sapere che installerà altre tende a Idomeni per ospitare migranti e rifugiati.

A causa delle abbondanti piogge degli ultimi giorni, il campo di Idomeni è diventato un pantano e sono stati diagnosticati i primi due casi di epatite A. Come riferiscono i media macedoni, uno dei due malati è una bambina siriana di nove anni, che è già in cura e in condizioni stabili.

Nonostante i ripetuti appelli delle autorità greche, che invitano i migranti a lasciare il "campo inferno" alla frontiera macedone offrendo sistemazioni in centri di accoglienza in Grecia con servizi e cibo a sufficienza, la stragrande maggioranza preferisce restare in attesa a Idomeni almeno fino al prossimo vertice tra l’UE e la Turchia del 17 marzo, dal quale ci si attendono nuove decisioni sui profughi. Solo poche centinaia hanno accettato finora di trasferirsi nei centri di accoglienza.

In attesa del vertice in cui , tra il 17 e il 18 marzo, Bruxelles e Ankara sono chiamate a raggiungere un accordo sulla redistribuzione dei migranti, Amnesty International condanna i punti già resi noti della possibile intesa. La bozza "ha delle carenze morali e legali e potrebbe mettere a rischio persone vulnerabili. È sbagliato, moralmente e legalmente, rimandare indietro i migranti dall'Europa alla Turchia"

L'artista cinese Ai Weiwei ha portato un pianoforte nel fango di Idomeni dove si trovano i migranti che sono bloccati alla frontiera tra Grecia e Macedonia, consentendo a una donna siriana di tornare a suonare per la prima volta dopo anni.

Sotto un telo di plastica per proteggersi dalla pioggia, tenuto dallo stesso artista e da altre persone, la 24enne Nour Alkhzam ha suonato per circa 20 minuti. "È il nostro tentativo di offrire un'opportunità a questa donna, lei è una vittima di queste guerre. Per tre anni non ha avuto la possibilità di toccare un pianoforte. Lei e il marito sono divisi da un anno e mezzo"

Si tratta solo dell'ultima delle iniziative lanciate dall'artista cinese per puntare i riflettori sui migranti. "Vogliamo offrire un'immagine diversa di loro, che trasmetta possibilità, arte e immaginazione. Questa è l'immagine che deve essere trasmessa al mondo"

domenica 6 marzo 2016

Amburgo, conferenza internazionale auto-organizzata di migranti di mezza Europa

Una conferenza internazionale ad Amburgo, interamente auto-organizzata dai rifugiati di mezza Europa, provenienti dall'Africa. Non solo crisi migratoria, ma veri interlocutori. Noi siamo qui perché voi siete lì con la guerra.

C'è un' importante lezione da imparare dall'ondata di migrazioni che interessano l'Europa in questi ultimi anni. Era davvero una bugia colossale, quella alla quale ci hanno fatto credere negli anni più giovani della nostra vita, ossia che esistano due mondi separati, quello della pace e del benessere, da una parte, e quello della povertà e delle guerre civili, dall'altra. Con presunzione osservavamo sullo schermo eventi lontani, ci mostravano immagini di morte di gente sconosciuta, diversa da noi.

Inorriditi inveivamo contro i massacri di bambini, donne, uomini per poi passare a finire di compilare la nostra lista della spesa. Ma potevamo forse immaginare che quel mondo potesse riversarsi nelle nostre vite quotidiane, presentarsi sotto casa per chiedere il conto? Può darsi. In un giorno lontano. Non oggi. Eppure quel giorno è arrivato. E quel mondo è qui e chiede il conto. E chiede di prendere in mano il proprio futuro.

"We are here" è il motto ufficioso principale delle giornate intense che hanno visto l'incontro internazionale dei rifugiati e migranti ad Amburgo dal 26 al 28 Febbraio negli spazi messi a disposizione dalla fabbrica-teatro Kampnagel. A organizzarlo sono gli stessi rifugiati attraverso associazioni internazionali come Lampedusa in Hamburg, CISPM (International Coalition of Sans-Papiers Migrants and Refugees), Voix des Migrantes, Refugee Movement Berlin, Refugee Protestcamp Hannover.

A incontrarsi sono migranti, rifugiati, attivisti da Amburgo, Berlino, Hannover, da Francia, Italia, Olanda, ecc. Il titolo ufficiale della conferenza è "The Struggles of Refugees. How to go on?" ("Le lotte dei rifugiati. Come andare avanti?"). Si vuole discutere, scambiare esperienze, mettere in atto nuovi reti di interazione.

La situazione ai confini dell'Europa, le condizioni nei campi di accoglienza, le difficoltà nei paesi di origine e l'inasprimento delle leggi sul diritto d'asilo sono i temi più importanti.

Si è giunti ad una risoluzione comune, un piano d'azione per contrastare l'emarginazione, fermare i rimpatri, migliorare le condizioni di vita nei campi di accoglienza. Di fatto il primo e più importante traguardo è stato raggiunto: essere riusciti a dare vita a uno dei più grandi incontri mai organizzati dagli stessi rifugiati, dove stavolta a parlare sono gli stessi protagonisti della "crisi europea dei migranti" che riempie le cronache di questi mesi.

È un incontro scandito da ritmi africani. Suonatori di djembe ti accolgono all' ingresso. Si parla inglese, francese, tedesco. Vengono distribuite cuffie dove si traduce in 7 lingue, tra le quali Farsi, Tigrino, rom e linguaggio dei segni. Per essere una Babele, ci si capisce benissimo.

Si sviluppano diverse discussioni plenarie e 30 workshop. Il tutto è frutto dell'auto-organizzazione e i finanziamenti (più di 17mila euro) provengono da una campagna di crowdfunding lanciata su una piattaforma di Amburgo. Oltre 1.600 le persone iscritte, ma saranno presenti almeno duemila.

Nei diversi workshop, dislocati nel complesso del teatro, si discute di razzismo, sessismo, di colonizzazione, di violenza alle porte dell'Europa, si fanno giochi di ruolo, si scambiano opinioni, le donne ricevono un proprio spazio dietro l'edificio centrale per incontrarsi e discutere tematiche specifiche.

Un centinaio di donne irromperà sul palco della sala centrale il secondo giorno della conferenza, occupandolo per protesta al grido di "women space is everywhere", chiedono di non essere messe in disparte, vogliono fare sentire le loro voci, raccontare le loro esperienze, dare valore alla loro presenza. È infatti sulla pedana della sala centrale che si accende il dibattito più vivo sui temi che stanno maggiormente a cuore, si raccolgono i racconti di chi ha vissuto la fuga, si mostrano le immagini delle vicende che accadono poco fuori dalle nostre città.

A raccontare sono eritrei, nigeriani. marocchini, tunisini, e poi afghani, curdi, siriani. C'è la storia dell'Africa. Che è poi la nostra storia. Storia di guerra, di terrore, di lotta e di emarginazione. È il racconto della lotta nei paesi di origine, dei pericoli della fuga, dello scontro con la chiusura delle porte della fortezza Europa, con le dure leggi del diritto d'asilo.

Ci sono le immagini delle condizioni catastrofiche dei campi di accoglienza descritti come "psychological prisons", la denuncia dell'impossibilità di fare sentire la propria voce, di muoversi liberamente.

La cultura dell'accoglienza. Si discute anche sugli eventi della notte di Capodanno a Colonia, e di come le destre europee abbiano strumentalizzato i fatti per inasprire il clima di paura tra i rifugiati. Una cosa è chiara, le responsabilità individuali non possono essere scaricate su un intero popolo.

La critica principale è alla politica di asilo tedesca, ovvero la lentezza delle procedure per ottenere un permesso di soggiorno, la mancanza di programmi di integrazione, l'impossibilità di spostarsi dalle aree di prima accoglienza, di inserirsi nel mondo del lavoro, di prendere contatti con la società.

Illegali, legali, "tollerati", o con permesso di soggiorno stabile. I partecipanti sono tutti diversi sul piano giuridico. Ma "siamo tutti umani", è il messaggio comune a tutti "We are here", noi siamo qui. Noi siamo qui e desideriamo far sentire la nostra voce, siamo qui e vogliamo esercitare diritti, siamo qui e non vogliamo stare ai margini delle vostre città. "We are here to stay" (siamo qui per restare).

Ma soprattutto "we are here, because you are there". Noi ci troviamo qui poiché voi siete là, con le vostre armi, i vostri interessi e distruggete i nostri paesi. La stessa Germania deve porre fine alle esportazioni di armi nelle aree di crisi e smettere in questo modo di alimentare i conflitti che sono la causa principale della fuga. Le bombe saudite che creano gli sfollati in Yemen sono fabbricate da aziende tedesche in Sardegna. Viva la globalizzazione.

Parola chiave è auto-organizzazione, e unità. Bisogna essere solidali per agire insieme. Se all'interno del sistema legale non vi è spazio per fare sentire la propria voce, si tratta di andare al di là della legge. Creare reti di aiuto e sostegno, attivare movimenti all'interno della società civile, documentare gli atti di violenza, manifestare insieme per fare sentire la propria presenza. Si portano a conoscenza gli esempi migliori di cooperazione.

Si tratta di intervenire contro l'ideologia della Fortezza Europa e i guardiani dei suoi confini: questi, è evidente, non sono più in grado di fermare i movimenti che spingono alle porte.

Si tratta di documentare gli atti di violenza, di fare sentire la propria protesta contro la situazione di emergenza dei profughi che aspettano di poter attraversare i confini nei Balcani, delle migliaia di migranti che vivono in condizioni catastrofiche in campi come quello di Calais, di quei rifugiati che vengono rimpatriati in paesi come l'Afghanistan, che sono ben lontani dall'essere sicuri.

Alla fine della Conferenza le organizzazioni si danno nuovi appuntamenti. Centinaia di manifestazioni sono previste in diverse città europee. L'appuntamento principale è però quello per l'anno prossimo a Berlino, per un nuovo incontro internazionale nella speranza di poter scambiare esperienze sulla base di successi raggiunti.

È un movimento di giustizia sociale che cresce e non può essere governato con le vecchie regole. È la società civile che si organizza e i confini giuridici non bastano a descriverla. È il mondo che chiede di cambiare. Perché il mondo è uno. E il passato non è passato. Che si voglia riconoscere in queste migrazioni un'opportunità o che vi si veda una minaccia per il proprio "benessere".
(Globalist, da un articolo di Nina Lepori)

Foundation for Africa plaude all'iniziativa della conferenza internazionale di migranti e plaude per aver evidenziato le varie criticità sull'accoglienza in Europa, ma critica fortemente l'idea che tutti i migranti sono uguali, come sembra essere l'immagine uscita da questa tre giorni auto-organizzata.

Premesso che la maggior parte del flusso migratorio proviene dal medio-oriente, Siria in particolare, e che l'80% dei migranti arrivati in Europa è di fede mussulmana.

Fermo restando il fatto che nella stragrande maggioranza dei paesi di provenienza dei flussi migratori i cristiani sono minoranze perseguitate. Nella stessa nostra Nigeria i cristiani hanno subito negli ultimi anni ogni sorta di persecuzione e orrore.

Stiamo assistendo ad una vera e propria invasione islamica dell'Europa, e in questo vediamo un vero e proprio disegno globale per destabilizzare la stessa Europa e ci chiediamo come mai i migranti provenienti dal medio oriente NON vengano accolti da altri paesi arabi, come per esempio l'Arabia Saudita, la Giordania e la stessa Turchia.

Stiamo assistendo inorriditi al "perverso" doppio-gioco della Turchia che da un lato riceve miliardi di euro dall'Europa "compiacente" e dall'altro non fa nulla per fermare la massiccia migrazione verso la Grecia, e anzi la favorisce. Una Turchia sempre più perversa che da un lato dice di perseguire l'ISIS e il suo integralismo, dall'altro favorisce l'attraversamento delle sue frontiere dei "foreign-fighters".

Le ragazze nigeriane perseguitate da
Boko Haram vengono respinte
mentre i siriani vengono accolti tutti
Non possiamo tacere per il diverso trattamento dei migranti. Da un lato quelli siriani che l'Europa accoglie (vedi la stessa Germania) senza se e senza ma, anche se i siriani fuggono da una guerra civile che loro stessi hanno provocato, che l'Islam ha provocato, e dall'altro vediamo respingere sempre con maggiore cinismo i migranti cristiani provenienti dalla nostra Nigeria che invece fuggono dagli orrori di Boko Haram e dalla "mafia nigeriana". Una disparità inaccettabile di trattamento che si giustifica con il fatto che la Nigeria NON è un paese in guerra.

Siamo contro i muri e i fili spinati, ma siamo davvero critici verso questa Europa che respinge con troppa facilità i migranti dell'Africa Sub-Sahariana, luoghi che la stessa Europa sta sfruttando e ha sfruttato per secoli, soprattutto se cristiani perseguitati, ma accoglie anche senza troppi controlli per esempio i siriani, afghani, pakistani, ecc..

Siamo davvero arrabbiati verso questa Europa che si lascia "invadere" da questo Islam che prima perseguita i cristiani nel mondo, distrugge le loro chiese, rapisce e violenta le loro ragazze, e poi arriva qui in Europa e, piangendo, chiede (e spesso pretende) accoglienza.

Questa Europa sull'accoglienza sta davvero sbagliando su tutti i fronti

venerdì 4 marzo 2016

Al gruppo "The Dynamite" il premio "La Ragazza di Benin City"

The Dynamite Gospel
Il premio "La Ragazza di Benin City" istituito nel 2001 a Genova da una donna di origini nigeriane, Isoke Aikpitanyi, che da tre lustri gestisce case di accoglienza e vuole dire un grazie a chi si batte contro la tratta e per i diritti di migranti e delle donne.

Nell'albo d'oro del premio anche don Luigi Ciotti, Roberto Saviano, don Oreste Benzi, don Andrea Gallo, i giornalisti Fabrizio Gatti ed Elvira Dones, e la missionaria Eugenia Bonetti.

Quest'anno il premio è stato assegnato alle giovanissime profughe nigeriane ospitate da fine giugno alla casa "Piccolo Bartolomeo" di Borgomanero. Le ragazze fuggite lo scorso anno dagli orrori di Boko Haram e dalla mafia nigeriana, hanno dato vita al gruppo gospel "The Dynamite" con il quale girano il nord Italia per raccontare l'orrore che si sta consumando nella loro Nigeria a causa dell'integralismo islamico - leggi la loro storia -

Oltre a ricevere il premio, per le ragazze ospitate a Borgomanero ci potrebbe essere anche la possibilità di produrre un cd, oltre che incrementare la loro già ricca attività concertistica.

Ragazze fuggite da Boko Haram e dalla Mafia Nigeriana, ora cantano Gospel in Italia

giovedì 3 marzo 2016

Lotteria degli orrori dell'ISIS, estrazione per scegliere chi stuprare

Human Rights Watch rivela come le donne siano scelte a sorte dai soldati, stuprate e quindi "riassegnate a nuovi combattenti dopo che si è consumata la violenza"

Un rapporto dell'osservatorio internazionale Human Rights Watch fa luce su un crimine orrendo compiuto dai miliziani dell'Isis, donne e ragazze prigioniere sottoposte ad ogni tipo di violenza sessuale. I miliziani ISIS organizzerebbero un'estrazione a sorte per decidere quali donne violentare. Donne e ragazze ma anche bambine, addirittura di otto anni. L'estrazione consente di "assegnare" le varie vittime ai diversi aguzzini, che oltre alla violenza traggono piacere anche dalla tortura psicologica delle malcapitate.

Nei territori iracheni controllati dallo Stato Islamico, in particolare, lo stupro delle prigioniere e delle donne civili sarebbe una triste abitudine, mentre le bambine vengono convertite all'islam a forza e quindi date in sposa ai guerriglieri, che dal matrimonio in poi ne sono proprietari.

Il quotidiano britannico Daily Mail racconta le storie di diverse donne rapite e violentate, in quello che esse stesse descrivono come un perverso film dell'orrore, con le donne stuprate a turno e quindi consegnate a nuovi torturatori in attesa di affrontare l'ennesimo supplizio. "Gli uomini dell'ISIS sono semplicemente delle bestie"

Dodicenne rapita e stuprata da sette miliziani, il suo nome estratto alla "lotteria". Legata, picchiata e stuprata da più uomini, è successo a una ragazza yazidi di appena 12 anni rapita nella sua casa in Iraq. Il suo nome era stato "estratto" e il suo destino era in balia di un gioco perverso.

È stata legata, picchiata e stuprata più volte, da diversi uomini, si pensa sette. La vittima è una bambina di 12 anni di religione yazidi, rapita dai miliziani dell'Isis in Iraq e portata via dalla sua casa. Lei è una delle tante piccole prigioniere nelle mani dei jihadisti, che hanno dato vita a un macabro gioco: il nome della piccola è stato estratto da una sorta di "lotteria".

La storia è solo uno dei racconti agghiaccianti riportati da quelle donne che sono riuscite a scappare dalle grinfie dei militari dell'impero del Califfo. Anche la piccola è riuscita a fuggire e le sue parole spezzano il cuore. "Li ho supplicati di non toccarmi e di lasciarmi andare. Ero solo una ragazzina e ho chiesto loro cosa volevano da me. Mi hanno stuprata per tre giorni"

La notizia è stata diffusa dall'organizzazione Human Rights Watch che ha denunciato diversi rapimenti e stupri da parte dell'ISIS anche nei confronti di bambine, poi costrette a sposarsi con il proprio carnefice e a convertirsi all'Islam. Nei confronti delle donne di religione yazidi l'organizzazione umanitaria parla di un vero e proprio sistema organizzato di schiavitù e violenze sessuali, un crimine di guerra a tutti gli effetti.

Isis, parla una schiava del sesso, "Violentate ogni mattina". Il Daily Mail raccoglie la testimonianza di una delle schiave yazidi di 17 anni, catturata durante l'assalto dei miliziani al suo villaggio, "Era come scegliere tra due morti senza morire davvero"

L'altra faccia dell'orrore Isis, quella della brutalità inflitta alle così dette "schiave del sesso" del Califfato. Ragazzine, a volte bambine, vendute ai miliziani o rapite alle loro famiglie e costrette a sottostare alle sevizie. La testimonianza è quella di una 17enne, comprata da un combattente ceceno ad una "asta di vergini" insieme a sua sorella di appena dieci anni.

"Le ragazze sono state portate in una stanza con 40 uomini e loro hanno iniziato a scegliere" racconta la ragazza, rapita lo scorso agosto insieme alla madre e alla sorella quando le forze dell'Isis invasero Sinjar. Insieme a un folto gruppo di donne è stata portata a Mosul, in Iraq, e infine è arrivata a Raqqa, in Siria, dove si svolgeva l'asta delle schiave. "Quando il padrone mi ha portata via è stata l'ultima volta che ho visto mia madre"

La giovane non sapeva che il suo calvario era appena iniziato. Portata nella casa del combattente ceceno che l'ha comprata, ogni giorno veniva violentata, o dal suo padrone o dalle sue guardie del corpo. "Ogni mattina ci facevano spogliare e ci mettevano in fila, poi il padrone arrivava, ci annusava e decideva quale di noi violentare. Le altre (ragazze) finivano nelle grinfie delle guardie del corpo. Loro (le guardie del corpo) erano molto più violenti del capo, ci frustavano e ci costringevano a recitare il Corano durante gli stupri. Una volta mi sono rifiutata e sono stata scottata con l'acqua bollente"

Oggi la piccola yazidi è lontana dai miliziani che le hanno rovinato la vita. "Ogni giorno era come scegliere tra la morte e la morte. Volevo solo uccidermi, ma non potevo"