venerdì 12 gennaio 2018

Kenya, la razzia degli asini africani uccisi per l'elisir dei cinesi

Centomila capi uccisi in Kenya, i masai li vendono per pagare la scuola ai figli.


Prima le zanne d’elefante, poi le corna di rinoceronte, ora la pelle d’asino. La Cina ha messo le mani sull'ennesima materia prima animale del continente africano per soddisfare la crescente domanda interna di ejiao, una gelatina estratta dalla pelle bollita degli asini e usata come farmaco nella medicina tradizionale cinese. Una sostanza usata da più di duemila anni per curare le emorragie e riequilibrare l’energia vitale dello yin e dello yang, ma sempre più richiesta dalla classe media per trattamenti anti-invecchiamento e come integratore per aumentare la libido sessuale.

Gli allevamenti
Un boom che ha spinto il gigante asiatico, fino a pochi anni fa lo Stato con il più alto numero di allevamenti d’asino al mondo (11 milioni di esemplari contro gli attuali 3), a fare razzia in Kenya, uno degli Stati africani che non ha vietato questo commercio, nonché uno dei maggiori alleati di Pechino in Africa.

Negli ultimi due anni, secondo stime governative, sarebbero stati uccisi 100mila esemplari. Numeri in aumento, dato che nei tre macelli della capitale Nairobi, ogni giorno vengono uccisi 450 animali. Cifre a cui vanno aggiunti gli animali che vengono abbattuti in mattatoi non ufficiali spesso nascosti nella savana keniota. L’ultimo censo, realizzato nel 2009 dal dipartimento di veterinaria keniota, stima che l’intera popolazione di asini nel Paese era prossima a 1,8 milioni di capi. Secondo la Donkey Sanctuary, un’organizzazione non profit inglese, di questo passo si arriverà all'estinzione dell’animale in dieci anni, senza contare le sofferenze subite prima della morte.

Sarebbe stato documentato, infatti, che è prassi lasciare a digiuno gli animali per varie settimane così da facilitare lo scuoiamento. Al contrario di altri capi da bestiame come mucche e maiali, gli asini hanno un tasso di riproduzione molto basso: ogni giumenta partorisce in media un asinello. Inoltre il forte stress a cui sono sottoposti ha aumentato il numero degli aborti spontanei.

In molti Paesi dell’Africa orientale l’asino ha ancora oggi un ruolo cruciale per le comunità rurali: mezzo di trasporto per le famiglie e per le merci da vendere nei mercati locali

In Tanzania, dove il commercio di pelle d’asino è bandito così come in altri 8 Stati africani, negli ultimi mesi sono aumentati i furti ad opera di bracconieri che rivendono il pellame nel vicino Kenya.

I soldi per la scuola
Nel villaggio di Esilalei (confine tra Tanzania e Kenya) alcuni pastori hanno denunciato la scomparsa di 475 capi, una perdita che ha li ha ridotti quasi in povertà riducendo i loro profitti da 30 a 5 dollari al giorno. In una recente intervista al New York Times, John Kariuki, direttore del macello di Nqaivasha nella Rift Valley kenyota, ha rispedito al mittente le critiche, affermando che grazie al commercio di pelle d’asino è stato dato lavoro e paghe migliori a migliaia di kenyoti.

«I Maasai hanno capito che per pagare le scuole dei loro figli devono vendere gli asini invece di mucche o capre» ha detto Kariuki al quotidiano americano. Un commercio che ha fatto salire alle stelle sia i prezzi degli asini che della loro pelle. Dal 2014 ad oggi si è passati da 60 a 165 dollari per animale.

Secondo un rapporto pubblicato da Donkey Sanctuary, un’organizzazione non profit inglese, su un totale di 44 milioni di asini presenti nel mondo, 1,8 milioni sono uccisi per produrre l’ejiao, il cui prezzo sul mercato cinese negli ultimi 17 anni è passato da 2,25 a 100 dollari al chilo. Una crescita esponenziale, soprattutto nella remota regione orientale dello Shandong, trainata anche dalla campagna pubblicitaria aggressiva della Dong E-E-Jiao, la principale azienda produttrice di ejiao in Cina.

La Beijing Forestry University ha lanciato l’allarme che se non si interverrà in fretta con un divieto totale del commercio di pelle d’asino nei Paesi africani si ripeterà uno sterminio simile al pangolino. Così come nel caso delle zanne d’elefante e del commercio del corno di rinoceronte, la maggior parte degli Stati africani pur di compiacere la Cina, principale partner commerciale del Continente, ha deciso di sacrificare l’ennesima specie animale, alimentando così nuove gang di trafficanti capaci di aggirare le maglie della giustizia locale.
(La Zampa.it - La Stampa)

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