mercoledì 3 gennaio 2018

Kenya. Quei profughi somali rimandati in mezzo alla guerra e alla fame

Durante le festività natalizie Amnesty International ha denunciato che migliaia di rifugiati somali sono stati costretti a lasciare il campo di Dadaab in Kenya. Ma non è tutta colpa del Kenya


La Somalia sta affrontando un lungo periodo di siccità, carestia e un nuovo ciclo di sfollati anche a causa dell'integralismo islamico degli Al-Shabaab

I rimpatri dal campo profughi di Dadaab hanno conosciuto un’accelerazione da quando, nel maggio 2016, le autorità kenyote hanno annunciato l’intenzione di chiudere il campo di Dadaab, il più grande campo profughi al mondo, iniziando a ridurre i servizi e la fornitura di cibo e minacciando i residenti che, in caso di rifiuto, anziché un rimpatrio assistito avrebbero dovuto affrontare un rimpatrio forzato e senza alcuna assistenza.

Nel febbraio di quest’anno l’Alta corte del Kenya ha dichiarato illegale la chiusura del campo. Nel frattempo però decine di migliaia di rifugiati somali erano già stati rimpatriati.

I rifugiati un tempo fuggiti dalla siccità, dalla carestia e dalla violenza in Somalia sono rientrati nel mezzo di una grave crisi umanitaria e si trovano nella stessa disperata situazione da cui erano scappati. Secondo le Nazioni Unite, oltre metà della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria.

Per non parlare della violenza, che piaga la Somalia da un ventennio. Solo da gennaio 2016 a ottobre 2017 ha causato circa 4.585 vittime civili. Il gruppo armato Al-Shabaab mantiene il controllo su una rilevante parte del paese e compie attacchi indiscriminati contro i civili.

Questa combinazione di fattori ha prodotto una profonda crisi interna di sfollamenti. Secondo dati aggiornati al novembre 2017, in Somalia vi sono 2.100.000 profughi interni, molti dei quali ai margini dei sovraffollati centri urbani. La mancanza d’acqua potabile ha causato un’epidemia di colera che tra gennaio e luglio del 2017 ha fatto almeno 1.155 vittime.

Il campo profughi di Dabaab, Kenya
Il più grande al mondo
Dunque, è evidente che la Somalia non è pronta per quei ritorni su larga scala diventati più frequenti dal 2016. Ma le responsabilità non sono tutte del Kenya, anzi: chiamano in causa la mancanza di un sostegno adeguato da parte della comunità internazionale.

Nel novembre 2017 l’appello dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati per rispondere alla crisi dei rifugiati in Kenya era stato finanziato solo per il 29 per cento. Anche il Programma alimentare mondiale lamenta mancanza di finanziamenti ed è regolarmente costretto a ridurre il valore energetico delle forniture di cibo ai rifugiati.

Amnesty International ha chiesto alla comunità internazionale di fornire al governo del Kenya assistenza tecnica e finanziaria adeguata e di proporre soluzioni sostenibili e di lungo periodo per l’integrazione dei rifugiati nel paese attraverso il completo finanziamento dei programmi dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati e l’incremento dei posti per il reinsediamento e di percorsi alternativi per i rifugiati somali.
(Le persone e la dignità - Corriere.it)

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