Operazione delle forze dell'ordine a Prato, Perugia e Treviso hanno permesso l'arresto di otto componenti di una banda di "trafficanti di esseri umani" nigeriani che organizzavano i viaggi della speranza di decine di ragazze dalla Nigeria all'Italia transitando per la Libia per poi sfruttarle sessualmente.
L'indagine partita da Perugia. Una vera e propria tratta di esseri umani finalizzata alla prostituzione. È quanto scoperto dalla polizia di Perugia che ha arrestato otto nigeriani tra Perugia, Prato e Treviso. Tre sono finiti ai domiciliari e gli altri in carcere. Secondo quanto ricostruito le ragazze, tutte nigeriane, venivano avviate alla prostituzione tramite minacce, aggressioni e addirittura riti woodoo. Nell'ambito della stessa inchiesta un arresto anche a Castelvenere in provincia di Benevento.
L'indagine era partita nel 2016 quando una ragazza aveva detto alla polizia di essere stata costretta a prostituirsi per consegnare 20mila euro ad alcune persone. L'indagine, dal nome "Tratta", ha ricostruito l'attività. Secondo quanto emerso le ragazze finivano nei ghetti della Libia, poi da qui in Italia su barconi spesso fatiscenti.
Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i “boss” e le “madame” nigeriani arrestati all'alba di mercoledì dagli agenti della mobile dopo una lunga e articolata indagine coordinata dalla Dda della procura di Perugia, che è riuscita a mettere le mani su una organizzazione criminale con radici piantate nel capoluogo Umbro.
Le indagini hanno permesso di svelare i retroscena della nuova schiavitù moderna, gestita da una “holding” del crimine organizzato transazionale che, avvalendosi delle condizioni di assoggettamento delle ragazze “reclutate” attraverso la pratica del woodoo, le costringevano a vendere il proprio corpo a Perugia.
Dalla Nigeria alla Libia fino all'Italia. Gli indagati, in concorso con altri soggetti operanti in Libia e in Nigeria, avrebbero introdotto illegalmente nel territorio italiano decine di giovani ragazze, anche minorenni, approfittando della loro condizione di vulnerabilità, gestendo il loro viaggio dalla Nigeria alla Libia, la loro permanenza nei ghetti sulle coste libiche (dove i migranti venivano sottoposti a violenze e privazioni), la traversata via mare fino all'Italia su fatiscenti imbarcazioni e il successivo trasferimento dai centri di accoglienza italiani al territorio di destinazione finale, Perugia.
Secondo le indagini ai vertici dell’organizzazione due fratelli nigeriani che mantenendo costanti contatti con i sodali stanziati in Nigeria che si occupano del reclutamento, nonché con i referenti stanziati in Libia che gestiscono i rapporti con i “boss” dei luoghi di detenzione in Libia e si occupano anche degli imbarchi dei migranti, gestiscono i rapporti con le famiglie di origine delle donne trafficate, le modalità di pagamento del debito di ingaggio, il collocamento dei territori di destinazione finale e lo sfruttamento della prostituzione.
Tutto è partito dalla denuncia di una giovane minorenne nigeriana che, dopo essere stata portata in Questura a Perugia, aveva svelato come uno degli indagati le avesse proposto di venire in Italia per lavorare. La minorenne aveva così raggiunto le coste libiche alla volta della Sicilia a bordo di un gommone, poi da lì fino a Perugia dove era stata ospitata da una donna nigeriana in un appartamento a Fontivegge. Ma in quell'appartamento, dove vivevano anche altre ragazze sfruttate per pagare l’oneroso “debito di ingaggio”, anche lei era stata subito costretta a prostituirsi con minacce e violenze fisiche. E se la ragazza provava a ribellarsi, la “madame” l'avrebbe minacciata: “quando torni a casa ti picchierò con la frusta così imparerai a comportarti bene”
Ma il business con cui i nigeriani trafficavano i migranti cambia in base al sesso della persona, al tipo di viaggio da affrontare. Le indagini hanno così messo in evidenza che il pagamento del debito contratto dalle giovani per raggiungere clandestinamente l’Europa viene ripagato con la prostituzione a cui vengono avviate dagli stessi indagati. E se qualche giovane schiava provava a ribellarsi erano guai: “ .. Anche se lei muore noi non abbiamo colpa quindi se devi usare qualunque metodo per calmarla, per noi va bene”
Le perquisizioni hanno consentito di sequestrare agende con nomi e cifre, pacchi di preservativi e materiale informatico che sarà analizzato
I capi di imputazione a carico degli arrestati contemplano l’associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani ed alla riduzione in schiavitù, aggravata dalla transnazionalità del reato; il favoreggiamento e lo sfruttamento della immigrazione clandestina; lo sfruttamento della prostituzione; la rapina e l’estorsione in danno delle connazionali riottose a prostituirsi per il pagamento del “debito d’ ingaggio”; il procurato aborto in danno di una giovane prostituta.
(Il Messaggero)
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