venerdì 23 giugno 2017

Una denuncia partita dalla Nigeria. A Lecce arrestati 5 nigeriani che sfruttavano giovanissime connazionali

Le indagini hanno fatto luce su un sodalizio criminale composto da nigeriani con cellule in Libia. l'inchiesta era partita da una mamma nigeriana che lo scorso anno aveva denunciato il rapimento di sua figlia minorenne da un collegio di Benin City, in Nigeria.


Sono sedici le vittime accertate dagli investigatori nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Lecce che ha portato oggi agli arresti di tre donne e due uomini, tutti di nazionalità nigeriana in Italia con regolare permesso di soggiorno. L'organizzazione reclutava le giovani donne, quelle giovani, di bell'aspetto e possibilmente vergini, con l'inganno, nei villaggi della Nigeria dove abitavano con le famiglie, promettendo loro un futuro migliore.

Le donne nigeriane, tutte giovanissime, dai 14 ai 20 anni, sono finite nella rete dei cinque connazionali arrestati oggi dai carabinieri di Lecce

È partita dalla denuncia presentata nel suo paese da una donna nigeriana, una denuncia di sequestro, quello di sua figlia minorenne nel collegio dove studiava e alloggiava, l'inchiesta che ha portato i carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo e del Comando provinciale di Lecce ad arrestare cinque cittadini nigeriani (3 donne e 2 uomini), con le accuse di associazione finalizzata alla riduzione in schiavitù a fini sessuali, tratta di persone, favoreggiamento dell'immigrazione in stato di clandestinità e sfruttamento della prostituzione. Gli arresti sono stati effettuati nelle province di Verona, Sassari e Roma. Sono indagati sul territorio nazionale altri nove cittadini nigeriani per gli stessi reati.

Le misure cautelari sono state emesse dal GIP del tribunale di Lecce, su richiesta della Procura distrettuale antimafia. A seguito del rapimento, perpetrato a dire della denunciante da un'organizzazione criminale che aveva l'interesse ad inserire giovani nigeriane nel mondo della prostituzione, i sequestratori hanno richiesto il pagamento di un riscatto di trentamila euro per la liberazione della giovane.

Successivamente la minorenne nigeriana avrebbe deciso autonomamente di intraprendere il "viaggio" per raggiungere l'Italia affidandosi ai referenti della compagine criminale. Monitorando le comunicazioni dei presunti rapitori in contatto con la madre, i carabinieri hanno progressivamente individuato l'organizzazione.

Il gruppo era costituito da più cellule con basi logistiche sia nella nazione d'origine sia nel nord Africa ed in particolare in Libia, nelle città di Sebha, Sabratha e Tripoli, dove operano stabilmente referenti in accordo con bande criminali locali e di altre nazionalità, dedite alla gestione di giovani vittime destinate allo sfruttamento sessuale da far giungere anche in Italia tramite i flussi migratori clandestini dal continente africano a quello europeo attraverso collaudate rotte di viaggio.

La giovane è stata individuata e salvata, come anche numerose altre ragazze sbarcate in tempi diversi sulle coste italiane e destinate al mercato della prostituzione, alcune delle quali hanno deciso di sottrarsi alle maglie dell'organizzazione e di rendere dichiarazioni che hanno confermato la ricostruzione dei carabinieri.

Queste le fasi salienti del traffico delle migranti. La prima è quella del reclutamento, effettuato in Nigeria ad opera di persone spesso legate da vincoli di parentela con i referenti dell'organizzazione presenti in Italia. 

I criteri per "selezionare" le ragazze sono l'età e le fattezze fisiche, e la loro eventuale verginità, caratteristiche documentate anche attraverso fotografie

La seconda fase è quella del trasporto delle donne, insieme ad altri clandestini che utilizzano le stesse rotte, attraverso il Niger e quindi verso la Libia dove, nella città di Sebha, tutti i migranti vengono trattenuti in attesa di essere trasferiti sulla costa e di salpare alla volta dell'Italia. In attesa dell'imbarco, centinaia di uomini e donne vengono ammassati in edifici fatiscenti, sorvegliati da uomini armati al soldo delle varie organizzazioni criminali e fatti oggetto di umiliazioni psicologiche, violenze fisiche e ridotti, di fatto, ad una condizione di assoluto assoggettamento, tipico della riduzione in schiavitù.

Già in Libia spesso le nigeriane controllate dall'organizzazione criminale subiva violenze sessuali in cambio del cibo e della loro stessa sopravvivenza

Dalle dichiarazioni delle stesse ragazze "salavate" in questa operazione si comprendono le difficoltà del viaggio, effettuato con mezzi di fortuna, a volte con l'utilizzo di biciclette da parte di due o addirittura tre persone contemporaneamente per attraversare il confine con il Niger con l'ordine perentorio di abbandonare nella savana l'eventuale passeggero che, stremato dalla stanchezza, non riesce a continuare.

Per aumentarne il loro stato di assoggettamento psicologico gli aguzzini le sottoponevano, già dalla partenza dalla Nigeria, e poi anche al loro arrivo in Italia a riti woodoo, con animali (capre, galline, galli) che venivano uccisi, offerti in sacrificio e smembrati.
(La Repubblica)

Spaventate, sole, disperate, senza una minima conoscenza della lingua italiana e senza alcuna possibilità di fuggire, le giovani ragazze venivano così ridotte in uno stato di vera e propria schiavitù



Articolo a cura di
Maris Davis

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