Il 5 marzo scorso si è aperto a Milano il processo per il caso OPL 245.
L’accusa per tutti i soggetti coinvolti nella vicenda è di corruzione internazionale legata all'acquisizione del maxi-giacimento di petrolio offshore in Nigeria.
Nella video-intervista, il commento di Lanre Suraju, presidente dell'organizzazione nigeriana Human and Environmental Development Agenda (HEDA).
L'accusa. Il grande giacimento di petrolio al largo della Nigeria, noto con la sigla Opl 245, è al centro di questa vicenda, uno scandalo finanziario che si svolge tra la Nigeria, il Regno Unito, i Paesi Bassi e ormai anche l’Italia. Si trova al limite meridionale del delta del fiume Niger, in mare, tra i 1.700 e i duemila metri di profondità. Racchiude circa nove miliardi di barili di petrolio greggio, abbastanza da farne il più grande giacimento noto in Africa.
Nel 2011 l’italiana ENI e l’anglo-olandese Royal Dutch Shell hanno acquistato la concessione dell’intero blocco pagandola 1,3 miliardi di dollari. Ma quei soldi non sono andati nelle casse dello stato nigeriano, se non in minima parte.
La storia della licenza Opl 245 rivela qualcosa su una delle industrie più opache al mondo, quella dell’estrazione petrolifera in Nigeria. Protagonisti sono un ex ministro del petrolio nigeriano, accusato di aver sottratto i soldi versati dalle compagnie petrolifere; una ditta di facciata, la Malabu oil and gas, dietro a cui si nasconde lo stesso ex ministro; alcuni intermediari di varie nazionalità, affaristi, un paio di ex agenti del controspionaggio britannico.
Un altro processo contro l'ENI è in arrivo. Questa volta l'accusa è "disastro ambientale" Risarcimento per il disastro ambientale nel Delta del Niger. L'Eni sarà giudicata in Italia, prima vittoria della comunità Ikebiri. Eni sarà giudicata in Italia anche in merito al risarcimento per il disastro causato sette anni fa alla comunità nigeriana di Ikebiri dopo lo scoppio di una conduttura della controllata Nigerian Agip Oil Company e la fuoriuscita di petrolio che danneggiò fauna e vegetazione dell’area. Il 10 gennaio scorso il giudice ha respinto la richiesta della multinazionale italiana di fermare il processo per mancanza di giurisdizione, disponendo invece di procedere nel merito. Se la comunità otterrà ciò che chiede, questo sarà il primo caso in cui una multinazionale italiana viene condannata dalla giustizia civile per un episodio di disastro ambientale avvenuto al di fuori dei confini nazionali.
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