L’attacco terrorista avvenuto un mese fa nel nord del Mozambico, a Cabo Delgado, con una decina di decapitati è il più sanguinario avvenuto in questa regione dove il terrorismo jihadista ha fatto la sua comparsa già all'inizio di quest'anno, con una serie di attacchi a caserme di polizia.
La formazione che conduce questi attacchi si chiama al Shabaab, tradotto dall’arabo “i giovani”. Lo stesso nome del gruppo nato in Somalia e che opera in questo paese e nel nord del Kenya. Pare che i primi membri del gruppo fossero seguaci di un predicatore keniota ucciso nel 2012. In sostanza la nascita di questa formazione è simile a quella di Boko Haram, in Nigeria. Anche lì il fondatore del gruppo Mohamed Yussuf, era un predicatore estremista religioso e fu ucciso in carcere. Da allora Boko Haram ha cambiato pelle, fino a diventare la formazione sanguinaria che conosciamo oggi.
Questi attacchi in Mozambico puntano a destabilizzare una regione remota ma economicamente cruciale. A Cabo Delgado infatti è stato scoperto un immenso giacimento di gas naturale e petrolio sul quale ha già messo le mani ENI che poi ha subappaltato alcuni pozzi agli americani e ai cinesi. Se questo gruppo riuscirà a rallentare o a bloccare le operazioni di sfruttamento di gas e greggio finirà per avere un potere contrattuale enorme.
L’altra questione geo-strategica è politica. Le autorità vogliono assolutamente scongiurare che si formi un collegamento con gli al Shebaab somali. Se ciò accadesse su tutta la costa orientale dell’Africa ci sarebbe una pesantissima ipoteca terroristica che ha già fatto spopolare i siti turistici del nord del Kenya, come Malindi o, più a sud, di Lamu. In tal caso tutta la costa diverrebbe insicura cancellando praticamente il turismo, con danni gravissimi per i paesi della regione e, al contrario, si tramuterebbe in un grande successo di immagine per il terrorismo di al Shabaab. Una evoluzione che tutti i paesi della costa, Somalia, Kenya, Tanzania e Mozambico, che vivono anche di turismo, stanno cercando di scongiurare.
Infine non si può non constatare come il terrorismo attacchi ormai anche in regioni insospettabili che hanno popolazioni di religione musulmana particolarmente tolleranti, come il Mozambico, appunto. Oppure non hanno proprio popolazioni musulmane, è il caso della regione dei Grandi Laghi che deve fare i conti con un gruppo jihadista che opera soprattutto in Uganda e nel nord del Congo.
La domanda cruciale è, ma chi investe sul terrorismo? Armi automatiche efficienti, combattenti preparati, esplosivo e gente che sa usarlo, tutto questo costa tanti soldi. Il sospetto è che sia proprio l'Arabia Saudita, principale alleato in medio oriente dell'America di Trump, sia il fornitore occulto dell'Islam integralista in Africa. Già nel 2015, quando Boko Haram in Nigeria aveva proclamato lo Stato Islamico, si erano trovati legami sospetti con tra il gruppo terroristico nigeriano e l'Arabia Saudita che non ha mai nascosto simpatie per la diffusione dell'integralismo islamico nell'Africa Sub-Sahariana.
Nessuno ne parla, ma anche l'Italia ha le sue colpe, mine e armamenti leggeri di fabbricazione italiana sono stati trovati nello Yemen dove è in atto una guerra cruenta, dove migliaia di bambini stanno morendo di fame nell'indifferenza del mondo, e dove l'Arabia Saudita è pesantemente coinvolta.
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