mercoledì 7 novembre 2018

Centinaia di donne rohingya stuprate. Adesso che hanno partorito i figli di quelle violenze si temono conseguenze drammatiche

Secondo le organizzazioni umanitarie in Myanmar i figli nati dalle violenze avranno conseguenze drammatiche e poco prevedibili. Le donne stuprate sono emarginate assieme ai loro figli.


Poco più di un anno fa è iniziata una delle crisi umanitarie più gravi degli ultimi decenni: brutali uccisioni e persecuzioni contro i rohingya, minoranza etnica di religione musulmana che abita le zone occidentali del Myanmar. La crisi, a cui qualcuno si riferisce usando l’espressione “pulizia etnica”, è cominciata con gli scontri tra esercito birmano e ribelli rohingya nello stato del Rakhine.

Nel giro di poche settimane centinaia di migliaia di civili sono stati costretti a lasciare le loro case e cercare rifugio nei campi profughi del vicino Bangladesh.

Le violenze commesse dai soldati birmani sono state enormi: uccisioni indiscriminate, incendi di interi villaggi e stupri diffusi e sistematici. Ora le donne rohingya hanno iniziato a partorire i bambini nati da quelle violenze sessuali. Le agenzie umanitarie, e specialmente quelle che lavorano con donne e bambini, hanno lanciato l'allarme.

Save the Children ha fatto sapere che la previsione è che un numero imprecisato di bambini verrà abbandonato dalle donne che li hanno partoriti. Medici Senza Frontiere, che gestisce gli ospedali nei campi della provincia di Cox’s Bazar, una città costiera del Bangladesh, si sta dando consulenza e sostegno alle donne stuprate e poi diventate madri: si tratta spesso di ragazze che hanno meno di diciotto anni, che non sono pronte o non vogliono prendersi cura di questi bambini e che temono l’isolamento sociale causato dallo stigma dello stupro.



Il Guardian ha raccontato che nei campi profughi sono nati decine di bambini concepiti dopo una violenza. Circa un anno fa, Ayesha Akhtar (un nome di fantasia) ha smesso di avere il ciclo. Qualche settimana prima, Ayesha aveva raccontato che tre soldati birmani avevano fatto irruzione nella sua casa nello stato di Rakhine, avevano minacciato di sparare ai suoi figli e l’avevano violentata (incursioni di questo tipo si sono verificate a partire dal novembre del 2016). Ayesha che ora si trova nel campo profughi di Balukhali, a Cox’s Bazar, è una madre di cinque figli il cui marito era morto nel 2012 e, ha detto che aveva cercato di nascondere quanto era successo, senza però riuscirci: «Tutti sapevano che i soldati commettevano gli stupri quando facevano incursione nei villaggi»

In Myanmar, la maggior parte delle persone di etnia rohingya ha avuto uno scarso o nessun accesso all'assistenza sanitaria di base, e nessuna possibilità di interrompere la gravidanza. Ayesha, che ha 34 anni, dice di aver comprato dei “farmaci” da un medico del villaggio che non sono però riusciti a fermare la gravidanza.

«Cercare aiuto per interrompere la gravidanza è molto difficile per una vedova nella nostra società. Ho smesso di cercare un modo per interromperla e ho lasciato tutto nelle mani di Allah». Nell’agosto 2017, quando era incinta di cinque mesi, nella zona in cui viveva erano iniziate nuove incursioni militari. Come altri circa 700 mila rohingya, Ayesha era fuggita attraverso il confine verso il Bangladesh. All’interno del campo profughi, aveva di nuovo cercato aiuto per abortire, ma a quel punto era troppo tardi. La legge del Bangladesh proibisce l’aborto dopo il primo trimestre. I medici avevano avvertito Ayesha che una procedura clandestina avrebbe comportato gravissimi rischi per la sua vita. Ayesha, che aveva già altri figli, aveva dunque “scelto” di non rischiare.

Nessuno sa quante donne come Ayesha ci siano attualmente nei campi profughi del Bangladesh. Medici Senza Frontiere afferma di essersi occupato di 224 vittime di violenza sessuale, ma ha ammesso che ce ne sono molte altre che non hanno cercato aiuto. Secondo Human Rights Watch due terzi delle donne che hanno subìto violenze sessuali in Myanmar non l’hanno riferito alle autorità o ai gruppi di aiuto del paese. Già all'inizio dell'anno, molte donne si erano presentate negli ospedali di Medici Senza Frontiere con un’emorragia e le ostetriche avevano ipotizzato che molte di loro avessero cercato di procurarsi un aborto.

Pramila Patten, inviata speciale delle Nazioni Unite con il compito di verificare gli abusi sessuali nelle aree in conflitto, ha esplicitamente accusato le forze armate birmane di «ordinare, orchestrare e perpetrare le violenze sessuali usate come arma di genocidio. Lo stupro è uno strumento finalizzato allo sterminio e alla rimozione dei rohingya come gruppo etnico»

Oggi le donne rohingya stuprate come Ayesha, sono e si sentono emarginate e i loro figli nati da quelle violenze sono visti come il "frutto" del male

Nella storia, la violenza sessuale è stata molto spesso utilizzata come strategia di guerra pianificata e coordinata: dai tempi dell’antica Grecia fino ad oggi. Secondo l’Unione Europea, circa 20mila donne furono ad esempio stuprate in Bosnia negli anni novanta dai nazionalisti serbi. Lo stupro sistematico ha conseguenze durature, di cui molto spesso ci si occupa poco, e che vanno molto oltre la fine del conflitto stesso.

Lo stupro come arma di guerra fu usato sistematicamente durante il genocidio in Rwanda, nel 1994, è usato oggi dalle Bande armate che operano in diverse zone della Repubblica Democratica del Congo. Lo stupro è usato da Boko Haram in Nigeria per sottomettere le ragazze rapite, lo stupro fu usato ampiamente dell'Isis, nell'ormai dissolto Stato islamico di Siria e Iraq.




Articolo a cura di
Maris Davis


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