Si stringe il cerchio attorno ai rapitori di Silvia Romano, la cooperante italiana rapita in Kenya lo scorso 20 novembre. La task force formata da unità della polizia e dell'esercito ha isolato la foresta di Boni e le aree confinanti con le contee di Lamu, Garisa e Tana.
L’ipotesi della stampa nasce dal fatto che quella è diventata la zona principale delle operazioni di ricerca delle forze di sicurezza keniane che hanno praticamente isolato l’area. Lo farebbe pensare anche il fatto che i rapitori hanno dovuto abbandonare le motociclette con cui si stavano muovendo e dunque non potrebbero essere andati troppo lontani dalla zona del rapimento. L’ipotesi dipende anche dal fatto che la Boni National Reserve, per l’estensione e per la copertura della vegetazione, è un santuario per chi fa attività illegali (per esempio il bracconaggio) sulla costa del Kenya.
Le ricerche, e le eventuali trattative, sarebbero però complicate dal clima, particolarmente caldo in questo periodo, dalla rete stradale molto limitata e dalla copertura parziale della rete telefonica nella foresta.
La foresta di Boni si trova molto vicino al confine con la Somalia, una zona infiltrata anche dalle truppe degli Al-Shabab. Ormai è quasi certo che il piano originario dei rapitori di Silvia fosse proprio quello di consegnarla agli integralisti islamici somali. Un piano, per il momento, non concretizzato per alcuni errori commessi dagli stessi rapitori nell'immediatezza del fatto e per la risoluta reazione delle forze di sicurezza kenyane che hanno già arrestato diverse persone implicate nel rapimento o sospettate di dare appoggio ai rapitori facendo terra bruciata intorno a coloro che in questo momento tengono prigioniera la cooperante italiana.
La foresta di Boni si trova molto vicino al confine con la Somalia, una zona infiltrata anche dalle truppe degli Al-Shabab. Ormai è quasi certo che il piano originario dei rapitori di Silvia fosse proprio quello di consegnarla agli integralisti islamici somali. Un piano, per il momento, non concretizzato per alcuni errori commessi dagli stessi rapitori nell'immediatezza del fatto e per la risoluta reazione delle forze di sicurezza kenyane che hanno già arrestato diverse persone implicate nel rapimento o sospettate di dare appoggio ai rapitori facendo terra bruciata intorno a coloro che in questo momento tengono prigioniera la cooperante italiana.
«I rapitori sono nella contea del fiume Tana, hanno difficoltà a reperire mezzi di trasporto. Due loro motociclette, che sono state recuperate dalla polizia, si sono rotte nella foresta. Sospettiamo che siano nascosti da qualche parte nella foresta, aspettano che il caldo diminuisca per poter proseguire il loro viaggio verso la Somalia»
Diverse segnalazioni della presenza di Silvia sarebbero arrivate da testimoni oculari e questo ha circoscritto l’area delle ricerche e ha fatto dire alle forze di sicurezza locali che è Silvia è viva e sarà presto liberata.
Gli investigatori keniani che indagano sul suo rapimento ne sono convinti e stringono il cerchio intorno a quelli che considerano essere i suoi sequestratori. Yusuf Adanm, sergente del Kenya Wildlife Service, il servizio parchi del Paese africano, è indagato. L'uomo è stato arrestato e rinchiuso in carcere con l'accusa di avere legami con i rapitori, che si ritiene siano ancora nascosti nella vasta foresta di Boni. Con il sergente Adanan è stato arrestato anche il fratello. Altre 22 persone circa, tra cui la moglie di un presunto rapitore, sono in custodia della polizia.
(Daily Nation)
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