Lo ha dichiarato in una conferenza stampa tenutasi a Khartoum Jeremiah Mamabolo, capo della missione di pace in Darfur (UNAMID).
Nel suo discorso ha ammesso che ci sono ancora continui scontri tra le forze governative e quelle ribelli nel Jebel Marra, considerata la roccaforte del Sudan Liberation Mouvement di Abed Waid al Nur (SLM-AW). Ha però anche detto che la situazione è migliorata nel resto del Darfur e ha perciò giustificato la strategia di uscita della missione di pace dalla regione, decisa dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu con la risoluzione 2429.
La quasi completa chiusura della missione di pace nella regione dovrebbe avvenire entro i primi sei mesi del 2019. I gruppi dell’opposizione sudanese e quelli della società civile si sono opposti al provvedimento e si dicono gravemente preoccupati dalle sue conseguenze.
Jeremiah Mamabolo ha inoltre sottolineato gli sforzi fatti per la ripresa dei colloqui di pace sulla base del documento messo a punto a Doha, in Qatar, il Doha Document for Peace in Darfur (DDPD), a suo tempo firmato solo da gruppi minoritari dell’opposizione armata darfuriana. Ora sarebbero disposti a sedersi al tavolo negoziale anche due fra i gruppi piú rilevanti, il JEM e la fazione guidata da Minnie Minawi del SLM.
(Sudan Tribune)Siamo contrari al ritiro delle missione di Pace ONU dal Darfur. Decisamente inappropriata. Un regalo al dittatore del Sudan, Omar al-Bashir, già condannato per i crimini di guerra compiuti proprio in Darfur. Il graduale ridimensionamento del contingente Onu in Darfur, deciso dalle Nazione Unite del 2017, rischia di riaccendere un conflitto ancora vivo, a scapito della martoriata popolazione civile che rimarrà così completamente esposta alle violenze del regime sudanese. La prevista riduzione del contingente di truppe di pace in Darfur, che rischia di lasciare i civili senza la necessaria protezione di fronte alle continue violenze, sarà decisa entro la fine di giugno dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Con tutta probabilità il massimo organo decisionale della comunità internazionale rinnoverà di un anno il mandato della missione ibrida di pace Unione Africana-Nazioni Unite (Unamid), ma nonostante la continua persistenza della crisi, quasi certamente abbatterà la sua scure su quest’ultima. Una decisione che sarà accolta con entusiasmo dal governo sudanese, che da anni sostiene che la regione è ormai uscita dalla crisi e cerca di intavolare trattative per l’exit strategy della missione. «I tagli previsti riflettono un falso racconto sulla fine della guerra del Darfur, non c’è ragione di credere che gli attacchi del governo contro i civili termineranno finché nella regione potranno operare indisturbate le forze di sicurezza sudanesi e le milizie para-governative, che non hanno mai pagato per i propri crimini e tanto meno possono essere affidabili per la protezione della popolazione» Le forze sudanesi hanno condotto un minor numero di attacchi contro i civili nei primi cinque mesi del 2017, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. In particolare, la riduzione di azioni militari si è registrata dopo che gli Stati Uniti hanno annunciato di voler togliere le sanzioni economiche contro il Sudan. Tuttavia, la violenza e gli abusi persistono, mentre il governo nega sistematicamente l’accesso ai caschi blu sul terreno e rifiutandosi di rilasciare i visti al personale della missione Unamid. Abusi e violenze in aumento In questi ultimi due anni le forze sudanesi hanno attaccato diversi villaggi nel Darfur settentrionale e orientale, provocando l’esodo di migliaia di persone (come dimostra ciò che sta accadendo proprio ora). Il rapporto della missione Ua-Onu relativo al primo trimestre del 2017 ha registrato un aumento delle violazioni e abusi dei diritti umani, rispetto allo stesso periodo nel 2016, confermando che le restrizioni imposte da Khartoum stiano seriamente ostacolando le forze di pace nel loro compito di proteggere i civili. I tagli previsti alla missione di pace fanno parte di un processo di revisione strategica che ha avuto inizio nel 2014, che prevede la riduzione del numero di unità impegnate nelle missioni di pace in tutto il mondo con l’obiettivo di potenziare le zone maggiormente a rischio di violenza, come la Repubblica Centrafricana e il Mali. Un report congiunto Ua-Onu sulla revisione strategica della missione ha proposto la riduzione di quasi la metà delle truppe entro un anno, la chiusura di undici basi e il ritiro delle forze militari da altri sette siti, su un totale di 36, giustificando la decisione con i miglioramento della sicurezza nell’area. Le forze dell’Unamid garantiscono attualmente 250 pattugliamenti giornalieri a protezione della popolazione e forniscono scorte militari alle organizzazioni, che danno aiuto umanitario venti volte alla settimana in media. Nella regione sud-occidentale del Sudan ci sono ancora oggi 2 milioni e 700 mila sfollati, secondo le agenzie dell’Onu, ‘soltanto’ 1 milione e 800 mila secondo il governo di Khartoum. A questi ingenti numeri, vanno aggiunti centinaia di migliaia di rifugiati in Ciad. Il conflitto, scoppiato nel febbraio 2003 e costato la vita ad almeno 300 mila persone, è stato praticamente oscurato da nuove crisi nella regione, come quella in corso in Sud Sudan oppure nel Kordofan meridionale e nel Nilo Blu, spingendo centinaia di migliaia di civili a fuggire anche da queste aree. Con lo scorrere del tempo l’attenzione sul Darfur è andata via via diminuendo, tanto da poter indurre a credere che la crisi sia stata risolta. Niente di più lontano dalla realtà dei fatti, ancora intrisa di violenze e di sangue. (Maris Davis, Foundation for Africa) |
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