martedì 4 dicembre 2018

Pazzesco, secondo la Procura di Roma insultare sui social non è reato

Insultare sui social si può, «Non è reato ma un modo di sfogarsi»


Contrariamente alla giurisprudenza corrente e nonostante la legge sul Cyberbullismo (29 maggio 2017 n. 71) la Procura di Roma ha archiviato il caso di una ragazza romana che ha raccontato di essere stata ripetutamente insultata via social. Una giustizia "double-face" che protegge i bulli da tastiera e se ne frega dei deboli che ricevono insulti e minacce.

Haters e leoni da tastiera possono dormire sonni tranquilli. Per la procura di Roma insultare e denigrare sui social non sarebbe un reato, ma potrebbe essere semplicemente un modo, magari maleducato, per scaricare lo stress dopo una giornata pesante.

«Spesso la diffusione sui social di frasi denigratorie costituisce un modo efficace di sfogare la propria rabbia e frustrazione a seguito di fatti o condotte che colpiscono particolarmente un soggetto che ha necessità immediata di esternare il proprio pensiero»

È scritto proprio così nella richiesta di archiviazione per un caso di diffamazione online: un'amicizia finita male e culminata in una valanga di insulti e lettere aperte pubblicate sul web. Adesso possiamo solo sperare che altri giudici, più avveduti, possano respingere quella insensata richiesta della Procura.

A sporgere denuncia una ragazza romana che ha raccontato di essere stata ripetutamente insultata via social. Un amico l'ha definita nei post «una bipolare che si imbottisce di psicofarmaci» e ha descritto il padre di lei come un ubriaco che maltratta la figlia. «C'è una persona che è passata dal trattarmi come se fossi più di un fratello a minacciarmi», ha scritto l'uomo a febbraio. Poi, ha rincarato la dose: «Una malata mentale, una bipolare che sta pure in cura»

Ha quindi continuato a descrivere il padre di lei come un «cocainomane, alcolizzato», si legge ancora nella denuncia. Il 19 marzo, ha postato una lunga lettera aperta indirizzata alla madre della ragazza: «Questa è una storia inventata, che parla di personaggi inventati», ha scritto, fornendo però dettagli riconducibili all'amica: «La colpa dei malesseri di tua figlia non è mia, ma tua e di suo padre, l'avete trascurata e maltrattata». Post di questo tenore si sono susseguiti per settimane. Finché la ragazza ha deciso di denunciare.

È quindi arrivata la richiesta di archiviazione della Procura: la notizia di reato è «infondata», perché «quanto scritto su Fb non ha portata diffamatoria agli occhi di terzi»

Una valutazione legittima che rientra nella discrezionalità del magistrato. Ma sono le motivazioni ad essere singolari: «Sui social accede un numero illimitato di persone, appartenenti a tutte le classi sociali e livelli culturali che scrivono qualsiasi commento, pensiero, critica, utilizzando anche termini scurrili e denigratori che, in astratto, possono integrare il reato, ma che, in concreto, sono privi di offensività»

La Motivazione
Questo perché, secondo i pm, «il contesto dei social in generale, frequentato dai soggetti più disparati, che esternano il proprio pensiero fuori da qualsiasi controllo, priva dell'autorevolezza tipica delle testate giornalistiche o di altre fonti accreditate gli scritti postati». E ancora: «La generalità degli utenti di internet non dà peso alle notizie che legge». Quindi «le espressioni denigratorie godono di scarsa considerazione e credibilità e non sono idonei a ledere la reputazione altrui»

Ora sul caso si dovrà pronunciare il gip, visto che la donna ha presentato opposizione alla richiesta di archiviazione: «Trovo la richiesta del pm assurda, in questa vicenda siamo al limite dello stalking», ha detto la ragazza.
(Il Messaggero)


Condividi su Facebook




Nessun commento:

Posta un commento