lunedì 9 dicembre 2019

Mali. Il "vietnam" dei francesi è nel Sahel che pensano a ritirare le truppe dopo l'uccisione di 13 militari

La morte di tredici soldati in un’operazione militare in Mali sta portando a un ripensamento dell’impiego delle forze armate di Parigi nel Sahel.


L'interventismo della Francia in Africa per difendere i suoi interessi nelle ex-colonie
La presenza dei militari francesi nelle ex-colonie è sempre stata massiccia e ingombrante. Una presenza diretta, ma anche indiretta attraverso missioni umanitarie internazionali, contingenti delle Nazioni Unite, forze di interposizione tra gruppi armati.

Fin dai tempi del Presidente Mitterand si difendono regimi totalitari come in Ciad, si interviene nella Repubblica Centrafricana dopo il colpo di Stato del 2013 per ripristinare lo stato di diritto, si è intervenuto in Niger per fermare il flusso dei migranti che dal Sahara meridionale si dirigono verso le coste del Mediterraneo, e si è intervenuto in Mali dopo gli attacchi dei gruppi armati jihadisti che avevano occupato il Mali settentrionale nel 2013. È intervenuta a gamba tesa in Libia nel 2011 per abbattere il regime di Gheddaffi che stava pensando di svincolare i paesi del Sahel dal giogo del franco CFA (moneta post-coloniale francese) con una nuova moneta del tutto autonoma.

I militari francesi sono morti a fine novembre nello schianto accidentale tra due elicotteri durante un blitz anti-jihad in Mali, non lontano dal confine con Niger e Burkina Faso. Questo nuovo dramma porta a 41 il numero soldati francesi morti dall'inizio della missione, nel 2013
La missione militare in Mali si sta trasformando in un Vietnam per la Francia. Durante un'operazione di “soccorso e messa in sicurezza”, secondo quanto riferito dallo stato maggiore della forze armate, tredici militari sono rimasti uccisi nello schianto tra due elicotteri. Il ministro della Difesa, Florence Parly, ha parlato di un incidente. La collisione tra i due mezzi, un Tigre e un Cougar, sarebbe dovuta alla cattiva visibilità nella zona.

Gli elicotteri volavano "a bassa quota" e "partecipavano a un'operazione di appoggio ai commando della forza Barkhane che erano entrati in contatto con gruppi armati terroristici” al confine tra Burkina Faso e Niger. Secondo la ricostruzione ufficiale da alcuni giorni i commando francesi erano impegnati sul campo e avevano intercettato un gruppo di terroristi, con moto e pickup.

Sono stati inviati dei rinforzi, gli elicotteri e una pattuglia di Mirage 2000. Il Cougar è intervenuto per coordinare le attività e garantire "l'estrazione immediata di un elemento a terra” mentre il Tigre, elicottero da combattimento, aveva una funzione di appoggio e messa in sicurezza. Ma verso le 19.40 del 25 novembre, ora di Parigi, c'è stato lo scontro fatale. Per l'esercito francese è il bilancio di vittime più grave dal 1983, quando morirono in due attentati cinquantottotto soldati.

Davanti ai deputati che hanno fatto un minuto di silenzio in onore ai caduti, il premier Edouard Philippe ha ribadito che la missione in Mali è “indispensabile” per la lotta al terrorismo nel Sahel, dove ci sono gruppi affiliati all’Isis. L'operazione “Barkhane” è stata lanciata nel 2014, in seguito all'operazione “Serval” servita a difendere il regime politico in Mali contro i ribelli.

La missione voluta all'epoca dal presidente socialista François Hollande mobilita 4500 soldati in una regione grande quanto l'Europa a cavallo tra Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania e Ciad. Con l’incidente di ieri i soldati francesi morti salgono a 46. La Francia sta combattendo la guerra più lunga e fatale degli ultimi decenni dovendo far fronte a una moltiplicarsi degli attacchi negli ultimi mesi.

Durante il G7 di Biarritz, Macron aveva sottolineato l’aggravarsi della situazione e aveva lanciato insieme ad Angela Merkel un appello per aumentare gli sforzi della comunità internazionale nella lotta al terrorismo nella regione del Sahel.

Parigi ci sta ripensando. In Francia si è aperto un dibattito
La morte di tredici soldati in un’operazione militare in Mali sta portando a un ripensamento dell’impiego delle forze armate di Parigi nel Sahel. Parlando al vertice della Nato che si è appena concluso vicino a Londra, il presidente Emmanuel Macron ha annunciato che sarà avviato un ridimensionamento dell’operazione militare del suo Paese contro i militanti islamisti.

Attualmente, Parigi ha sul terreno 4.500 uomini, 260 veicoli pesanti, 360 veicoli logistici, 210 veicoli blindati leggeri. Dispone inoltre di un appoggio aereo di sette velivoli d’attacco Mirage 2000, di una decina di aerei di trasporto tattico e strategico e di tre droni. Questa forza, secondo il capo di Stato transalpino, è particolarmente gravosa in termini economici. Ma è anche molto rischiosa e mette a rischio molte vite umane. Per questo motivo Macron ha chiesto un maggiore sostegno internazionale alla missione (che la Francia sta guidando da cinque anni).

Macron ha inoltre chiesto un maggiore impegno da parte del gruppo G5 Sahel, l’alleanza dei cinque Paesi della regione: Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger, e ha invitato i leader delle cinque nazioni a un vertice il 16 dicembre nel Sud della Francia.

I contingenti militari africani saranno in grado di contenere la minaccia jihadista? La risposta è decisamente no, e i recenti attacchi in Burkina Faso e in Mali hanno infatti messo in evidenza la carenza di addestramento e di mezzi dei reparti africani che, troppo spesso, si sono lasciati sopraffare dai miliziani.


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