martedì 31 gennaio 2017

Dalla camorra all'Isis, arrestati tre italiani per traffico di armi

In manette un manager del settore elicotteristico e una coppia radicalizzata di San Giorgio a Cremano, Napoli.

Indagini anche sul figlio. Contatti tra i Casalesi e la mala del Brenta per l'addestramento dei ribelli sudanesi Al-Shabaab. L'inchiesta nata dalla denuncia di un'inchiesta della trasmissione Report, Rai3.

Arrivano anche dall'Italia le armi nelle mani dei terroristi dell'Isis, armamenti ed elicotteri destinati anche a Iran e Libia. Sono tre italiani e un libico i destinatari del provvedimento di fermo emesso dalla Dda di Napoli per traffico internazionale di armi verso Iran e Libia aggirando l'embargo. I fermati sono marito e moglie di San Giorgio a Cremano (Napoli), Mario Di Leva, convertitosi all'Islam con il nome di Jaafar, e Annamaria Fontana, e un manager della Società italiana elicotteri, Andrea Pardi.

Ricercato un libico. Il quarto destinatario del provvedimento di fermo è un libico resosi irreperibile. È indagato anche il figlio della coppia, per il quale, al pari del padre, i magistrati napoletani sospettano un processo di "radicalizzazione" in atto. Il provvedimento sarebbe stato emesso, secondo quanto si apprende, in quanto nel corso delle indagini era sopraggiunta un'emergenza investigativa legata a un pericolo imminente di fuga all'estero.

Dai Casalesi ai miliziani islamici. Nell'ambito dell'operazione sono state eseguite dieci perquisizioni nei confronti di altrettante persone per ipotesi di reato riconducibili al traffico internazionale di armi. La prima fase ha avuto avvio nel giugno 2011, su iniziativa del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, nell'ambito di un'inchiesta della Procura della Repubblica di Napoli. Era emerso che un affiliato a un clan camorristico dell'area casalese era stato contattato da un appartenente alla cosiddetta "mala del Brenta" che cercava esperti di armi da inviare alle Seychelles per addestrare mercenari somali. Dalle indagini emersero le responsabilità di un somalo con cittadinanza italiana, parente del deposto dittatore del Puntland (Somalia), che hanno aperto i nuovi scenari d'inchiesta.

Rapimenti e mediatori. Ci sarebbero stati contatti telefonici tra la coppia di coniugi di San Giorgio a Cremano e i rapitori di quattro italiani sequestrati in Libia due anni fa. Le forze dell'ordine sono riuscite a decriptare alcuni sms successivi al sequestro in cui la coppia faceva riferimento alle persone già incontrate qualche tempo prima e facendo intendere che erano i rapitori libici. A marzo 2016 due dei nostri connazionali, Fausto Piano e Salvatore Failla morirono mentre gli altri due rapiti, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a mettersi in salvo.

Aggressione al giornalista. Non è la prima volta che balza alla cronaca il nome di Andrea Pardi, amministratore delegato della Società Italiana Elicotteri, fermato con altri tre questa mattina dai militari del Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Venezia nell'ambito di una inchiesta della Dda di Napoli allargata a Roma, Napoli, Salerno e L'Aquila sul traffico internazionale di armi e di materiale dual-use di produzione straniera. In passato la Società Italiana Elicotteri era stata coinvolta in una inchiesta sull'assoldamento di mercenari e un traffico di armi tra Italia e Somalia.

E lui, Pardi, anche per l'aggressione il 7 ottobre 2015 a un cronista di Report dapprima all'esterno e poi all'interno della palazzina nell'area aeroportuale di Roma Urbe dove ha sede la società. Secondo la denuncia del cronista, Giorgio Mottola, impegnato in un servizio sull'impresa guidata da Pardi, dapprima venne data una manata sulla telecamera, che a quel punto smise di funzionare per alcuni secondi, poi egli stesso, con un braccio stretto al collo venne trascinato in ufficio, quasi sollevato di peso, senza che nessuno degli impiegati presenti intervenisse in sua difesa nonostante la richiesta ripetuta di aiuto o comunque ponesse fine a quanto stava accadendo.

Sul posto poi intervennero le forze dell'ordine chiamate dal giornalista una volta tornato libero in strada. Il manager venne denunciato; la telecamera del reporter risultò danneggiata, però la scheda digitale con la registrazione dell'accaduto rimase integra. Dalla ricostruzione dell'accaduto fornita dal fronte Rai, il giornalista si trovava all'esterno della palazzina che ospita gli uffici della Società Italiana Elicotteri, ed aveva avvicinato il manager, appena sceso da un'auto di colore bianco con targa straniera e gli aveva fatto una domanda relativa a trattative intavolate per la vendita di velivoli all'estero.
(Il Tempo)

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lunedì 30 gennaio 2017

Nigeria, emergenza alimentare nel nord-est a causa delle devastazioni di Boko Haram

Due milioni e settecentomila di sfollati. Il paese è dilaniato da guerra, corruzione e antichi rancori. 14 milioni di persone, tra cui 400.000 bambini, hanno oggi bisogno di assistenza umanitaria nella regione, ex roccaforte dei militanti di Boko Haram.

Un documento di Medici Senza Frontiere rileva una situazione che potrebbe peggiorare nel corso del 2017. Negli ultimi tre mesi distribuite 810 tonnellate di cibo solo a Maiduguri, la più grande città della regione e capoluogo del Borno State, sufficienti a sfamare per due settimane 26.000 famiglie che vivono in campi informali allestiti dalle organizzazioni umanitarie.

Sono circa 2,7 milioni gli sfollati interni, provocati da una guerra che il governo centrale di Abuja sta combattendo, non solo contro i miliziani jihadisti di Boko Haram, ma forse anche contro gli effetti delle ferite e dei rancori etnici sedimentati e mai risolti, prodotti dalla corruzione ramificata che non cede di un millimetro, oltre che a nuovi impulsi irredentisti di affrancamento dalle multinazionali del petrolio nel Delta del Niger.

Tutto in Nigeria che è il più popoloso paese dell'Africa, con i suoi 176 milioni di abitanti, il 54% dei quali sono bambini, diviso esattamente a metà, fra cristiani e musulmani, e dove le diverse etnie fanno sentire forte la loro rilevanza politica, soprattutto nel Delta del Niger, dove le compagnie petrolifere depredano e inquinano e dove non si è mai del tutto risolta la questione "Biafra"

14 milioni di persone, tra cui 400.000 bambini, hanno oggi bisogno di assistenza umanitaria nella regione, ex-roccaforte di Boko Haram. Da quando il gruppo jihadista ha iniziato i suoi attacchi nel Paese nel 2009, sono state uccise almeno 25.000 persone, e praticamente raso al suole centinaia di villaggi.

Nel Borno State in mezzo a fame e migrazioni forzate, sono quasi spariti i bambini al di sotto dei cinque anni di età. È l’allarmante appello di Medici Senza Frontiere. Non ci sono più nei centri per la cura della malnutrizione, non ci sono più negli ambulatori medici, non ci sono più nei reparti degli ospedali, non ci sono più legati sulle spalle delle loro madri. È singolare non vedere bambini piccoli quando vengono allestiti nuovi campi per gli sfollati interni. Esistono sempre e solo fratelli e sorelle più grandi. Allora, dove sono andati?

Tra il 2013 e il 2015, i civili del nord-est della Nigeria lasciano le proprie case per sfuggire agli attacchi di Boko Haram. Da villaggi limitrofi, a migliaia trovarono rifugio a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, oppure in Camerun, o in Niger, o ancora negli stati nigeriani più a Sud.

Il governo nigeriano, con una coalizione che comprende, oltre all'esercito nigeriano, anche quelli di Niger, Ciad e Camerun, nel 2014 ha lanciato un'offensiva, che si è intensificata l’anno successivo. Mentre i combattimenti jihadisti continuavano a mettere bombe, distruggere, villaggi e rapire ragazze, milioni di civili sono stati sradicati dalle loro terre, spogliati di qualsiasi mezzo di sopravvivenza.

La mancanza di cibo e di nutrienti essenziali ha portato a tassi di malnutrizione preoccupanti. La malnutrizione spazza via la resistenza di un bambino o di un anziano alle malattie più banali. E allora un focolaio di morbillo diventa mortale. Malaria, diarrea e infezioni respiratorie hanno decimato la popolazione, la mancanza di vaccinazioni ha fatto il resto.

Solo lo scorso giugno, il governo nigeriano ha dichiarato l’emergenza alimentare nello Stato di Borno. Ormai troppo tardi. Troppi bambini e neonati avevano già perso la vita a causa della malnutrizione, aggravata da infezioni e malattie prevenibili. Sono state vittime della fame. Le proiezioni nutrizionali svolte in diverse località del nord-est nei mesi tra maggio e ottobre 2016 hanno rivelato che il 50% dei bambini sotto i cinque anni sono acutamente malnutriti.

Nel mese di luglio, secondo i report redatti dall’ONU, quasi un quarto di milione di bambini di quelle aree è affetto da malnutrizione grave. E almeno 75.000 bambini nel nord-est della Nigeria rischiano di morire per la fame nei prossimi mesi. Il prezzo degli alimenti di base è salito alle stelle. E un numero sempre crescente di famiglie residenti o sfollate, semplicemente non può permettersi di mangiare.

La distribuzione gli aiuti umanitari al di fuori della capitale Maiduguri è estremamente difficoltosa. Le aree periferiche sono isolate e la lotta a Boko Haram infuria ancora in questi mesi attorno a villaggi rasi ormai al suolo. L’agricoltura è annientata, i mercati rimangono vuoti, il personale sanitario e le strutture mediche sono in condizioni gravose.

Un milione e 800mila bambini non vanno più a scuola a causa degli attacchi da parte dei combattenti di Boko Haram, della distruzione degli edifici scolastici e dalla mancanza di insegnanti. I civili rimasti sono alla disperata ricerca di cibo, e hanno bisogno di assistenza medica, comprese le campagne di vaccinazione. Il ministero della salute nigeriano, con il supporto dell’OMS, si propone di raggiungere più di 75.000 bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 15 anni, in 18 campi di sfollati, tra cui Muna Garage, Custom House e Fariy, per le campagne di immunizzazione.

La nota di Medici Senza Frontiere .. "Nonostante nei mesi recenti sia aumentata l’assistenza umanitaria, sono centinaia di migliaia le persone in aree prive di accesso a cibo, acqua e assistenza sanitaria. Dunque, senza un significativo ampliamento degli aiuti umanitari da parte delle organizzazioni nazionali e internazionali la situazione potrebbe peggiorare nel corso di quest'anno appena cominciato. Negli ultimi tre mesi, abbiamo distribuito 810 tonnellate di cibo a Maiduguri, la più grande città nel nordest della Nigeria, un quantitativo sufficiente a sfamare 26.000 famiglie per due settimane. Le più vulnerabili sono quelle che vivono in campi informali non riconosciuti dalle autorità e che per questo non ricevono assistenza. Siamo un’organizzazione medica e di solito non ci occupiamo della distribuzione di cibo ma ci sono persone che vivono in condizioni disperate. Finora non sono intervenute altre organizzazioni, dunque siamo stati costretti a colmare questa lacuna"

In fuga dallo stato di Borno. Solo a Maiduguri sono ospitate in campi di fortuna almeno un milione di persone fuggite dal Borno State, sono fuggite dalla violenza e dalle condizioni d’insicurezza provocate dal conflitto tra gruppi armati e forze armate nigeriane.

"Molte sono arrivate senza nulla, non ci sono possibilità di guadagno, il costo del cibo è più che raddoppiato in dodici mesi, e anni di violenza e insicurezza hanno messo a dura prova la capacità di far fronte a una situazione del genere"

Oltre a gestire due grandi centri sanitari e due centri nutrizionali per bambini affetti da malnutrizione acuta, lo staff di MSF assicura l’approvvigionamento di acqua a Maiduguri, con circa 80.000-100.000 litri al giorno. È una misura d’emergenza per assicurare acqua potabile, prima di una soluzione più a lungo termine. Si stanno costruendo nuove latrine, sostituendo quelle esistenti e riabilitando i pozzi nel centro di Maiduguri.

L'aumento dell'assistenza alimentare. Il bisogno di assistenza alimentare è destinato ad aumentare a partire da marzo, da quando cioè le scorte dello dello scorso anno termineranno. Potrebbe essere l’inizio del periodo tra l'esaurimento dei granai dell’ultimo raccolto e l'arrivo del nuovo raccolto.

"Un’alimentazione adeguata permette non solo, ovviamente, di alleviare la fame, ma anche di contrastare le infezioni, come malaria e diarrea, che raggiungono un picco durante la stagione delle piogge, agli inizi di giugno. “Esiste una correlazione letale tra il periodo di tempo che intercorre tra la fine delle scorte e il nuovo raccolto, con la stagione delle piogge, nel momento in cui le difese immunitarie si abbassano per la mancanza di nutrimento adeguato, il numero delle infezioni aumenta. Questo è particolarmente vero per i bambini e può renderli molto vulnerabili alla malnutrizione severa e allo sviluppo di complicazioni

Un circolo vizioso costato la vita a decine bambini in pochi mesi. Nella sola Maiduguri, da giugno a ottobre dello scorso anno, questo circolo vizioso ha avuto conseguenze letali su centinaia persone. Ad agosto, 75 bambini su 369 ricoverati nel centro nutrizionale di Medici Senza Frontiere sono morti. A novembre, quando la stagione delle piogge si è conclusa e le condizioni mediche dei pazienti sono diventate meno critiche, sono morti altri 21 bambini su 250 ricoverati.

Durante l’estate, abbiamo dovuto assistere un numero enorme di bambini con gravi complicazioni anche se ora la stagione ci sta dando un po’ di tregua, ciò non significa che l’emergenza sia finita”. La preoccupazione aumenta anche per le centinaia di migliaia di persone senza cibo, acqua o assistenza medica, che vivono in zone dello Stato di Borno, in cui le organizzazioni umanitarie non possono ancora entrare.

Medici Senza Frontiere nello Stato di Borno. Qui, nella regione della Nigeria al momento più pericolosa, lo staff di MSF sta gestendo 11 (undici) centri sanitari ed effettuano visite regolari in altri cinque centri sanitari.
(Fonte dati: Medici Senza Frontiere)

Ecco la testimonianza di una famiglia in fuga
"Riusciamo ad avere cibo una volta ogni tanto, ma non regolarmente. Se siamo fortunati, ma spesso capita di non avere altra scelta che andare a dormire affamati. L'unico lavoro che riusciamo a trovare è nelle fattorie del posto, ma non è sempre possibile lavorare lì. A volte dobbiamo elemosinare il cibo in città"

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Articolo a cura di
Maris Davis

Maris Davis

domenica 29 gennaio 2017

Quel razzismo subdolo che non è mai scomparso

Emmanuel  con la moglie, entrambi fuggiti dalle atrocità
di Boko Haram in Nigeria
Vi ricordate di Emmanuel ?? Quattro anni ottenuti con il patteggiamento davanti al giudice, arresti domiciliari ma con il permesso di andare al lavoro tutti i giorni. È tutta qui la condanna per avere ucciso a pugni e calci un immigrato africano colpevole di avere difeso la sua compagna dagli insulti dello stesso assassino. È quanto è stato stabilito dalla sentenza che ha chiuso la vicenda riguardante l’uccisione di Emmanuel Chidi Nnamdi, l’immigrato nigeriano morto a Fermo il 5 luglio 2016 in seguito al pestaggio di Amedeo Mancini, ultrà della squadra locale di calcio, finito in carcere subito dopo l’episodio.

La sentenza, in sostanza, riduce ai minimi termini il conto presentato dalla giustizia all’imputato, chiude una vicenda al centro di un acceso dibattito fuori e dentro le aule di giustizia. A Mancini è stata contestata l’aggravante di aver agito per motivi razziali ma è stata riconosciuta l’attenuante della provocazione scattata, però, in seguito ai suoi insulti alla donna della vittima.

Insomma, si tratta di una condanna molto lieve che di fatto lancia un messaggio inquietante: uccidere per motivi razziali non è poi così grave e fa scattare una serie di attenuanti che possono ulteriormente ridurre la pena. Questa sentenza purtroppo è la dimostrazione che il razzismo non è affatto debellato, che le sue manifestazioni, per una buona parte delle nostre società, non sono per nulla gravi.

Del resto la cronaca, e la politica, ce lo dimostrano quasi tutti i giorni. Qual’è la valenza dello slogan: “Prima gli italiani?”, per esempio. E che dire dei campi di lavoro per la raccolta di frutta e verdura in molte parti d’Italia, dove i lavoratori stranieri sono pagati con salari infimi, totalmente insufficienti, da "moderna schiavitù"

E che dire delle nostre città che producono periferie abitate solo da stranieri, vere e proprie città nelle città, dove le leggi reali, i prezzi, gli affitti sono totalmente diversi da quelli che si registrano nel resto del paese? In Sudafrica questo sistema era legalizzato e si chiamava Apartheid. Nelle nostre città non è legalizzato ma è reale e alimenta il razzismo (come quello che ha spinto Amedeo Mancini a uccidere Emmanuel) che, sulla carta, dovrebbe essere un fenomeno del passato.

E poi cono tutti gli altri "Emmanuel". Non c’è altra parola. Razzismo che prende corpo con una frequenza che dovrebbe far paura all'Italia intera.

Caporalato e sfruttamento nelle campagne italiane
È la frequenza con cui queste cose accadono che fa paura. Nel settembre del 2008 a Milano fu ucciso di botte Ibba, diciannovenne originario del Burkina Faso. Da allora decine di altri casi per fortuna non tutti culminati con la morte. A Milano ne posso citare almeno quattro: un giovane sudanese picchiato nelle vicinanze della stazione, uno storico immigrato senegalese accoltellato alla fermata del tram, un togolese aggredito da una banda di notte in un quartiere periferico, un ragazzo nigeriano che alcuni giovani hanno cercato di gettare sui binari mentre sopraggiungeva il metrò. E poi ci sono i casi di cronaca, ricordo il più grave, quello dei due commercianti senegalesi uccisi a Firenze. Si potrebbe continuare.

Insomma il razzismo torna fuori, la nostra società non lo ha affatto debellato, si annida dentro le nostre città, nelle campagne dove si raccolgono i pomodori, nei piccoli centri come nelle grandi metropoli. È il frutto di una politica che sa che seminando paura si raccolgono voti. Ed è il frutto di una informazione che, spesso, non riesce a sbugiardare, con i fatti, quei politici.

Ma quel razzismo palese dei pestaggi a morte è anche il frutto di un razzismo più soft, più occulto, più subdolo. Quello che fa nascere e proliferare realtà come le banlieu a Parigi, o le Via Padova o Imbonati a Milano, o Molenbek a Bruxelles. Che cos’è quello se non una forma di apartheid?

E poi ancora che cosa ci si aspetta che nasca dal fatto che, nella realtà, immigrati e autoctoni, a parità di lavoro, vengono pagati con sensibili differenze a favore dei secondi. Che cosa ci si aspetta dal lavoro in nero di migliaia di neri nei campi di pomodori? Il razzismo non nasce dal nulla, ha un suo terreno fertile in una cultura sbagliata e prevenuta, un suo "humus" nella paura del diverso.

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Nessuno si senta assolto per la morte di Emmanuel
Nessuno si senta assolto per la condanna così lieve del suo assassino

E che dire del neo-eletto presidente degli Stati Uniti d'America che ha già prova manifesta del suo "Razzismo" ??

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Articolo a cura di
  Maris Davis

Maris Davis

sabato 28 gennaio 2017

I fabbricanti di schiave. Si alla punibilità dei "clienti" di prostitute

Nel 1989, quando il prete dalla tonaca lisa, don Oreste Benzi, esclamava che le donne sfruttate sui marciapiedi d’Italia erano tutte schiavizzate, riceva derisioni e assalti di ogni genere. Addirittura certi movimenti femministi lo insultavano rivendicando il diritto della donna a prostituirsi. Sono passati 27 anni e oggi, con quelle stesse femministe, si porta avanti la lotta a favore della donna da liberare dalla violenza sessuale e dalla prostituzione coatta.

Ci sono voluti alcuni decenni per ascoltare, anche da loro, che è una falsa libertà quella di prostituirsi. E quindi oggi le italiane ascoltano la voce di tante altre donne europee, non cattoliche e quindi non del Vaticano, impegnate nei propri Paesi al fine di contrastare i clienti e quindi la domanda della prostituzione.

Ieri a Montecitorio donne autorevoli, esponenti di Svezia, Norvegia, Francia hanno spiegato il valore supremo della dignità umana, l’incompatibilità della prostituzione con la libertà della persona e soprattutto la violenza che viene sempre espressa quando più uomini ogni giorno chiedono sesso a una stessa donna. E così abbiamo ricordato il dramma che si consuma sulle nostre strade, un fenomeno quadruplicato a causa delle organizzazioni criminali che portano le ragazzine nigeriane nella nostra penisola con l’unico obiettivo di ridurle "a macchinette", oggetti per fare soldi in poco tempo per poi reinvestirli nella compravendita di droga e armi.

Un mercato sciagurato dove il "cosiddetto cliente" diventa di fatto corresponsabile. Infatti è la domanda che produce un’offerta così smisurata e quindi coloro che richiedono persone giovanissime per soddisfare i propri turpi sfoghi sono complici e benefattori del racket.

La proposta di legge sulla punibilità del cliente della deputata Bini e della senatrice Puglisi, presentata da entrambe sia al Senato che alla Camera dei Deputati, è una speranza per chi porta delle catene che da solo non potrà mai spezzare. Lo Stato, il Parlamento deve mettersi dalla parte di chi deve essere liberato e quindi mobilitarsi affinché non ci siano più persone ridotte in stato di schiavitù.

Il contrasto a questa piaga è fondamentale a partire dal cuore, dalla coscienza di ognuno che, al di là delle logiche di partito o altro, dovrebbe chiedersi: "e se un giorno le nostre figlie o nipoti dovessero diventare come le vittime abbandonate e sole di oggi?"

Coloro che vogliono riaprire i bordelli o non conoscono il reale fenomeno della criminalità organizzata oppure sono in malafede

L’unica via per liberare le donne schiavizzate dalla prostituzione è unirsi come un vero popolo che si mette dalla parte di chi è drammaticamente dimenticato. Questa piaga vergognosa può essere realmente estirpata ma ci vuole la volontà. L’Italia può dimostrare di avere lo spirito giusto per farlo senza speculare né investire sugli oppressi.
(Articolo di don Aldo Buonaiuto, In Terris)

Loro, le piccole schiave, creature indifese non possono più aspettare

Associazione Papa Giovanni XXIII

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giovedì 26 gennaio 2017

Londra, La Corte Suprema rigetta la Class-Action dei nigeriani contro la Shell

La Corte Suprema di Londra ha stabilito oggi che i due gruppi di abitanti del Delta del Niger, nel sud della Nigeria, non possono perseguire nei tribunali britannici la Royal Dutch Shell, accusata di inquinamento ambientale per le costanti fuoriuscite di petrolio nella regione.

Secondo il parere di alcuni esperti, se il massimo tribunale avesse accettato la richiesta delle popolazioni Ogale e Bille, altri avrebbero potuto essere incoraggiati a perseguire azioni legali nei tribunali britannici contro le multinazionali con sede in Inghilterra.

Più di 40.000 nigeriani delle comunità Ogale e Bille intentarono due class-actions contro la compagnia petrolifera e la sua controllata nigeriana Spdc per le costanti fuoriuscite di greggio che hanno distrutto la loro terra e inquinato le acque. Alla fine di novembre la Shell ha replicato ai ricorsi presentati a Londra dalle due comunità nigeriane sostenendo che la competenza territoriale è di un tribunale nigeriano dove è avvenuto il presunto crimine.

Il Re della comunità Ogale, Emere Godwin Bebe Ukpabi, aveva spiegato che la giustizia britannica rappresentava l'ultima speranza per fermare l'inquinamento. "Shell è la Nigeria, e la Nigeria è la Shell. Non si può vincere contro Shell davanti ad un tribunale nigeriano. Il sistema giudiziario nigeriano è pieno di corruzione"

La class-action chiedeva ai giudici britannici di costringere la Shell ad accettare le conclusioni di un'inchiesta delle Nazioni Unite che nel 2011 aveva evidenziato le devastazioni causate dall'inquinamento da idrocarburi in Ogoniland, la regione in cui vive la comunità Ogale nel Delta del Niger. "La mia gente è colpita da malattie strane. Alcuni soffrono di malattie della pelle o infertilità. Altri muoiono improvvisamente"

Secondo l’ONU il danno ecologico causato dalle fuoriuscite di petrolio nel Delta del Niger potrebbe richiedere la più ampia operazione di pulizia mai intrapresa nel mondo, della durata di 25 o 30 anni.

Shell ed ENI sono i maggiori produttori di petrolio in Nigeria. La Shell contesta le accuse sostenendo che l’inquinamento sia causato dalle stesse comunità che sottraggono il petrolio dalle condutture, dal sabotaggio degli oleodotti e dalla raffinazione illegale.

Nel gennaio 2015, dopo una battaglia legale di tre anni, Shell accettò di pagare più di 80 milioni di dollari a 15.600 pescatori Bodo, un'altra comunità nigeriana colpita da due grandi fuoriuscite di petrolio nel 2008. Nel 2009 Shell pagò 15,5 milioni di dollari in un patteggiamento in cui però negò la propria colpevolezza, con il quale evitò di essere portata davanti ad un tribunale statunitense per l'accusa di complicità nell'omicidio dell'attivista Ken Saro Wiwa e altri 5 militanti Ogoni, il 10 novembre 1995.

La decisione di oggi della Corte Suprema inglese rappresenta un duro colpo per le due comunità nigeriane, che sanno bene che vincere contro il colosso petrolifero in Nigeria è praticamente impossibile.
(Reuters Africa)


"Tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale"

Altri nostri articoli sulla situazione del Delta del Niger
Petrolio,
inquinamento e povertà nel Delta del Niger
- leggi -
Delta del Niger,
l'inquinamento che nessuno vuole vedere
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Gas Flaring nel
Delta del Niger
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Articolo a cura di
Maris Davis

Maris Davis

Uganda, un esempio di accoglienza anche per "certi" paesi europei

Nel 2016 la piccola Uganda ha accolto giornalmente più rifugiati di quanti sono stati ricevuti da alcuni paesi europei in un anno. Uganda esempio di accoglienza, da cui molti paesi europei dovrebbero prendere esempio.

Uganda, rifugiati sud-sudanesi
Lo ha dichiarato ieri il segretario generale dell’organizzazione norvegese Refugee Council (NRC), Jan Egeland. "L'Europa dovrebbe imparare dal modo in cui l’Uganda ed altri paesi africani stanno mantenendo aperti i confini, come prescrive la Convenzione sui Rifugiati, invece di barricarsi con filo spinato e muri"

Non solo, l’Uganda dà ai rifugiati il diritto al lavoro, libertà di movimento, accesso agli stessi servizi dei cittadini e un piccolo pezzo di terra da coltivare.

Secondo l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), il numero di persone fuggite dalla guerra civile in Sud Sudan nel vicino Uganda lo scorso anno sono stati circa 500.000, un numero molto superiore ai 362.000 immigrati che hanno attraversato il Mediterraneo verso l'Europa nello stesso periodo.

Nel mondo i paesi a basso e medio reddito ospitano il 90% degli sfollati di tutto il mondo, la maggior parte dei quali vogliono stare vicino a casa nella speranza di poter un giorno rientrare. Mentre il ricco occidente ospita solo il restante 10% di tutti i rifugiati.
(Voice of Africa)

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mercoledì 25 gennaio 2017

Un anno senza Giulio Regeni. Impegno per la verità e la giustizia

Giornata di mobilitazione in tutta Italia a 12 mesi dalla scomparsa del ricercatore friulano barbaramente assassinato in Egitto.


Manifestazione a Fiumicello, Udine, il paese di origine di Giulio

Gente comune, politici, Amnesty International, chiedono al governo di battersi perché gli assassini vengano scoperti. L'appello del CSM alle autorità egiziane: "fate quello che non avete fatto fino ad ora per far emergere cosa è accaduto"

È passato un anno dalla morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso al Cairo. E ancora la verità è lontana, dopo mesi di depistaggi assurdi in cui dall'Egitto hanno cercato di spacciare la morte violenta dello studente per incidente stradale, pestaggio legato al mondo gay, traffici di droga e all'ultimo un rapimento andato a male. Ma il dolore, la memoria, il desiderio di giustizia restano e crescono col tempo. Forti. Tanto che in tutta Italia sono previste manifestazioni e incontri per ricordarlo e chiede chiarezza sulla sua fine.

E dal mondo politico, delle associazioni, della magistratura arrivano appelli al governo affinché si muova, faccia pressione sulle autorità egiziane, perché gli assassini di Regeni vengano scoperti e puniti. Qualsiasi sia la catena di comando che ha deciso, avallato o comunque coperto gli autori di un omicidio che, secondo molti, porta direttamente alle più alte sfere del potere.

Amnesty Italia promuove la giornata di mobilitazione #365giornisenzaGiulio per continuare a chiedere la verità sul brutale omicidio. E anche le cariche più alte del governo si muovono. "Un anno dall'orribile uccisione di Giulio Regeni. Vicinanza alla famiglia. Impegno con la magistratura per ottenere #veritapergiulioregeni". Lo scrive su Twitter il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, nell'anniversario della scomparsa del ricercatore friulano.




Amnesty international che da anni si batte per il rispetto dei diritti civili nel mondo è netta: "Abbiamo abbastanza chiaro ciò che è accaduto prima della morte ma non ancora quello che è accaduto dopo. Se la catena di comando non emerge e non arriva almeno al ministero dell'Interno, ci sarà sempre una verità di comodo. Il gesto del governo italiano di ritirare l'ambasciatore dal Cairo l'anno scorso è stato forte ed è importante, ma dopo hanno prevalso l'equilibrismo e la volontà di avere buoni rapporti con l'Egitto. Senza contare che la collaborazione del governo egiziano è stata ed è formale e al minimo indispensabile"

Non solo, il portavoce di Amnesty parla di una situazione gravissima."Oggi in Egitto ci sono centinaia di persone scomparse, così come accadeva in America Latina negli anni '70-'80, e quindi, se non si risale alla catena di comando che lega l'operato materiale di ha sequestrato, fatto sparire, torturato non si arriverà mai alla verità"


Nell'ultimo anno, in Egitto si sono registrati oltre mille casi di sparizioni sospette. "Desaparecidos" a tutti gli effetti



Articolo a cura di
Maris Davis

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venerdì 20 gennaio 2017

Nigeria, aviazione per errore bombarda un campo profughi. Oltre cento i morti

È accaduto a Rann nel nord-est del Paese. Un jet ha colpito per errore il centro che assiste gli scampati ai massacri degli islamisti di Boko Haram. Il responsabile di MSF (Medici Senza Frontiere) nella zona: "Attacco contro persone inermi è scioccante e inaccettabile". Il bilancio è drammatico, oltre 100 morti, uccisi anche sei operatori della Croce Rossa.

Nord-est Nigeria, campo profughi di Rann
Il jet da combattimento è sfrecciato in un attimo sopra il campo profughi di Rann nel nord-est della Nigeria, al confine con il Camerun. L'esplosione delle bombe è stata talmente forte da coprirne il rombo, a terra si è scatenato l'inferno. Un'ecatombe, hanno raccontato i testimoni. Tra gli sfollati, scampati ai massacri di Boko Haram e gli operatori umanitari i morti sono più di un centinaio, decine (forse 200) i feriti. La notizia è venuta dalle stesse autorità nigeriane che hanno parlato di "un errore" compiuto da un caccia dell'aeronautica nigeriana in missione nello stato di Borno al confine con il Camerun, proprio contro gli integralisti islamici dell'organizzazione terrorista Boko Haram.

La Croce Rossa ha comunicato che sei suoi volontari sono stati uccisi e 13 feriti, Medici Senza Frontiere ha parlato di morti e feriti tra i suoi dottori e operatori umanitari. Il governo ha inviato nella regione, isolata e difficile da raggiungere, elicotteri che fanno la spola per cercare di portare via i feriti che potrebbero essere curati nei confinanti Camerun e Ciad, dove sono operativi ospedali da campo e strutture sia di MSF che della Croce Rossa.

Il generale Lucky Irabor, comandante dell'offensiva in atto da qualche mese contro i Boko Haram nel nord-est della Nigeria, ha confermato il bombardamento "per sbaglio" nella regione. È la prima volta che i militari ammettono di aver colpito un obiettivo civile, benché già in passato testimoni avessero denunciato incursioni dei caccia di Abuja. Ma quella di oggi è una strage senza precedenti, dalle dimensioni enormi.

Nel suo comunicato il generale ha detto di aver ordinato la missione basandosi su informazioni relative ad un raggruppamento di Boko Haram proprio in un'area e nella zona indicata da quelle coordinate. Ma ha aggiunto che è presto per sapere se si è trattato di un errore tattico o geografico. In ogni caso, ha sottolineato, è chiaro che l'aeronautica militare non prende di mira i civili volutamente. Sulla vicenda, ha aggiunto, è stata aperta un'inchiesta anche se è probabile che il pilota del caccia abbia creduto di attaccare un accampamento di Boko Haram.

Il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, ha espresso il proprio sgomento per la perdita di vite umane e ha invitato alla calma la popolazione e le autorità. Ma il direttore delle operazioni locali di MSF, Jean Clement Cabrol, non ha risparmiato le parole di condanna. "Questo attacco su larga scala contro persone inermi e vulnerabili che già erano state costrette a fuggire da situazioni di violenza estrema è scioccante e inaccettabile"

Il campo profughi colpito dal raid aereo era infatti stipato da sfollati costretti ad abbandonare i loro villaggi dalle sanguinarie incursioni dei Boko Haram. Sin dal 2009 sono 25mila le persone morte in attentati e attacchi armati ad opera dei jihadisti di Boko Haram, il cui raggio di azione si è esteso dal nord est della Nigeria fino ai confinanti Ciad, Niger e Camerun. Nell'area almeno 2,7 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case per sfuggire al gruppo terrorista, noto anche per rapimenti di massa come quello delle ragazze di Chibok.
(la Repubblica)

Video di Medici Senza Frontiere
(dal luogo della strage)


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giovedì 19 gennaio 2017

Torturatore di migranti in Libia arrestato a Milano

"Ogni sera mi legava e stuprava". Le sue vittime lo riconoscono e lo denunciano. Donne stuprate ripetutamente, uomini torturati e uccisi. Le testimonianze delle vittime di Osman Matammud, il "capo profughi" nel campo di Bani Walid in Libia.

 "Io non sono somalo, non sono musulmano, sono il vostro padrone", così cominciavano stupri e violenza. Si era mescolato tra i migranti. L'uomo è stato arrestato a Milano mentre era ospitato nel centro profughi di via Sammartini. Le accuse sono di sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio plurimo e violenza sessuale aggravata, anche su minorenni. A riconoscerlo proprio due ragazzine di cui aveva abusato per mesi in quel lager libico, che come tutti gli ospiti del lager, lo conoscevano come Ismail.

Le violenze sessuali soprattutto sulle minorenni
I racconti della vittime sono estremamente cruenti e sottolineano l'efferatezza di Matammud. Ogni clandestino pagava settemila dollari per entrare illegalmente in Italia. Prima di arrivare sulle coste italiane, una serie di violenze , di orrori e morte scandiva le giornate dei migranti. Tutte perpetrate dalla mano del 22enne somalo. "Matammud e i suoi uomini ogni giorno prelevavano uomini dal capannone per portarli in una vera e propria stanza delle torture. Le donne invece venivano portate nel suo appartamento dove si consumavano gravissime violenze sessuali"

A parlare è una ragazza nigeriana minorenne, ascoltata dagli agenti della polizia locale e dagli inquirenti. "Sono stata quattro mesi nel centro di Bani Walid. Ismail è venuto nell’hangar, mi ha presa e mi ha stracciato il vestito davanti a tutti. Poi quando sono rimasta nuda ha cercato di penetrarmi, ma non ci è riuscito perché io sono infibulata. Mi ha portato in una stanza di un edificio vicino, mi ha legato le mani dietro la schiena, mi ha messa per terra, mi ha aperto le gambe e con uno strumento metallico ha aperto l’accesso alla mia vagina, al fine di penetrarmi praticando un taglio attraverso l’infibulazione. Lì dal dolore sono svenuta, quando mi sono svegliata mi aveva già violentata"

Non un caso, un'altra ragazza, amica della vittima, ha rivelato quello che le è accaduto in quel "lager": "Sono stata chiusa lì dentro tre giorni e tre notti, in cui sono stata violentata ulteriormente. Nei tre giorni di prigionia non ho mangiato nulla e ho solo bevuto"

Lo scenario dipinto dalle vittime e dalle indagini è raccapricciante: "Ismail è un vero e proprio torturatore. Tutto il giorno violentata le donne e picchiava le persone. Nemmeno i soldi lo fermano, nemmeno quei i settemila euro che i genitori mandavano ai figli reclusi nel campo. Anche una volta terminato il pagamento del viaggio" sottolinea il Gip "Le violenze e le sevizie sono continuate per mero sadismo, per soddisfare un puro piacere che l’indagato provava nel torturare e seviziare i "suoi profughi"

Le torture sugli uomini
Il racconto di un giovane vittima delle violenze dell'arrestato. Le donne venivano picchiate e stuprate, mentre gli uomini erano spediti a lavorare: "Io venivo mandato a lavorare per costruire un altro campo per profughi. Una volta sono stato picchiato talmente forte che per due settimane non sono riuscito a mangiare e mi dovevano imboccare". Un altro ragazzo racconta: "Sono stato torturato con delle scariche elettriche nella stanza delle torture che c’era fuori dal campo"

Ognuno aveva un trattamento particolare da Ismail, spiega un altro ragazzo: "Ismail per me aveva trovato una tortura particolare. C’era un punto della stanza (quella usate per la reclusione, ndr) dove passava il sole dall'alto. In questo punto della stanza faceva caldissimo. Ismail mi legava mani e piedi dietro la schiena e mi lasciava per ore e ore sdraiato per terra, finché mi disidratavo e mi orinavo addosso". Ma c'è anche chi non è sopravvissuto alla mano del carnefice come quattro ragazzi ammazzati di botte o strangolati perché i loro genitori non avevano trovato i settemila dollari necessari per il viaggio.

In riferimento ai racconti terribili di "torture", "sevizie" e stupri contenuti negli atti, il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, che insieme al procuratore Francesco Greco e al pm Marcello Tatangelo ha coordinalo le indagini su Osman Matammud, ha ammesso che "in quarant'anni di carriera non ho mai sentito di un orrore simile"

Ora una decina di migranti, tra cui due ragazze minorenni violentate, le prime a riconoscerlo a Milano vicino alla stazione Centrale, sono pronti a testimoniare contro di lui anche in un incidente probatorio, vogliono "il processo pubblico per lui" e potranno restare in Italia con un permesso di soggiorno per motivi di giustizia.

A capo del centro libico di Bani Walid "per almeno un anno", gestito anche da altri trafficanti di uomini, Matammud si sarebbe poi nascosto su un barcone, ai primi di settembre, fino al suo arrivo in Sicilia, e dopo una sosta a Firenze, è arrivato a Milano. Nel capoluogo lombardo, il 23 settembre, è stato visto da due ragazzine che, stando alle indagini, aveva stuprato in Libia e che erano ospiti dell'hub per migranti di via Sammartini. Il suo riconoscimento "E' stato un caso", ha ammesso il PM.

Nel "lager" in Libia, un capannone sorvegliato da guardie armate, e dove dormivano tutti a terra, c'era un solo bagno. I migranti venivano sottoposti a violenze terribili "perché facessero arrivare al più presto tutti i soldi". Chi non pagava alla fine veniva ucciso "anche a botte", perché "diventava solo un costo e le salme venivano lasciate in vista come ammonimento"

Le violenze, tuttavia, erano "gratuite" anche nei confronti di chi già aveva pagato. "Le donne, soprattutto quelle infibulate, venivano stuprate anche poco prima della partenza". Matammud, poi, "torturava personalmente, anche con scariche elettriche". L'arrestato, è un uomo la cui indole "appare riduttivo definire violenta", ha scritto il gip. Le violenze, oltre che da alcuni fotogrammi, sono state accertate anche con relazioni medico legali. La permanenza nel "lager libico" per i migranti poteva durare "dai due agli otto mesi e, comunque dopo un anno, se non pagavano, venivano uccisi"
(Ansa)

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