martedì 28 novembre 2017

Castel Volturno, violenza di gruppo su una ragazza nigeriana

La mafia nigeriana a Castel Volturno esiste, è potente ed è molto pericolosa”. L'avevano fatta fuggire dal Cara di Foggia, ma lei non si voleva prostituire, e così hanno chiamato il branco per punirla.


Il fatto è accaduto il 18 novembre a Castel Volturno, in un appartamento nei pressi del parco del Saraceno. La testimonianza di altre due ragazze nigeriane presenti nell'appartamento che sono state obbligate ad assistere allo stupro della loro amica.

Subito dopo il fatto le due testimoni sono fuggite e si sono subito rivolte ai carabinieri. All'arrivo dei carabinieri sul luogo della violenza, circa mezz'ora dopo l’allarme, gli aggressori si erano già dati alla fuga. La vittima è stata ricoverata in ospedale in stato di shock e ha confermato la violenza. Ricercata la titolare dell'appartamento, una donna nigeriana di 38 anni e quasi certamente la mamam che ha "commissionato" lo stupro, che al momento risulta irreperibile.

La "vittima", una giovane nigeriana di 19 anni, sarebbe stata fatta fuggire alcuni giorni prima dai suoi aguzzini da un centro d’accoglienza di Foggia e portata a Castel Volturno per essere avviata al mondo della prostituzione. Al suo diniego di "scendere in strada" l’avrebbero immediatamente violentata, come fanno per ogni nuova nigeriana che arriva in Italia.

Le due testimoni e la vittima sono state portate in una casa protetta.
(Il Mattino)

Condividi su Facebook


lunedì 27 novembre 2017

Palermo. Le associazioni saranno "parti civili" nel processo contro gli sfruttatori di una nigeriana

Fugge da una casa di Ballarò dove la sua mamam la costringeva a prostituirsi e denuncia i sui sfruttatori. Le associazioni di donne: “Saremo parti civili al processo


Arriva la solidarietà delle donne palermitane alla giovane nigeriana fuggita dalla costrizione alla prostituzione. Una delegazione formata da una rappresentanza di donne del consiglio comunale di Palermo, dalle Donne di Benin City, da Fiori di Acciaio, da Mezzocielo, dall’Udi e dal centro studi Pio La Torre, ha incontrato ieri mattina, nel reparto di ortopedia di lunga degenza dell’ospedale Civico di Palermo, la ragazza costretta a prostituirsi che è riuscita a scappare dalla sua ‘maman’, gettandosi dal secondo piano di una ‘casa chiusa’ a Ballarò (quartiere di Palermo).

La giovane, che adesso dopo alcuni interventi chirurgici sta meglio, è in convalescenza e attende di avere notizie del processo che l’avvocato Ettore Barcellona, legale del centro studi Pio La Torre, insieme all’attivista Nino Rocca, stanno cercando di istruire per dare un esito positivo alla vicenda.

A Palermo, la tratta delle nigeriane fa girare un business da oltre 10 milioni di euro l’anno, dice Nino Rocca, attivista del Centro Studi Pio La Torre, ma è un dato addirittura sottostimato". 

L’organizzazione nigeriana che sfruttava la ragazza è sotto processo con l’accusa di ‘mafia’, sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavitù. È la prima volta che, in Italia, le associazioni saranno "parte civile" in un processo contro la "mafia nigeriana"

La giovane nigeriana, che ha voluto denunciare i suoi protettori, è adesso circondata dell’affetto di molte persone che si sono strette attorno a lei, come ad esempio Osas, presidente dell’associazione Donne di Benin City. L’incontro di ieri di tutte le associazioni, promosso dalle consigliere Valentina Chinnici, Valentina Caputo, Concetta Amella, Viviana Lo Monaco, Barbara Evola, Katia Orlando e Roberta Cancila, ha avuto lo scopo di dare sostegno e visibilità alla triste vicenda ed in seguito le stesse si costituiranno parte civile nel processo contro gli sfruttatori della ragazza.
(Il Gazzettino di Sicilia)

Condividi su Facebook


Ancora attacchi di Boko Haram nella Nigeria nord-orientale


Assaltata la città di Magumeri
Abitanti in fuga nel nord-est del paese. Un gruppo armato ha attaccato sabato la città di Magumeri, nel nord-est della Nigeria. Secondo le prime informazioni sarebbe entrato in azione un commando del gruppo jihadista Boko Haram, molto attivo nel Borno, regione dove si trova la città.

Secondo quanto riferito da testimoni, i residenti della città hanno abbandonato le loro case per rifugiarsi nella vicina foresta e gli uomini armati avrebbero preso il controllo del centro abitato.

Fonti militari hanno confermato l'attacco, senza però specificare se la città, capoluogo dell'omonima area di governo locale, sia stata occupata dal gruppo armato.
(Reuters)


Boko Haram attacca una fattoria e uccide sette agricoltori
Le vittime sono state sorprese nel sonno. Immobilizzate e legate, sono state uccise con colpi d'arma da fuoco alla testa.

Sette persone, tutti uomini, sono state uccise in una fattoria nello stato di Adamawa, nel nord-est della Nigeria, ad opera di un gruppo di uomini armati che apparterrebbero al gruppo islamista Boko Haram. L'attacco arriva pochi giorni dopo il massacro di almeno 50 persone durante un raid del gruppo jihadista.

Secondo alcuni testimoni, gli aggressori, che erano travestiti da guardie di sicurezza, hanno sorpreso i contadini nel sonno intorno alle due di notte, vicino al villaggio di Sabon Gari, nel distretto di Gombi.

All'attacco è sopravvissuto solo un agricoltore, che è riuscito a scappare prima che cominciasse il massacro. I sette cadaveri sono stati trovati con le mani legate dietro la schiena e tutti mostravano delle ferite d'arma da fuoco alla testa.
(Globalist)



Condividi su Facebook


Zimbabwe, Mugabe coperto d'oro in cambio di una transizione pacifica

L'ex presidente dello Zimbabwe, Mugabe, se ne va con una buonuscita d'oro da 10 milioni di dollari. Prima delle dimissioni, avvenute il 21 novembre, ha contrattato una consistente liquidazione e una serie di benefit a vita.

Robert Mugabe e la consorte Grace

È l'ultimo "ricatto" per consentire una transizione pacifica dei poteri dell'ex-rivoluzionario diventato il dittatore che ha ridotto in povertà il suo popolo.

'Buonuscita' d'oro per l'ex presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, che prima delle dimissioni ha contrattato una consistente liquidazione e una serie di benefit a vita. Lo scrive il Guardian online, precisando che la somma esatta non è nota, ma non è certamente inferiore ai dieci milioni di dollari, cinque dei quali subito e il resto nei prossimi mesi.

La 'pensione' sarà pari a 150 mila dollari per lui e alla metà, sempre a vita, per la stravagante e dispendiosa moglie, la 52enne Grace, soprannominata per questo Gucci Grace. Alla famiglia Mugabe, che continuerà ad abitare nella sconfinata proprietà di Blue Roof ad Harare, saranno pagate a vita cure mediche, staff domestico, sicurezza e viaggi all'estero. Oltre all'immunità, l'accordo negoziato nei giorni convulsi precedenti all'abbandono del potere dopo 37 anni di 'regno' incontrastato, include la garanzia che tutte le proprietà della famiglia allargata non saranno in alcun caso toccate.

Gli agi dorati in cui vive Mugabe non sono una novità. Ma in un Paese dove la vita media è di 60 anni, il tasso di disoccupazione oltrepassa l'80% e la moneta locale non esiste più a causa dell'inflazione fuori controllo (sostituita dal dollaro Usa e dal rand sudafricano) fa ancora più effetto la liquidazione milionaria del 93enne ex presidente.

"Che non dovesse più tirare la corda lo aveva capito anche lui, ha rivelato Fidelis Mukonori, prete cattolico che conosce Mugabe da decenni e che ha fatto da mediatore nelle trattative che hanno portato alle dimissioni. Sapeva di essere arrivato alla fine della strada, sotto l'immensa pressione degli ultimi giorni come presidente, ha cercato una graduale e tranquilla transizione del potere nelle mani del suo vice Emmerson Mnangagwa"

Abbandonare precipitosamente la lussuosa residenza di Blue Roof sarebbe stato sgradevole, anche se il vecchio padre-padrone avrebbe sicuramente trovato qualcuno disposto a ospitarlo, come fece lui quando, nel 1991, accolse Menghistu Hail Mariam in fuga dall'Etiopia e dette all'ex negus rosso un posto da consigliere per la sicurezza dello Zimbabwe, dove tuttora risiede.
(Rai News)

Condividi su Facebook


Nigeria. La squadra femminile di bob parteciperà alle olimpiadi invernali 2018

Le ragazze della Nigeria scoprono il bob e vanno alle Olimpiadi. Seun, Ngozi e Akuoma parteciperanno alle olimpiadi invernali del prossimo febbraio in Corea del Sud. È la prima volta di un paese africano.

Seun, Ngozi e Akuna parteciperanno alle olimpiadi invernali 2018 per la Nigeria

Vi ricordate il film "Quattro sotto zero" (il titolo originale era Cool Runnings)? Quello che, ispirandosi a una storia vera, narrava le vicende di quattro giamaicani squinternati che riuscirono a partecipare ai Giochi Olimpici Invernali di Calgary nella gara di bob? Ecco, ora c'è la versione femminile. Sono in tre, si chiamano Seun Adigun, Ngozi Onwumere e Akuoma Omeoga e arrivano dalla Nigeria, una terra che notoriamente non brilla per dare i natali a campioni di sport sulla neve. E a febbraio partecipano all'Olimpiade coreana di Pyeongchang nella gara di bob.



La Nigeria festeggia: va alle Olimpiadi (invernali)
«Nessuna nazione africana ha mai preso parte a un Olimpiade invernale, racconta con orgoglio Seun. Per noi è quasi una missione». Tutto parte da un'idea (folle?) proprio della Adigun, che fra il 2009 e il 2012 ha gareggiato nella corsa ad ostacoli per i colori della nazionale nigeriana. L'atleta si è innamorata del bob negli Stati Uniti e ha deciso di reclutare le "colleghe" Onwumere e Omeoga, entrambe sprinter.



Si sono auto-finanziate
Così attraverso GoFundMe le tre sono riuscite a raccogliere $150,000 per equipaggiamento e spese di viaggio, hanno stabilito la loro sede in Texas, aperto social media (profilo Instagram, pagina facebook) e girato divertenti video su YouTube. Per diversi mesi Seun, Ngozi e Akuoma non hanno potuto allenarsi con un vero e proprio bob e si sono arrangiate con l'inventiva. Il training infatti veniva effettuato con un surrogato di legno piuttosto primitivo creato da Seun e chiamato The Mayflower. «Ci ha aiutato a imparare sul campo la meccanica di questo sport», hanno raccontato le atlete. Ma ora il sogno è diventato realtà.

Save the date: il 20 e 21 febbraio 2018, giorno delle gare sulla pista dell'Alpensia Sliding Centre nella località di Daegwallyeong. Ci saranno anche loro a sfidare i mostri sacri di Germania, Stati Uniti e Italia. E mai come stavolta l'importante è partecipare.





Articolo a cura di
Maris Davis

Condividi su Facebook


mercoledì 22 novembre 2017

Genocidio e Crimini contro l'Umanità. Condannato all'ergastolo il boia di Srebrenica

Tribunale dell'Aia. L’ex generale dell’esercito serbo-bosniaco, Ratko Mladic, accusato per genocidio e crimini contro l’umanità, ha atteso il verdetto fuori dall’aula dopo aver dato in escandescenze al momento della lettura della sentenza.


Bosnia-Erzegovina, 11-22 luglio 1995. In quei giorni le truppe del generale Ratko Mladic coadiuvate da gruppi para-militari, attorno alla cittadina di Srebrenica, massacrarono 8.373 civili di fede mussulmana, 1.500 erano bambini. A distanza di 22 anni il tribunale internazionale ha condannato il principale artefice di quelle atrocità.

Ergastolo, dice il giudice nel silenzio dell’aula, davanti alla sedia lasciata vuota da Mladic: «I crimini commessi figurano tra i più vergognosi conosciuti dal genere umano, includono il genocidio e lo sterminio come crimini contro l’umanità». Ci sono voluti più di vent’anni d’attesa, quindici di latitanza e quattro di processo. Trecento testimoni, diecimila elementi di prova. Ore ad ascoltare i suoi deliri difensivi, «l’ho fatto per proteggere l’Europa dall’Islam!». Gli appigli a qualsiasi cavillo, «non esiste traccia d’un mio ordine scritto!». Le inattaccabili tesi dell’accusa, «la prova della pulizia etnica è nel fatto che i musulmani sono spariti da molti villaggi bosniaci». I disperati tentativi dei suoi legali per sottrarlo alle udienze, «sta male, bisogna curarlo in Russia»

Le sceneggiate all’udienza di chiusura, le escandescenze che hanno costretto il presidente del Tribunale internazionale a espellerlo dall’aula. Alla fine, molto alla fine, la giustizia è arrivata: all’età di 74 anni il generale serbo-bosniaco Ratko Mladic, il macellaio che dal 1991 al 1995 martirizzò Sarajevo e «ripulì» tutta la Bosnia, 100mila morti e due milioni 200mila sfollati, l’uomo che a Srebrenica ordinò il più grande massacro mai visto dalla Seconda guerra mondiale, più di 8mila ammazzati, è stato condannato a vita.

I capi d’imputazione erano undici, ma solo per abbreviare la durata del processo. I tre giudici dell’Aja, l’olandese Alphons Orie, il sudafricano Bakone Moloto e il tedesco Christoph Flugge, si sono concentrati sul genocidio a Srebrenica e in altre sei città, sulla persecuzione dei musulmani e dei croati, sul bombardamento su Sarajevo e sul cecchinaggio dalle colline che fecero 10mila morti (1.500 erano bambini), sulla presa in ostaggio di caschi blu dell’Onu… Impossibile esaminare tutte le migliaia di stupri, razzie, devastazioni della più spaventosa guerra mai vista in Europa dopo il nazismo. La sua latitanza è durata quanto quella di Eichmann, ma la sentenza è stata infinitamente più lieve.

Non scandalosa come i 40 anni che furono inflitti a Radovan Karadzic, l’ideologo dei massacri. Ma comunque un solo, simbolico ergastolo «in considerazione dell’età e delle condizioni di salute dell’imputato», a chiudere questa Norimberga dei Balcani. Lui è «il paradigma del male», commenta l’alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad al Hussein: «Questa sentenza è un avvertimento agli autori di crimini del genere: non si sfugge alla giustizia»

Ratko Mladic
Mladic è apparso nelle vesti d’un militare in congedo, con la giacca e la cravatta. Ostentando la sua malattia, chiedendo d’interrompere per andare in bagno e ci resta 40 minuti, poi dicendo d’avere una crisi ipertensiva (i suoi legali hanno chiesto l’ennesimo rinvio), quindi sbraitando: il giudice olandese alla fine ha ordinato alle guardie di portarlo in un’altra stanza, ad ascoltare da lì la condanna. Mladic adesso tiene gli occhi chiusi, quando arriva la sentenza. Ma quegli stessi occhi li teneva ben aperti all’epoca e in mimetica accarezzava sulla testa i ragazzini, per poi ordinarne l’esecuzione.

«Da sopravvissuta, commenta Lejla Deljanin, 37 anni, che nel 1992 era una bambina e fu colpita alla testa mentre correva sul famoso viale dei cecchini, credo che qualunque pena sia comunque troppo breve per lui. E insufficiente di fronte a tutte le vite che ha distrutto»

Il fidato boia di Milosevic e di Karadzic ha assistito alla lettura del verdetto. I suoi medici fino all’ultimo hanno tentato d’impedirglielo, accusando l’Onu di non dare le cure adeguate al recluso, proponendo di ricoverarlo a Mosca e chiedendo di rinviare il processo, «perché Mladic ha già avuto due ictus e un infarto, soffre di disturbi cerebrali, lo stress di una condanna potrebbe portarlo anche alla morte»

L’unico figlio rimasto a Mladic, sopravvissuto alla sorella Ana che si suicidò per la vergogna e l’orrore, è invece comparso all’Aja assieme a un gruppo d’irriducibili nazionalisti. Gli ultras sono stati tenuti a buona distanza dai 150 rappresentanti delle associazioni di vittime, che aspettavano la sentenza di fronte al tribunale. Un esagitato è riuscito, gridando «Mladic eroe!», a sventolare una bandiera serba.

«Mio padre non è colpevole di nulla, dice Darko Mladic, arrivato apposta da Belgrado, ho sempre pensato che qualunque verdetto di questa corte non sarebbe stato accettabile dalla mia famiglia. Ogni analisi legale dimostra che l’accusa non è riuscita a provare il suo coinvolgimento»

Mladic rimane un’icona per molti serbi, in Vojvodina è facile comprare magliette e spillette col suo volto, la conferma s’ebbe quando un pope benedì una strada a lui intitolata. «Il generale continua a essere una leggenda per il nostro popolo, tempo fa venne all’Aja a difenderlo l’attuale presidente della Repubblica serba di Bosnia, Milorad Dodik, e una sentenza di colpevolezza non farebbe che rafforzarne il mito»

I conti con la giustizia sono finalmente arrivati. Quelli con la coscienza, anche per un popolo che in gran parte non li ha mai fatti, chissà.
(Corriere della Sera)


Strage di Srebreniça. Sono passati 22 anni dalla carneficina di Srebrenica: l’11 luglio 1995 ha avuto luogo quello che è passato alla storia come «il più feroce massacro in Europa dai tempi del nazismo»

Nella zona protetta di Srebrenica, che all’epoca era sotto la tutela delle Nazioni Unite, in pochi giorni oltre ottomila bosniaci musulmani, uomini, bambini e anziani, tutti maschi, sono stati barbaramente uccisi dai serbo bosniaci di Ratko Mladic e dalle «Tigri di Arkan» di Željko Ražnatović.

Ancora oggi non sono stati trovati tutti i responsabili dell’eccidio e mancano all’appello molti di quei corpi orrendamente falciati e sparpagliati nelle fosse comuni. Una ferita rimarcata nel 2015 dal veto posto dalla Russia alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che definiva il massacro di Srebrenica un «genocidio»

Il voto di Mosca arrivò pochi giorni dopo la pubblicazione dell’inchiesta del domenicale britannico The Observer che aveva rivelato, sulla base di alcuni documenti declassificati, dettagli fino ad allora sconosciuti denunciando le reticenze e le gravi responsabilità di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e delle stesse Nazioni Unite. Anche se, secondo gli autori: «Non si può affermare che le potenze occidentali, i cui negoziati portarono alla caduta di Srebrenica, fossero a conoscenza dell’entità del massacro che sarebbe seguito»

Le grandi potenze, all’epoca, erano intente nei negoziati di pace con il presidente serbo Milosevic, accordi che sigleranno quattro mesi più tardi a Dayton in Ohio ponendo così fine a tre anni e mezzo di guerra in Bosnia ed Erzegovina.

Condividi su Facebook


Nigeria, attacco kamikaze nell'Adamawa State. Almeno 50 le vittime

Mubi, Adamawa State, nord-est della Nigeria. Giovane kamikaze Boko Haram si fa esplodere in una moschea. Almeno 50 le vittime, e un numero imprecisato dei feriti. Il giovane ha azionato il detonatore mentre arrivavano i fedeli per le preghiere del mattino mescolandosi alla folla.


Un giovane kamikaze si è fatto esplodere in una moschea nella città di Mubi, nello stato di Adamawa nel nord della Nigeria uccidendo almeno 50 persone. Lo riferisce la polizia locale. Il giovane, 17 anni, ha azionato la cintura esplosiva che aveva addosso mentre arrivavano i fedeli per le preghiere del mattino mescolandosi alla folla.

Sebbene per il momento non ci sia alcuna rivendicazione dell’attacco, i sospetti cadono sul gruppo estremista islamico Boko Haram. “Stiamo ancora accertando il numero delle persone rimaste ferite nell'esplosione perché si trovano ricoverate in vari ospedali del paese”, ha detto Othman Abubakar, portavoce della polizia.

Si tratta di uno degli attentati con più vittime del 2017. Solo quest'anno Boko Haram ha causato oltre 500 morti, in decine di attentati.


Lo stato di Adamawa confina a nord con quello del Borno, la patria del gruppo terroristico sunnita. La città di Mubi è stata sotto il controllo del gruppo terroristico fino al 2014, e non subiva attentati dalla sua liberazione. Durante la sua occupazione, i terroristi avevano rinominato la città Madinatul Islam, città dell’Islam. Negli ultimi sei anni, Boko Haram ha ucciso più di 25.000 persone e causato oltre 2,7 milioni di sfollati, secondo le stime fornite da Amnesty International e l’Onu.
(La Stampa)

Sempre nello stato di Adamawa, lunedì sera, non meno di 45 mandriani di etnia Fulani che vivevano nella zona da molto tempo, sono stati uccisi da uomini armati nella comunità di Kikan. L’attacco, che ha completamente distrutto più di quattro villaggi, è stato diretto principalmente contro donne e bambini. Molti altri sono stati dichiarati dispersi.

Il vice governatore dello stato, Marti Babale, ha fatto appello alla popolazione dell'area colpita per mantenere la calma, assicurando che il personale di sicurezza sarebbe schierato per proteggere l'area.



Condividi su Facebook


lunedì 20 novembre 2017

L'addio a Salerno per le 26 nigeriane morte nel naufragio del 3 novembre

«Cercavano la libertà, sono nostre sorelle». Due giorni fa il rito interreligioso con l'arcivescovo Moretti e l'imam Ebderrhmane Es Saba. Solo cinque le giovani nigeriane hanno un nome. Due erano incinta.

L'ultimo addio alle 26 nigeriane morte in mare

Una rosa bianca su ogni bara. Oppure due, una rosa e una azzurra, sui feretri delle ragazze incinte. Nella piazza degli Uomini Illustri del cimitero di Salerno a Brignano, l'ultimo saluto alle 26 giovanissime migranti (tra i 14 e i 20 anni) nigeriane è stato una cerimonia sobria e commossa. Il Mediterraneo non le ha risparmiate durante il naufragio di un gommone lo scorso 3 novembre a largo delle coste libiche; a Salerno erano arrivate a bordo della nave militare spagnola Cantabria.

Sulla loro morte rimane ancora un mistero. Si teme siano state gettate in mare dagli scafisti (o dagli stessi compagni di viaggio) nel momento in cui il loro gommone ha iniziato ad imbarcare acqua. Gli unici corpi recuperati furono infatti solo quelli di queste 26 ragazze, tutte donne e tutte nigeriane. La procura di Salerno ha aperto un fascicolo.

"Sbarco Salerno del 5.11.2017" inciso sulle 24 bare senza un nome, e due erano incisi i nomi di Shaka Marian e Osaro Osato, sono le uniche riconosciute prima che le targhette funebri fossero stampate. Osato era incinta da appena due mesi, ma ancora troppo presto per conoscere il sesso del suo bimbo; Marian da cinque mesi aspettava un maschietto. Il marito di Marian, nata il 7 febbraio 1997, non ha voluto parlare.

Ieri è stata data una identità ad altre tre. Ne restano, per ora, 21 sconosciute. Quelle donne "cercavano la libertà e la pace", ha ricordato, durante la celebrazione del rito interreligioso l'arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, monsignor Luigi Moretti. Accanto a lui, l'imam di Bellizzi, Ebderrhmane Es Saba, che ha invitato a pregare "tutti lo stesso Dio, che è Dio della pace e della giustizia"

"Di fronte a queste ragazze che non conosciamo, ha aggiunto monsignor Moretti, diciamo sono nostre sorelle". L'arcivescovo, sempre accompagnato dall'esponente della religione musulmana, ha proceduto con la benedizione delle bare. Sono stati i ragazzi di alcune scolaresche salernitane, poi, a deporre i fiori sui feretri disposti in cerchio sull'Ossario, là dove riposano i morti senza nome della città.

A piangere le vittime, anche quei pochi parenti delle due ragazze che hanno un nome. Pochi commenti, molto dolore e occhi persi nel vuoto. Il fratello di una delle due, Osaro Osato, racconta di essere stato per sei mesi con la sorella in Libia, un posto "no good", "dove si spara senza motivo", spiega il 18enne passando dall'inglese all'italiano. Insieme sognavano di vivere in Italia. Ed è stato lui ad avvertire della tragedia i genitori in Nigeria e gli altri tre fratelli.

A dare addio alle ragazze anche tante donne africane, accompagnate da mediatori culturali. Dieci salme rimarranno nel cimitero salernitano. Le altre verranno sepolte nei cimiteri comunali di Battipaglia, Montecorvino Rovella, Sassano, Montesano sulla Marcellana, Contursi Terme, Novi Velia, Polla, Atena Lucana, Pellezzano, Baronissi e Sala Consilina. E anche a Pontecagnano Faiano, dove, domattina alle 9.30, si terrà l'inumazione di due salme, in una cerimonia sobria voluta dal primo cittadino.

Tutti i sindaci dei Comuni interessati hanno partecipato al rito. Il sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli, ha proclamato nel giorno dei funerali il lutto cittadino e, per mezz'ora ieri sera, dalle 18.30 alle 19, si sono spente le Luci da Artista in alcune strade e piazze della città.
(Avvenire)

Condividi su Facebook


Migranti. Cresce il numero di "bambine" provenienti dalla Nigeria

Cresce il numero di minorenni bambine provenienti dalla Nigeria coinvolte nella tratta di esseri umani e destinato al mercato della prostituzione coatta.


Secondo l'Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM), circa l'80% delle migranti arrivate in Italia via mare nel 2016 è quasi certamente vittima di tratta per lo sfruttamento sessuale.

Il rapporto “Indifesa” di Terre des Hommes (una rete di organizzazioni internazionali impegnate nella difesa dei diritti dei bambini) ha messo in evidenza come il numero di giovani donne provenienti soprattutto dalla Nigeria, ma anche dall’Eritrea e dall’Albania, sia cresciuto nel corso dello scorso anno: si è infatti passati da 5.000 donne nel 2015 a più di 11.000 nel 2016.

L’OIM denuncia il “significativo e preoccupante aumento delle vittime di tratta adolescenti”. Molte di queste, al momento dello sbarco in Italia, si dichiarano maggiorenni, seguendo le istruzioni dei trafficanti, che riescono a prelevarle più facilmente dai centri di accoglienza per adulti.

Save The Children ha dichiarato che l’età media delle giovani nigeriane vittime della tratta per la prostituzione si è abbassata notevolmente: "Sono sempre più giovani, scarsamente scolarizzate e sempre più povere. Si tratta prevalentemente di ragazze tra i 15 e i 17 anni, con una quota crescente di bambine tra i 13 e i 14 anni

Le giovani vengono reclutate nelle aree rurali e nei villaggi più remoti degli Stati dell'Anambra, del Delta, di Lagos, e e soprattutto dell'Edo State (Benin City). Moltissime ragazze provengono dai numerosi campi allestisti per i profughi di Boko Haram e disseminati un po' ovunque nelle regioni centrali e sud-orientali della Nigeria.

I miliziani islamici, che seminano terrore nella Nigeria Nord-Orientale fin dal 2009, hanno causato circa 2,7 milioni di profughi interni (i due terzi dei quali sono donne e bambini) che vengono ospitati in campi di accoglienza provvisori dove spesso mancano anche i servizi di prima necessità. È proprio in questi campi, che da un paio di anni, i trafficanti di uomini scelgono molte delle ragazze da portare in Europa.

Le nigeriane vengono confuse tra i migranti provenienti dalla Libia e sono preventivamente istruite su cosa dire al loro arrivo e su come contattare la loro "mamam" in Italia, la quale poi organizza il loro allontanamento dai centri di accoglienza.

Una volta nelle mani dei loro sfruttatori, le ragazze sono costrette a saldare il debito, prostituendosi per lunghi periodi di tempo, due, tre, a volte anche per quattro o più anni.

La loro vulnerabilità è tanto più esasperata nei luoghi di prostituzione meno visibili, aree periferiche dove spesso è l'elevato rischio di aggressioni e si abbina a un tariffario notevolmente deprezzato. In alcune zone d'Italia le giovani nigeriane sono costrette a prostituirsi per 5 o 10 euro a prestazione” come ha evidenziato anche il rapporto “Indifesa



Articolo a cura di
Maris Davis

Condividi su Facebook


giovedì 16 novembre 2017

Colpo di Stato in Zimbabwe. L'anziano Mugabe agli arresti, sua moglie Grace fuggita in Namibia

Arrestato il ministro delle Finanze, è della fazione avversaria del vicepresidente. L'esercito assicura che sono presi di mira soltanto i criminali vicino al Capo dello Stato, mentre il presidente Mugabe è in salvo e la magistratura autonoma e indipendente.

Robert Mugabe, il presidente destituito, con la moglie Grace

"L'esercito dello Zimbabwe prende il potere" .. L'annuncio delle Forze armate sui media di Stato sembra avvalorare questa ipotesi. E in effetti, con l'annuncio che il presidente Robert Mugabe è sotto protezione sembra davvero che sia in corso un golpe. A dare questa lettura il Financial Times e il New York Times. L'esercito ha annunciato di avere in custodia il presidente Robert Mugabe e la moglie Grace avrebbe lasciato il Paese rifugiandosi in Namibia.

"Sono confinato in casa ma sto bene" .. Lo ha detto Mugabe in una telefonata al suo omologo sudafricano, Jacob Zuma.

"La sicurezza di Mugabe e signora è garantita", così hanno dichiarato in tv i militari. Le forze armate hanno annunciato fra l'altro che stanno proteggendo uffici governativi e strade della capitale. Oltre a sostenere che vengono presi di mira solo "criminali attorno" al capo di Stato e che una volta presi la situazione tornerà alla normalità, il messaggio letto da un portavoce si rivolge fra l'altro alla "magistratura" e afferma: "Quale braccio indipendente dello Stato siete in grado di esercitare la vostra autorità indipendente senza timore di essere ostacolati come è avvenuto con questo gruppo di individui". Agli altri servizi di sicurezza, il messaggio chiede di cooperare per il bene del paese.

"Non c'è stato alcun golpe, solo una transizione senza spargimento di sangue" scrive in un tweet il partito del presidente Robert Mugabe al governo dello Zimbabwe, Zanu-Pf. Il partito aggiunge che "persone corrotte e disoneste" sono state arrestate e che il presidente Mugabe, definito un "uomo anziano di cui la moglie si approfittava", è stato messo in custodia. "Le poche esplosioni che sono state sentite erano dovute ai disonesti che hanno resistito agli arresti, ma che sono ora detenuti", conclude il tweet.


I militari in Zimbabwe hanno arrestato il ministro delle Finanze Ignatius Chombo nell'ambito della loro dichiarata caccia a "criminali" che hanno causato sofferenze al paese: lo riferisce il sito locale dell'Huffington Post citando una fonte del governo. Chombo è un personaggio di punta della fazione "G40" (Generation 40) del partito di governo Zanu-Pf, ricorda il sito. Il gruppo, guidato dalla consorte del presidente Robert Mugabe, Grace, secondo indiscrezioni accreditate da altri media stava lavorando per impedire che salisse al potere la "Lacoste Faction", ossia i sostenitori del vicepresidente defenestrato Emmerson Mnangagwa (detto "il coccodrillo"). Il G40 voleva Grace come presidente.

L'ex vicepresidente dello Zimbabwe defenestrato la settimana scorsa e riparato all'estero, Emmerson Mnangagwa, ha elogiato l'intervento dei militari rivelando l'esistenza di una trattativa tra le forze armate e il presidente Robert Mugabe che avrebbe cercato di fermarli. "Salutiamo e applaudiamo il coraggio della nostra Zdf che, in maniera decisiva ha respinto concessioni dell'ultimo da parte di un dirigente il cui unico obbiettivo era di creare una dinastia familiare", ha scritto Mnangagwa su Twitter. "Una fase di transizione guidata dall'esercito spianerà ora la strada a un'elezione libera, corretta e democratica", ha aggiunto l'ex-Vicepresidente dello Zimbabwe.
(Ansa)

Robert Mugabe, 93 anni, era il più anziano capo di stato al mondo al potere fin dall'indipendenza dello Zimbabwe (1980). Ha governato con pugno di ferro portando il paese al fallimento economico. Mentre lui, la sua famiglia e il suo entourage viveva nel lusso più sfrenato, gran parte della popolazione è stata costretta a sopravvivere con circa 1,5 dollari al giorno.


In Zimbabwe ora comanda l'esercito
I militari dicono che è solo una "misura correttiva" e non un colpo di stato. Il presidente del Sudafrica, Jacob Zuma, questa mattina ha detto di essere riuscito a parlare brevemente con Mugabe: è nella sua abitazione ed è tenuto sotto controllo dai militari. Ha detto di stare bene. Secondo le fonti di Sky News, Grace Mugabe, la moglie del presidente, avrebbe lasciato lo Zimbabwe e poi raggiunto la Namibia.



Il presidente ha 93 anni ed è un personaggio molto controverso. Negli anni Ottanta è stato primo ministro dello Zimbabwe, poi dal 1987 ne è diventato presidente instaurando un duro regime dittatoriale. Il portavoce dell’esercito ha ribadito che l’iniziativa militare non è un colpo di stato e che lo scopo è fermare: “I crimini che stanno causando sofferenze sociali ed economiche nel paese. […] Non appena avremo compiuto la nostra missione, ci aspettiamo che la situazione torni alla normalità

Lunedì scorso il comandante dell’esercito, Costantino Chiwenga, aveva minacciato di intervenire per calmare le tensioni politiche delle ultime settimane. Il partito di Mugabe, ZANU (Zimbabwe African National Union), aveva risposto accusandolo di avere un atteggiamento sovversivo nei confronti delle istituzioni. Sembra che ora sia comunque Chiwenga ad avere il controllo della situazione. L’esercito ha l’appoggio di parte della popolazione e dell’associazione dei reduci di guerra del paese, che aveva sostenuto il vicepresidente Chris Mutsvangwa fino alla sua estromissione la scorsa settimana.

È la prima volta che l’esercito interviene in modo così diretto e incisivo nella politica dello Zimbabwe da quando è al potere Mugabe. In quasi 40 anni i militari avevano sempre sostenuto il presidente e le sue politiche, consentendogli di fatto di instaurare il regime durato finora.

Condividi su Facebook


Nigeria, 4 attacchi kamikaze. 18 i morti

Almeno 18 persone, compresi gli attentatori, sono morte e 29 sono rimaste ferite in un attacco suicida effettuato da quattro diversi kamikaze, due uomini e due donne, che si sono fatti esplodere nella Nigeria nordorientale, a circa 36 chilometri da Maiduguri, principale città della regione. Le autorità hanno attribuito l'attentato al gruppo jihadista Boko Haram. Fino a questo momento non c'è stata alcuna rivendicazione.
(RaiNews)

Condividi su Facebook


mercoledì 15 novembre 2017

Denuncia ONU. Disumano l'accordo UE-Italia-Libia sui migranti, violati i diritti umani

L'Alto commissario per i diritti umani Zeid Raad al-Hussein: "La sofferenza delle persone detenute in Libia è un oltraggio alla coscienza dell'umanità". Portavoce dell'Unione europea: "Chiudere i campi, situazione inaccettabile". Tajani: "Delegazione del Parlamento europeo in Libia per verificare la situazione"


Un duro attacco alla politica europea e soprattutto italiana sui migranti arriva oggi dall'Onu. L'Alto commissario per i diritti umani, il principe giordano Zeid Raad al-Hussein ha definito "disumana" la collaborazione tra Unione Europea e la Libia per la gestione dei flussi migratori dall'Africa. "La politica dell'Unione Europea di assistere la guardia costiera libica nell'intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo è disumana" sono le parole usate dal funzionario dell'Onu. "La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell'umanità"

Non è la prima volta che l'Onu si pronuncia sul modo in cui la Libia tratta le persone che cercano di imbarcarsi verso l'Europa, denunciando soprattutto le situazioni inaccettabili in cui i migranti vengono trattenuti nel Paese nordafricano. "La comunità internazionale non può continuare a chiudere gli occhi sugli orrori inimmaginabili sopportati dai migranti in Libia e pretendere che la situazione possa progredire solo migliorando le condizioni di detenzione", L'Alto commissario ONU ha continuato definendo la situazione "catastrofica"

Solo ieri la notizia che sette migranti, usciti vivi dal Ghetto di Sabha, la più spaventosa delle prigioni dei trafficanti di uomini in Libia, stanno collaborando con la polizia e la magistratura italiana per identificare i carcerieri e aiutare gli inquirenti nella caccia al "Generale Alì", il capo dei miliziani che gestiscono la fortezza al confine del deserto. In quel luogo centinaia di migranti subiscono torture e violenze per indurli a chiedere alle famiglie soldi per la loro liberazione. Un inferno riassunto in un'unica foto entrata negli atti dell'inchiesta.

Ghetto di Sabha, prigione per migranti in Libia

La replica dell'Unione Europea
Una portavoce della Ue ha risposto all'Alto commissario Onu affermando che anche l'Unione è decisa a "chiudere i campi in Libia perché la situazione è inaccettabile e la Ue si confronta regolarmente con le autorità locali affinché usino centri che rispettino gli standard umanitari. L'Ue lavora in Libia in piena cooperazione con l'Onu esattamente perché la nostra priorità è sempre stata e continuerà ad essere quella di salvare vite, proteggere le persone e combattere i trafficanti"

La portavoce del servizio esterno dell'Unione Europea ha proseguito sostenendo che "È la Ue a finanziare Oim, Unhcr e Unicef, che hanno la capacità di lavorare in Libia per provare di affrontare le drammatiche condizioni umanitarie e aiutare a migliorare la protezione, le condizioni di vita e il rispetto dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati in Libia. Tutte queste agenzie sono parti essenziali del sistema Onu e sono responsabili dell'esecuzione delle politiche migratorie dell'Onu. I campi di detenzione in Libia devono essere chiusi"

È poi Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, ad annunciare: "Quanto abbiamo visto accadere in Libia per i rifugiati e per i profughi è assolutamente inaccettabile. Molto probabilmente, domani sarà presa la decisione ufficiale: una delegazione del Parlamento europeo si recherà in Libia per verificare la situazione". Interpellato dall'Ansa, il commissario Ue per gli affari interni e l'immigrazione, Dimitris Avramopoulos ha ribadito che "proteggere vite e assicurare un trattamento umano e dignitoso a tutti lungo le rotte migratorie resta la nostra priorità condivisa, delle Ue e dei suoi Stati membri, in particolare dell'Italia". Avramopoulos ha ricordato di aver "ribadito" al ministro degli interni libico, ieri a Berna nella riunione del Gruppo di Contatto per il Mediterraneo centrale, "la necessità di migliorare urgentemente le condizioni dei migranti in Libia"

Reportage della CNN
La "situazione inaccettabile" nei campi libici è documentata anche in un reportage esclusivo di Cnn, realizzato dopo aver ricevuto un filmato che testimonierebbe una tratta di esseri umani in Libia in tutto paragonabile a quella degli schiavi.

Nel video, oggetto della gara all'incanto sono due ragazzi, per i quali piovono offerte e rilanci. "800 dinari... 900, 1.100... venduti per 1.200 dinari (pari a 800 dollari)". Uno dei due giovani è presentato come "un ragazzone forte, adatto al lavoro nei campi"

Ricevuto il filmato, la Cnn è andata a verificare, registrando in un video shock la vendita di una dozzina di persone in pochi minuti. La troupe di Cnn ha quindi parlato con Victory, un 21enne detenuto al Treeq Migrant Detention Center di Tripoli dove gli immigrati illegali vengono rinchiusi in attesa di espulsione: il ragazzo dice di essere stato venduto all'asta come schiavo "più volte", dopo che i suoi soldi, tutti usati per cercare di arrivare in Europa, erano finiti. "Pagai (ai trafficanti) più di un milione (oltre 2.700 dollari). Mia madre è anche andata in un paio di villaggi a chiedere soldi in prestito per salvarmi la vita"


Video CNN sulla compravendita dei nuovi schiavi in Libia

I filmati della Cnn sono stati consegnati alle autorità libiche che hanno promesso un'indagine. Il tenente Naser Hazam, dell'agenzia governativa libica contro l'immigrazione illegale a Tripoli, ha dichiarato di non aver mai assistito a una vendita di schiavi ma di essere a conoscenza di gang criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. E ritornano le parole di Mohammed Abdiker, direttore delle operazioni d'emergenza dell'Oim (Organizzazione Internazionale per le migrazioni), che in una dichiarazione dello scorso aprile dopo un viaggio in Libia, quando aveva definito la situazione "terribile... le notizie di 'mercati degli schiavi' si uniscono alla lunga lista di orrori"

Le violenze della guardia costiera libica
L'Alto commissario ha inoltre denunciato l'assistenza fornita dall'Ue e dall'Italia alla guardia costiera libica per arrestare i migranti in mare "nonostante le preoccupazioni espresse dai gruppi per i diritti umani sul loro destino"

"Gli interventi crescenti dell'Ue e dei suoi stati membri non sono stati finora indirizzati a ridurre il numero di abusi subiti dai migranti", ha spiegato Zeid. "Il nostro sistema di sorveglianza mostra infatti un rapido deterioramento della loro situazione in Libia. Osservatori dei diritti umani si sono recati a Tripoli dall'1 al 6 novembre per visitare i centri di detenzione e intervistare i migranti detenuti. Gli osservatori sono rimasti sconvolti da ciò che hanno visto: migliaia di uomini, donne e bambini emaciati e traumatizzati, ammassati l'uno sull'altro, bloccati in capannoni (...) E spogliati della loro dignità"
(La Repubblica)

Quello che invece noi vorremmo sapere dove è finita la "promessa" ONU di aprire in Libia "centri di accoglienza" gestiti direttamente dalle "onlus internazionali". Centri dove i migranti sarebbero stati identificati, valutato il loro status giuridico e la loro possibilità di ottenere "rifugio sicuro" in Europa. Centri da dove i migranti avrebbero anche potuto rientrare con sicurezza nei loro paesi di origine.

Idea giusta, ma la verità è che nel caos libico, dove la compra-vendita di "carne umana" è all'ordine del giorno e i trafficanti la fanno da padroni, nemmeno l'ONU riesce a fare qualcosa di concreto e a impedire "la nuova schiavitù"
(Maris Davis)

Condividi su Facebook