domenica 27 maggio 2018

“Ci hanno tradite”. In Nigeria donne vittime di Boko Haram ridotte alla fame e stuprate dai militari nei campi profughi

La denuncia di Amnesty International, abusi e stupri nei campi profughi dello Stato di Borno, nel nord del Paese dove ancora imperversano i fondamentalisti islamici di Boko Haram.

Cibo in cambio di sesso. È l’orrendo ricatto alle donne vittime di Boko Haram da parte dei soldati nigeriani, nei campi profughi dello stato di Borno.

La denuncia di quest’ennesimo sopruso ai danni dei civili più in difficoltà è di Amnesty International, che ha raccolto le testimonianze di più di 250 ragazze sfollate dai loro villaggi saccheggiati e incendiati in questi ultimi anni dagli islamisti.

Nel suo rapporto, l’organizzazione umanitaria che difende i diritti umani, punta il dito contro l’esercito nigeriano che "separa le donne dai loro mariti" e che, dopo averle "rinchiuse in campi profughi annessi", le violenta sistematicamente dal 2105, ossia da quando ha ripreso il controllo dei territori finiti nelle mani della setta islamica. Separate dai loro uomini, le donne devono procurarsi da sole il cibo per la loro famiglia e "sono spesso costrette a lasciarsi stuprare da chi dovrebbe proteggerle per non morire di fame", dice Osai Ojigho, direttrice di Amnesty in Nigeria.

I racconti di queste violenze sono stati raccolti nei campi profughi di una decina di località devastate dalla furia di Boko Haram. Molte donne sostengono di essere state violentate nel campo di Bama alla fine del 2015 e all’inizio del 2016, nel momento in cui la popolazione locale era funestata da una grave carestia.

Ti davano da mangiare di giorno, poi a sera venivano a prenderti. Un giorno un miliziano mi ha portato il cibo e il giorno dopo mi ha invitato ad andare a fare rifornimento d’acqua da lui. Quando sono arrivata ha chiuso la porta e mi ha stuprata. Poi mi ha detto che se avessi voluto avere quelle cose avremmo dovuto essere marito e moglie”, ha raccontato Ama (nome di fantasia), 20 anni.

In parecchie dicono di essere state costrette a diventare le “compagne” dei soldati per non soccombere di stenti. Secondo Amnesty, da queste testimonianze si evince che l’esercito aveva creato un vasto sistema di sfruttamento sessuale, anche perché in quella stessa regione, in quei mesi sono morte di fame molte migliaia di rifugiati.

Infine, Amnesty accusa l’omertà di una commissione presidenziale istituita nell'agosto dello scorso anno e che ha lasciato impuniti i responsabili di questi crimini.


"Per queste violenze nessuno è stato mai incriminato e non sappiamo neanche se ci sono stati dei processi, poiché nulla è stato reso pubblico"

Grazie a più di 250 interviste realizzate nei “campi satellite” istituiti dalle forze armate nigeriane in sette città dello stato di Borno, i ricercatori di Amnesty hanno scoperto che l’esercito nigeriano e la milizia alleata, chiamata Task force civile congiunta (Jtf), hanno separato le donne dai loro mariti confinandole in quei “campi satellite” dove le hanno stuprate, o costrette a rapporti sessuali in cambio di cibo.

Quando, a partire dal 2015, l’esercito ha strappato territori a Boko Haram, alle persone che vivevano nei villaggi è stato ordinato di trasferirsi nei “campi satellite”. Chi ha resistito all'ordine è stato ucciso. Centinaia di migliaia di persone sono fuggite o sono state costrette a muoversi dai loro villaggi. Una doppia violenza quindi, prima quella di Boko Haram che aveva occupato i loro villaggi e poi, dal 2015 in poi, quella dell'esercito che aveva ripreso il controllo di quei territori.

Molti uomini che erano nei villaggi liberati sono poi stati imprigionati solo per il sospetto di essere appartenenti di Boko Haram o di essere stati loro fiancheggiatori. Queste detenzioni di massa hanno costretto molte donne a badare da sole alle loro famiglie.

Decine di donne hanno raccontato di essere state stuprate nei “campi satellite” da parte di soldati e miliziani della Jtf e di essere state ridotte alla fame. Costrette poi a diventare le loro “fidanzate”, ossia essere disponibili a rapporti sessuali a ogni evenienza, per non morire di fame. Un racconto confermato da decine di donne. Molte di loro avevano già perso figli e altri familiari a causa della mancanza d’acqua, cibo e cure mediche.

Lo sfruttamento sessuale continua ancora adesso, seguendo uno schema consolidato. I soldati entrano nei campi per fare sesso e i miliziani della Jtf scelgono le donne e le ragazze, “le più belle”, da consegnare ai soldati. La paura impedisce alle donne di ribellarsi. Nei “campi satellite” c’è stata un’acuta crisi alimentare dall'inizio del 2015 fino alla metà del 2016, quando gli aiuti umanitari sono aumentati.


Secondo Amnesty International, centinaia, probabilmente migliaia di persone sono morte nel campo “Ospedale di Bama” in quel periodo. Le testimonianze parlano di 15-30 morti al giorno e le immagini satellitari, che mostrano la rapida espansione del cimitero all'interno del campo, danno loro ragione. Morti per fame sono state registrate anche nei “campi satellite” di Banki e Dikwa.

Nonostante dal giugno 2016 le Nazioni Unite e altre agenzie abbiano aumentato l’entità dell’assistenza umanitaria, molte donne hanno continuato a trovare difficoltà nell'accesso a quantità adeguate di cibo, anche a causa delle restrizioni alla libertà di movimento fuori dai campi.




Articolo a cura di
Maris Davis

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sabato 26 maggio 2018

Libia. Migranti tentano la fuga, i trafficanti ne uccidono almeno 15

Almeno 15 migranti sono rimasti uccisi e 25 sono stati feriti in un tentativo di fuga dai trafficanti di esseri umani in Libia.

Almeno 15 migranti sono rimasti uccisi e 25 sono stati feriti in un tentativo di fuga dai trafficanti di esseri umani in Libia. Lo ha denunciato Medici Senza Frontiere, parlando di colpi d'arma da fuoco sparati contro oltre 100 persone in un tentativo di evasione di massa nella notte fra mercoledì e giovedì da un centro di detenzione segreto gestito da trafficanti vicino la città nord occidentale libica di Bani Walid.

I medici dell'Ong hanno curato 25 sopravvissuti nell'ospedale di Bani Walid. Alcuni di loro hanno riportato gravi ferite d'armi da fuoco e ferite multiple. La maggior parte dei ricoverati sono adolescenti fuggiti da Eritrea, Etiopia e Somalia per cercare di raggiungere l'Europa, alcuni dei quali erano prigionieri dei trafficanti da tre anni. "Molti avevano cicatrici visibili, segni di ustioni fatte con l'elettricità e vecchie ferite infette"

Secondo l'Ong, molti abitanti di Bani Walid, operatori dell'ospedale, dipendenti municipali, anziani, membri di organizzazioni della società civile e delle forze di sicurezza, hanno offerto protezione ai fuggitivi.

I sopravvissuti hanno riferito che una quarantina di persone, in gran parte donne, sono rimaste prigioniere dei trafficanti. Portati in un centro di Bani Walid, i migranti fuggiti sono poi stati trasferiti in un centro di detenzione a Tripoli.

"La detenzione arbitraria non può essere una soluzione", ha denunciato Christophe Biteau, capo missione di Msf in Libia, che stigmatizza la scelta europea di mantenere i migranti in Libia.
(Avvenire)

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martedì 22 maggio 2018

Nigeria. Chiesa Cattolica in Marcia contro il massacro dei Cristiani

La Chiesa cattolica in Nigeria ha organizzato una marcia che si è svolta oggi, 22 maggio, per protestare contro i continui massacri di cristiani commessi dai pastori Fulani.


Non solo Boko Haram, quindi, ma anche i Fulani, etnia islamica dedita alla pastorizia nomade presente nel centro-nord della Nigeria.

Dall’inizio dell’anno più di 100 persone sono state uccise in questi attacchi. L’ultimo in ordine di tempo è stato commesso il 24 aprile nella parrocchia di Sant’Ignazio di Ukpor-Mbalom a Mbalom, nella Gwer East Local Government Area nello Stato di Benue.

Secondo un comunicato della Conferenza Episcopale Nigeriana, pervenuto all'Agenzia Fides, la marcia di protesta si terrà a Makurdi, la capitale dello Stato di Benue, che fa parte della cosiddetta Cintura di Mezzo (Middle Belt), nel centro della Nigeria che divide il Nord a preponderanza musulmana, dal sud in gran parte abitato da cristiani. Nello stesso giorno si terranno le esequie dei due sacerdoti uccisi il 24 aprile.

Nel comunicato il Segretario Generale della Conferenza Episcopale Nigeriana, padre Ralph Madu, ha invitato tutte le diocesi del Paese “ad organizzare raduni pacifici o processioni di preghiera o qualsiasi altra dimostrazione appropriata di solidarietà in concomitanza con la manifestazione di protesta a Makurdi

Padre Madu ha chiesto in ogni caso che il maggior numero possibile di persone si rechi a Makurdi per la dimostrazione nazionale.

"I Vescovi che possono recarsi a Makurdi per la messa funebre, sono incoraggiati a farlo, mentre preghiamo che questa direttiva sia comunicata al clero, ai religiosi e ai fedeli nel modo più efficace possibile

I Vescovi nigeriani, che a fine aprile si trovavano a Roma per la visita "ad limina apostolorum" (ovvero l'incontro che, ogni cinque anni, i vescovi di tutto il mondo hanno in Vaticano con il Papa per illustrare quali siano le particolarità che contraddistinguono la loro Regione ecclesiastica dal punto di vista religioso, sociale e culturale), avevano emesso un comunicato nel quale si erano detti scioccati e rattristati per il massacro nel quale erano rimasti uccisi i due sacerdoti, ed avevano accusato le autorità dello Stato di non fare tutto il possibile per mettere fine alle violenze, fino al punto di chiedere al Presidente Muhammadu Buharidi farsi da parte con onore per salvare la nazione dal collasso completo
(Agenzia Fides)




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sabato 19 maggio 2018

Repubblica Democratica del Congo. Ebola fa paura, 25 morti in pochi giorni

L’Oms: «rischio di contagio alto». Confermato un caso a Mbandaka, città di oltre un milione di abitanti. Già arrivate 4000 dosi di un vaccino sperimentale.


Ebola torna a fare paura
Nella Repubblica Democratica del Congo sono già stati registrati 45 casi (tra sospetti e confermati) con 25 decessi. Ma i numeri cambiano di ora in ora. Il primo focolaio è stato registrato a Bikoro, piccolo centro situato sul Tumba ma quel che più preoccupa gli operatori sanitari è che la malattia ha raggiunto l’area urbana. Un caso è stato infatti riscontrato a Mbandaka, il primo in una città di oltre un milione di abitanti situata a 130 chilometri dal centro in cui è stato osservato il primo focolaio. Nell'ultima ora un'agenzia ha confermato che i casi in città sono già tre.

L’evoluzione, spiega Peter Salama, inviato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, potrebbe portare ad un «aumento esplosivo» dei casi. «Questo è uno sviluppo importante. Ora abbiamo un ebola urbano, che è molto diverso da quello rurale. Ora c’è il potenziale per un aumento esplosivo dei casi»

Rischio alto di trasmissione
Nell'ultimo rapporto Oms il rischio che il virus si diffonda ulteriormente nella Repubblica Democratica del Congo è passato da «alto» a «molto alto». Il rischio che la malattia si diffonda nel resto del mondo resta basso. La preoccupazione è aumentata proprio dopo che l’Oms ha annunciato il primo caso in città anche se il Comitato di emergenza dell’Oms ha dichiarato che l’epidemia in Congo non è per ora una emergenza internazionale di salute pubblica.

Gli aiuti della Comunità Europea
Per affrontare l’emergenza la Commissione Europea ha varato un pacchetto di aiuti umanitari urgenti per aiutare il contenimento del focolaio di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo. La prima misura è lo stanziamento di 1,5 milioni di euro per il supporto logistico alle operazioni dell’Oms e di ulteriori 130mila euro per la Croce Rossa Internazionale. Inoltre il servizio aereo umanitario della Protezione Civile Europea (Echo) sarà utilizzato per il trasporto di esperti medici, staff di emergenza e attrezzature nella zona interessata.

Il virus
Tra il 2013 3 il 2016 Ebola ha ucciso oltre undicimila persone soprattutto tra Sierra Leone, Liberia, Guinea, Nigeria. L’8 maggio scorso però il governo ha annunciato il ritorno di Ebola, ma l’arrivo del virus in un’area urbana sta spaventando le autorità visto che la malattia si propaga molto rapidamente e il tasso di mortalità è molto elevato (muore una persona su due).

Il virus si trasmette attraverso il contatto diretto con fluidi corporei di persone infette, motivo per cui sono a maggior rischio gli operatori sanitari e il personale delle organizzazioni umanitarie. L’incubazione dura da 2 a 21 giorni e i primi sintomi sono febbre, affaticamento, mal di testa, mal di gola. In questa fase è difficile distinguere Ebola da altre malattie come la malaria, la febbre tifoide o la meningite. Poi si verificano vomito, diarrea, eruzioni cutanee e sanguinamenti.

La nona epidemia di Ebola
«Questa è la nona epidemia di Ebola in Congo negli ultimi 40 anni. Finora, sono tutte scoppiate in aree remote e isolate, com'è stato per l’ultimo caso dello scorso anno a Likati, quando l’epidemia non si è diffusa», spiega la dottoressa Roberta Petrucci, membro di una delle équipe di emergenza di Medici Senza Froniere in azione. «Con i nuovi casi confermati a Mbandaka, la situazione è cambiata, ed è diventata più grave e allarmante, dato che la malattia ha raggiunto un’area urbana. È fondamentale monitorare il caso sospetto per avere una visione più chiara dei suoi spostamenti fino alla città. Stiamo lavorando a stretto contatto con il ministero della Salute e le altre organizzazioni sul campo per implementare una risposta coordinata, coerente e rapida per arrestare la diffusione dell’Ebola»


Il vaccino sperimentale
La strategia messa in atto dalle autorità sanitarie prevede il trattamento immediato e l’isolamento dei soggetti malati, tracciare i contatti, informare la popolazione sulla malattia: come prevenirla e dove cercare assistenza. Gli operatori sanitari sono al lavoro per rintracciare il più velocemente possibile le persone che sarebbero entrate in contatto con le persone malate. L’obiettivo è immunizzare queste persone con il vaccino che, seppur ancora sperimentale, si è rivelato efficace nell'epidemia del 2014. Sul territorio congolese sono già disponibili 4000 dosi di vaccino, ma la difficoltà nella somministrazione riguarda soprattutto le zone periferiche perché il farmaco va conservato a temperature molto basse (intorno ai -60 gradi).
(Corriere della Sera)




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sabato 12 maggio 2018

Sudan. Sposa bambina condannata a morte per aver ucciso il marito stupratore

Noura Hussein ha 19 anni. Quando i suoi genitori la diedero in moglie al suo carnefice ne aveva 13. Il mondo si mobilita per salvarla.


Online è partita la petizione con l'hashtag #justiceforNoura a cui si è unita anche la vice presidente della Camera, Mara Carfagna.

Condannata a morte per essersi difesa dal suo stupratore, il marito, uccidendolo con un coltello. Noura Hussein oggi ha 19 anni, vive in Sudan e tra 15 giorni sarà impiccata. Promessa sposa all'età di 13 anni, l'adolescente quattro anni fa si è ribellata a quella vita non scelta e ora attende nel carcere femminile di Omdurman la sua esecuzione. Per lei si sta mobilitando il mondo intero. #justiceforNoura è l'hashtag scelto per muovere la comunità social ed evitare, si spera, l'uccisione.

L'appello, già virale grazie alle attiviste musulmane, è arrivato in Italia con Antonella Napoli, giornalista e presidente di Italians for Darfur, che ha raccontato la triste storia di questa sposa bambina. "Noura aveva 13 anni quando i genitori la diedero in moglie a un cugino di secondo grado con il doppio dei suoi anni. Si è opposta con tutte le sue forze al matrimonio combinato, ma non è bastato". L'obiettivo è quello di scarcerare la ragazza, raccogliendo quante più firme possibile.



Alla petizione si è unita anche la vice presidente della Camera, Mara Carfagna. "Voglio unire la mia voce a quella di Italians for Darfour, di Amnesty International e di tutti coloro che in queste ore e in tutto il mondo si mobilitano sulle reti sociali con l’hashtag #justiceforNoura. Mi rivolgo all’ambasciatore italiano a Karthum Fabrizio Lobasso e all’ambasciatrice sudanese in Italia Amira Gornass perché vogliano intervenire per salvare questa vita e ottenere per Noura Hussein un giusto processo"


La sua storia è terribile
Nel 2012 Noura si sposa, appena tredicenne, con il solo rito religioso. Grazie all'aiuto di una zia riesce ad evitare che questo venga consumato. Due anni dopo, costretta dalla famiglia, la ragazzina si sposa nuovamente, questa volta legalmente. Da allora inizia il suo incubo. "È stata violentata dal marito con l'aiuto dei suoi familiari, chiamati a verificare che da quel momento fossero sposati anche di fatto". Una sola violenza è bastata a Noura per capire che voleva e poteva difendersi. Così, quando il giorno dopo il marito è tornato per stuprarla nuovamente, lei si è difesa, pugnalandolo. A consegnarla alla polizia la sua stessa famiglia.

I due avvocati di Noura, Adil Mohamed Al-Imam e Mohaned Mustafa Alnour hanno già presentato ricorso, ma se questo non venisse accolto la ragazza è destinata al patibolo. Uno di loro, ricorda Antonella Napoli, è già esperto in materia. Aveva difeso, infatti, Meriam Ibrahim, la donna incinta all'ottavo mese salvata dalla condanna a morte per apostasia.

"Raccogliamo quante più firme possibili da inviare al presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir per chiedere la grazia e l'immediata liberazione di Noura"
(La Repubblica)

Firma l'appello per Noura

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mercoledì 9 maggio 2018

Nigeria e le fabbriche di bambini. Violentano le donne per poi vendere i neonati

A fine aprile in Nigeria hanno chiuso una delle tante "fabbriche dei bambini". Figli di madri violentate o non sposate, oppure donne ingravidate al solo scopo di procreare.


I figli indesiderati vengono venduti. La Nigeria fa quel che può per fermare questo traffico. Il problema è però in una cultura che non riconosce diritti ai neonati.

L’Africa può essere molto dura con i bambini. Tradizionalmente tutti desiderano avere dei figli in Africa e a nessuno è concesso di sottrarsi al dovere di procreare. I figli servono per assicurare la continuità del lignaggio, che è il primo compito di un uomo, e per preparare una vecchiaia assistita.

Di sicuro sono amati, talvolta in maniera eroica. Ma spesso prevale appunto il fatto che devono e possono servire a qualcosa, senza riguardo per le loro piccole esistenze, soprattutto se sono "bambine". Perché la loro vita meriti qualcosa nella società, alle figlie si infliggono mutilazioni genitali femminili, vengono maritate in cambio di denaro e costrette a matrimoni combinati, e perfino bambine usate come kamikaze dall'Islam integralista (Boko Haram) per fare attentati.

Sono tutte "tradizioni" funzionali alle economie di sussistenza, cardini delle società tribali che restano comunque in vigore, e nonostante leggi nazionali vietino queste pratiche sono rispettate da molti in virtù delle tradizioni o per puro interesse.

Il destino dei figli “inutili”. Quelli nati con caratteri fisici o psichici insoliti oppure in circostanze anomale (per esempio i figli di ragazze madri o nati fuori dal matrimonio) hanno il destino peggiore. Si possono e in certi casi si devono sopprimere, o almeno allontanare, per il bene della famiglia e della comunità: se disabili, perché sono un peso inutile e talvolta perché le loro anomalie sono segno di sfortuna, “portano male”. I figli altrui sono per definizione inutili. Poiché inoltre i bambini si considerano alla stregua di “pre-persone”, le società tradizionali non riconoscono loro dei diritti.

Ecco perché è così frequente e così facile che si abusi dei bambini, ci si approfitti di loro. Quelli albini, ad esempio, vengono rapiti, venduti, fatti a pezzi per realizzare potenti talismani.

In Mozambico la polizia è alla caccia dei criminali che hanno ucciso un bambino albino di 11 anni. Lo hanno rapito mentre la famiglia dormiva, lo hanno portato in un luogo deserto, gli hanno rasato la testa e gli hanno tagliato le orecchie. Alla fine lo hanno ucciso per essere sicuri di non essere riconosciuti e denunciati.

In Sudafrica sono stati rinvenuti i corpi di un bambino di 13 anni e di uno di 15 mesi rapiti a gennaio da uomini armati, il secondo oltre tutto catturato per errore, scambiato per albino senza esserlo.

In Nigeria il 26 aprile scorso 162 bambini, 100 femmine e 62 maschi, sono stati liberati in due orfanotrofi non registrati e in una “fabbrica di bambini” scoperti a Lagos.

Fabbriche di bambini”. Si chiamano così, in Nigeria, i centri clandestini in cui si ospitano neonati e minori destinati a essere venduti.
  • In alcuni casi si tratta di bambini nati da donne non sposate attirate nei centri con la promessa di essere assistite durante la gravidanza e il parto. Poi però i neonati vengono sottratti alle madri.
  • In altri casi le madri sono donne sequestrate e violentate allo scopo di metterle incinte e disporre poi dei figli.
  • Alcuni bambini sono venduti a persone che intendono adottarli e, se sono fortunati, li attende una vita serena e sicura.
  • Molti vengono costretti a lavorare nelle piantagioni e persino nelle miniere oppure sono portati in Europa e avviati alla prostituzione.
  • Altri ancora sono uccisi per scopi rituali o per espiantarne gli organi.
Quelli liberati nei giorni scorsi adesso sono al sicuro: “i bambini e gli adolescenti salvati sono stati portati in centri legali dove riceveranno cure e protezione” ha spiegato Agboola Dabiri, Commissario per i giovani e lo sviluppo sociale dello stato di Lagos. Alcuni dei bambini, anche tra i più piccoli, erano stati violentati e ora necessitano di speciale assistenza.

In Nigeria le “fabbriche di bambini” sono molte
A marzo, sempre nello stato di Lagos, è stata arrestata una donna originaria del Togo che, dicendosi ostetrica, convinceva delle donne incinte a concludere la gravidanza in un centro da lei gestito allo scopo di venderne i figli.

Un’altra “fabbrica di bambini” era stata scoperta a gennaio in un altro stato della federazione nigeriana, il Kaduna. In quell'occasione il Commissario per le questioni femminili e lo sviluppo sociale, Hajiya Hafsat Baba, aveva citato tra l’altro il caso di un uomo accusato di aver comprato un bambino maschio per 1.112 dollari e due bambine per 975 dollari. Proprio lo stato di Kaduna, in considerazione dell’elevato numero di bambini oggetto di compravendita, per cercare di mettervi fine ha proibito le adozioni, che spesso mascherano il traffico di minori, finché un nuovo regolamento per gli orfanotrofi in corso di elaborazione non verrà applicato.

La compravendita di minori non è un problema solo in Nigeria. In Etiopia, ad esempio, con il pretesto di organizzarne l’adozione da parte di coppie straniere, molti bambini vengono in realtà venduti a trafficanti che ne abusano e li impiegano all'estero nel settore della prostituzione.

Inoltre non sempre gli incaricati delle adozioni verificano con attenzione l’affidabilità delle famiglie richiedenti. La questione delle adozioni all'estero è nata nel 2013 quando si è scoperto che una bambina originaria dell'Etiopia era stata uccisa negli Stati Uniti dalla coppia che la aveva adottata. Dopo un lungo dibattito il parlamento etiope, all'inizio del 2018, ha decretato la sospensione delle adozioni all'estero. D’ora in poi gli orfani e i bambini in difficoltà dovranno essere assistiti dai servizi sociali e potranno essere adottati solo da famiglie etiopi. Tuttavia in Etiopia c’è poca disposizione alle adozioni, anche tra parenti, e si teme che adesso il destino di molti orfani sia di diventare bambini di strada.




Articolo a cura di
Maris Davis

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