venerdì 30 giugno 2017

Egitto. Proposta di legge per punire chi usa il Corano per giustificare il terrorismo

Un gruppo di esperti dell’Università di Al-Azhar, al Cairo, in Egitto, celebre per essere il più prestigioso e antico istituto teologico di istituzione secondaria dell’islam sunnita, ha presentato agli uffici della presidenza della Repubblica egiziana alla fine della settimana scorsa, la proposta di una legge che punisce chi invoca il Corano e la religione, per giustificare atti terroristici, violenze e campagne di odio.

Dal 13 maggio scorso cinque specialisti guidati da Mohamed Abdel Salam, consulente giuridico del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmed al Tayyib, hanno lavorato alla bozza e alla successiva stesura del disegno di legge.

Il Grande Imam, titolo più prestigioso del mondo islamico sunnita e più importante carica ufficiale religiosa dell'Egitto sunnita, ha sottolineato che "questo progetto di legge vuole riaffermare l’incompatibilità tra la violenza giustificata con argomenti religiosi e la legge islamica
(Fides)

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Il Kenya è il primo paese africano ad utilizzare il "generico" per trattare l'HIV


Il Kenya è il primo paese africano che ha iniziato a utilizzare una versione generica di un nuovo farmaco per il trattamento dell’AIDS, destinato a migliorare e prolungare la vita di decine di migliaia di persone che soffrono di gravi effetti collaterali e di resistenza agli altri trattamenti.

La versione generica del Dolutegravir (Dtg), farmaco approvato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2013, viene già somministrata a 20.000 pazienti in Kenya. Entro la fine dell'anno sarà usata anche in Nigeria e in Uganda, grazie al sostegno dell'agenzia sanitaria per la lotta a tubercolosi, AIDS e malaria, Unitaid.

La caratteristica del DTG è quella di poter essere usato su persone con HIV che non hanno mai fatto una terapia anti-retrovirale ed anche su coloro che hanno sviluppato resistenza ad altri trattamenti.

Il 70% di tutte le persone con il virus hiv/aids nel mondo, vivono nell'Africa Sub-Sahariana. Il Kenya, uno dei paesi del mondo con il maggior numero di persone positive, ha fatto grandi passi avanti nell'affrontare il trattamento del virus, con servizi sanitari pubblici gratuiti.

Dei circa 1,5 milioni di keniani HIV positivi, più di due terzi è in trattamento, ha dichiarato Martin Sirengo, responsabile del National Aids and Sti Control Programme. Inoltre, il numero di nuove infezioni in Kenya (80.000 all'anno) è quasi dimezzato nell'ultimo decennio, grazie alla diffusione gratuita di test, trattamenti e ad una maggior conoscenza e consapevolezza dei rischi tra la popolazione.

Unitaid sostiene i cosiddetti obiettivi globali "90-90-90" contro il virus, da raggiungere entro il 2020:
  • far emergere il 90% delle persone che vivono con l'HIV senza saperlo,
  • dare accesso al 90% di coloro che sono infetti ai trattamenti anti-retrovirali,
  • rendere indetettabile (quando una persona sieropositiva, dopo il trattamento, diventa "non contagiosa") il virus nel corpo del 90% delle persone in trattamento.
(Reuters)

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I Will Give Up (Lady in Black)

I Will Give Up (Lady in Black)


Real Music




Articolo di
Maris Davis

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giovedì 29 giugno 2017

Caorle e Lignano Sabbiadoro, un rarissimo fenomeno atmosferico visibile dalle spiagge, il "DownBurst"


Bomba d'acqua a poche centinaia di metri dalla spiaggia di Caorle, visibile fino a Lignano Sabbiadoro. "È stata osservata martedì mattina. Timori tra i bagnanti per quello che poteva sembrare un tornado"

Qualche timore c'è stato. Il cielo si è fatto nero e in lontananza ha cominciato a stagliarsi un cono scuro. Un fenomeno meteorologico decisamente impressionante che è stato avvistato nella mattinata di martedì dalle spiagge dell'alto Adriatico. La scena era spaventosa. Incuranti del pericolo, oppure coraggiosissimi, molti turisti hanno continuato a restare in spiaggia, come se nulla fosse.

A prima vista sembrava un vero tornado in arrivo, ma mancava del tutto la componente rotatoria. Si è trattato di un DownBurst

I turisti presenti sulle spiagge di Caorle e Lignano Sabbiadoro avranno certamente avvertito un grosso spavento quando osservando l’orizzonte si saranno imbattuti in quello che sembra a tutti gli effetti un potente tornado in arrivo.


Guardando le foto scattate, a prima vista effettivamente lo spettacolo era davvero impressionante se non unico. La struttura a mensola delle nubi nere piuttosto basse, ricordavano fenomeni assai violenti avvenuti negli ultimi anni.

Ad osservare bene però le foto, si nota come manchi del tutto la rotazione alla base. Infatti si è trattato soltanto di una potente corrente discensionale di pioggia e vento.

Non si è manifestata, peraltro, alcuna tromba d’aria ma soltanto una forte pioggia seguita da raffiche di vento in ogni direzione, senza che le stesse avessero però alcun moto rotatorio. Si è trattato, per dirla tecnicamente, di quel fenomeno che è noto come DownBurst.


Il DownBurst, lo ricordiamo, è diverso da un tornado perché non presenta alcun moto rotatorio al suo interno, tanto meno alla sua base e presenta caratteristica di vento che discende dall’alto, sbatte al suolo e si dirige radialmente in ogni direzione. Ma può essere molto simile per gli effetti al suolo, con forti venti e piogge torrenziali. Firenze ne fu devastata un pomeriggio di Agosto della scorsa estate.

Il fenomeno non ha provocato grossi danni perché si è manifestato in mare, anche se solo a poche centinaia di metri dalla spiaggia. Il tutto è durato una ventina di minuti.
(MeteoWeb)



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Mali. Papa Francesco nomina "Cardinale" il vescovo di Bamako


Nel corso del suo quarto Concistoro tenuto ieri nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha nominato cinque nuovi cardinali. L’unico africano è l’arcivescovo di Bamako, Jean Zerbo, diventato così il primo cardinale nella storia del Mali e il 25esimo del continente africano.

I nuovi cardinali, provenienti da 5 nazioni, sono: mons. Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, Malí; mons. Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona, Spagna. E poi mons. Anders Arborelius, ocd, vescovo di Stoccolma, Svezia; mons. Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, vescovo titolare di Acque nuove di Proconsolare, vicario apostolico di Paksé, Laos. E infine, mons. Gregorio Rosa Chávez, vescovo titolare di Mulli, ausiliare dell’arcidiocesi di San Salvador, El Salvador.
Con queste nuove nomine il Collegio cardinalizio conterà 121 porporati elettori

Zerbo, considerato dal Papa un artigiano del dialogo tra le religioni, ha avuto un ruolo attivo nei negoziati di pace in Mali, paese di provenienza di una delegazione inter-religiosa (composta anche di esponenti giunti da Benin e Togo) che lo ha accompagnato.

Ma la sua nomina non è passata inosservata negli ambienti vaticani e non solo, per lo scandalo che lo ha coinvolto di recente. Il prelato, a capo di una Chiesa povera (in Mali i cattolici sono solo il 2,4% della popolazione), sarebbe infatti detentore di conti bancari in Svizzera per un valore complessivo di 12 milioni di euro.

Con Jean Zerbo è coinvolto anche il vescovo della diocesi di San (sempre in Mali), Jean-Gabriel Diarra, ex numero uno della chiesa cattolica del Mali che secondo quanto svelato dai documenti di SwissLeaks, (elenco di detentori di conti correnti segreti nella banca svizzera HSBC) sarebbe un altro dei firmatari dei conti bancari della Conferenza episcopale maliana (Cem). Il terzo è Cyprien Dakouo, segretario generale della Cem dal 2004. Tutti si sono fino ad ora rifiutati di spiegare le origini del denaro, sostenendo di non avere “niente da nascondere"
(Rfi Afrique)

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Tanzania, carenza alimentare. Vietata l'esportazione di cereali

Il governo della Tanzania ha severamente proibito le esportazioni di cereali, promettendo misure draconiane per chi volesse cercare di portarli illegalmente oltre frontiera. “Tutti coloro che saranno arrestati nel tentativo di contrabbandare cibo fuori dal paese, si vedranno nazionalizzata la merce e il mezzo di trasporto su cui si trova”, ha dichiarato il primo ministro Kassim Majaliwa.

Il provvedimento è stato preso per contenere l’inflazione, che è al 6,1% su base annua ma rimane ben più alta del 5% programmato dal governo, ed è trainata dall'aumento del prezzo del cibo di base. Il governo si propone inoltre di sostenere lo sviluppo di una nascente industria alimentare locale.

La Tanzania ha prodotto l’anno scorso 3 milioni di tonnellate di surplus di cereali, ma l’esportazione libera ha scavato nelle riserve strategiche di un paese che è soggetto a crisi alimentari per le ricorrenti siccità. Anche quest’anno, nella stagione secca, secondo stime governative, un milione di tanzaniani hanno sofferto per la scarsità di cibo.

Secondo un rapporto della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite specializzata in sviluppo agricolo, nei paesi dell’Africa orientale i raccolti dello scorso anno sono stati rovinati dalla siccità e dai fenomeni atmosferici legati a El Niño, così la domanda sul mercato regionale è diventata pressante, con un notevole aumento dei prezzi, che hanno raggiunto livelli record in Sud Sudan, Kenya, Somalia, Uganda, Tanzania e parte dell’Etiopia.

La Tanzania, e in una certa misura l’Uganda, sono gli unici paesi nella regione ad aver prodotto un surplus di mais, il cereale più consumato dalla popolazione, e di altri cereali molto diffusi, come il sorgo.
(Reuters)

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Influenza aviaria, tre paesi confinanti bloccano l'importazione di pollame dal Sudafrica


Zimbabwe, Namibia e Botswana hanno sospeso le importazioni di pollame dal Sudafrica con effetto immediato, a seguito di focolai di influenza aviaria H5N8 altamente contagiosa.

Il Sudafrica ha confermato epidemie di influenza aviaria, spesso trasmesse dagli uccelli selvatici, in almeno due fattorie. Il paese a sua volta, assieme al Mozambico, ha vietato le importazioni di pollame dallo Zimbabwe, dove è stato rilevato il virus.

Nel tentativo di arginare la diffusione, il Botswana, che importa solo il 5 per cento del suo fabbisogno di pollame, ha dichiarato di non acquistare più carni, prodotti trasformati e mangimi provenienti dal Sudafrica.

Lo Zimbabwe ha imposto un divieto simile, mentre la Namibia ha anche interrotto le importazioni dal Belgio che ha registrato focolai di influenza aviaria all'inizio di quest'anno.

In Sudafrica l'epidemia è stata rilevata nella fattoria di una allevatrice di polli la settimana scorsa. Il produttore di pollame Astral, che aveva confermato in precedenza l’individuazione del virus H5N8 presso le sue strutture, ha detto ieri d’aver messo in quarantena l’intera area e soppresso 150.000 volatili, circa il 6 per cento del suo allevamento.
(Reuters)

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mercoledì 28 giugno 2017

Mediterraneo, in 48 ore salvati 12mila migranti. Passo formale dell'Italia con l'Europa

Mandato al Rappresentante presso l’Unione europea di porre formalmente il tema degli sbarchi. Se applicata, la misura chiuderebbe la rotta alle imbarcazioni "non italiane" delle onlus che effettuano salvataggi.


Passo formale dell’Italia con la Commissione Europea sul tema dell’immigrazione. Come spiega l’Ansa, il governo avrebbe dato mandato al Rappresentante presso la Ue, l’ambasciatore Maurizio Massari, di porre formalmente al commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos il tema degli sbarchi in Italia. Messaggio consegnato dall’Italia alla Commissione: la situazione che stiamo affrontando è grave, l’Europa non può voltarsi dall'altra parte.

«No ad approdo nei porti nazionali a navi con bandiera non italiana»
Il governo italiano sta valutando la possibilità di negare l’approdo nei porti italiani alle navi che effettuano salvataggi dei migranti davanti alla Libia ma battono bandiera diversa da quella del nostro Paese. Lo si apprende da fonti governative secondo le quali è ormai «insostenibile» che tutte le imbarcazioni che operano nel Mediterraneo centrale portino le persone soccorse in Italia.

Lo stop alle navi delle onlus
L’ipotesi di chiudere i porti italiani alle navi straniere con a bordo migranti è un passo senza precedenti: in pratica verrebbe chiusa la rotta alle imbarcazioni di molte onlus internazionali che pattugliano il Mediterraneo e che fino a oggi hanno operato in stretto contatto con la Guardia Costiera italiana. Lo stop non colpirebbe le navi che partecipano invece all'operazione Frontex, mossa per la quale non sarebbe sufficiente un consenso unilaterale.

L’annuncio ha avuto effetto di innescare immediatamente reazioni politiche. Per primo il segretario del Pd Matteo Renzi ha annunciato «pieno appoggio» alla linea imboccata dal governo, seguito dal presidente della commissione difesa del Senato, Nicola Latorre per il quale il passo annunciato dal governo è «opportuno»; sul fronte dell’opposizione Maurizio Gasparri di Forza Italia ha dichiarato «Chiediamo da anni la chiusura dei porti alle navi straniere»

In 48 ore 12mila salvataggi
La gravità della situazione è stata fotografata nel corso del colloquio che l’ambasciatore italiano presso la Ue Massari ha avuto con il commissario all'immigrazione Avramopoulos: «La situazione ha raggiunto il livello massimo di sostenibilità» ha detto Massari e per l’Italia rappresenta un serio «impatto sulla vita socio-politica del paese», aggiunge una fonte diplomatica.

Solo nelle ultime 48 sono stati salvati in mare 12 mila migranti da 22 navi, molte delle quali appartengono a organizzazioni non governative "non italiane", che poi si sono dirette verso l’Italia. Questi numeri «hanno portato al limite le capacità dell’Italia di gestione degli sbarchi». Da parte sua il Viminale ha diffuso una nota per rimarcare che da gennaio a oggi sono sbarcati sulle coste italiane 76.873 migranti, con un’impennata del 13,43% in più rispetto al medesimo periodo dell’anno passato. Di questi ben 9.761 sono minori.

La risposta Ue: «Più sostegno all’Italia»
La risposta della Ue alle richieste dell’Italia non si è fatta attendere anche se ha avuto toni interlocutori .«Se necessario siamo pronti a aumentare sostanzialmente il sostegno finanziario all’Italia», ha detto il commissario europeo agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos, dopo l’incontro con l’ambasciatore italiano presso l’Ue, Maurizio Massari.

«L’Italia ha ragione che la situazione è insostenibile lungo la rotta del Mediterraneo Centrale. La Commissione ha sempre sostenuto l’Italia nella sua gestione esemplare della crisi dei rifugiati e continuerà a farlo. Tuttavia, abbiamo tutti un obbligo umanitario di salvare vite».

Se non si può «lasciare una manciata di paesi Ue da soli a gestire» l’emergenza, «il giusto forum per discutere di questo è il Consiglio (l’organo che riunisce i governi dei 28, ndr) a cominciare dalla riunione informale dei ministri della Giustizia e degli Interni della prossima settimana a Tallin». Il parlamento Europeo ha contemporaneamente dato il via libera a un piano di 3,3 miliardi di euro per affrontare il problema immigrazione nei paesi di origine.

Mattarella: «Situazione ingestibile»
«È chiaro che l’immigrazione sia un fenomeno epocale che non si può affrontare con i muri. Bisogna affrontarlo con serietà stroncando i trafficanti e governando gli arrivi. E questo può farlo solo l’Ue nel suo complesso. Alcuni paesi membri non lo hanno capito. Il Canada può aiutarci a farlo capire».

Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando il premier canadese Justin Trudeau. «Se si continuasse con questi numeri la situazione si farebbe ingestibile anche per un paese grande e aperto come il nostro», ha aggiunto. Anche il premier Gentiloni, parlando al congresso della Cisl ha affermato «alcuni paesi europei la smettano di girare la faccia dall'altra parte perché questo non è più sostenibile». Il riferimento è al cosiddetto «gruppi di Visegrad» (Ungheria e altri paesi dell’Est) che si sono detti contrari ad accogliere i migranti nonostante la minaccia di sanzioni da parte di Bruxelles.

Morti 63 migranti, la Libia accusa l’Italia
Per capire quanto stia facendosi tesa la situazione in campo internazionale, basti registrare una nota diffusa nel pomeriggio dalla Marina libica fedele al governo di Tripoli, la quale denuncia la morte di 63 persone a causa del mancato soccorso da parte di una nave italiana. La tragedia è avvenuta al largo di Zuara. Lo ha detto ad «Agenzia Nova» il generale Ayoub el Qassem, portavoce della Marina libica fedele al governo di accordo nazionale con sede a Tripoli.

Dei 135 migranti in viaggio verso l’Italia a bordo di un’imbarcazione «sprovvista di motore», spiega el Qassem, la Guardia costiera libica è riuscita «a salvarne solo 72», di cui 35 fra donne e bambini. «La nostra pattuglia, purtroppo, non è riuscita a salvare gli altri 63 migranti che sono annegati al largo di Zuara. La Guardia costiera libica ha chiesto aiuto a un’imbarcazione civile italiana chiamata `Rino Napoli´ che si trovava nelle vicinanze dalle acque territoriali libiche, ma gli italiani non sono intervenuti».
(Corriere della Sera)

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Niger, migranti abbandonati nel deserto 23 tratti in salvo, 52 i dispersi


Ancora decine di migranti abbandonati dai trafficanti senza acqua né cibo nel deserto del Niger. Si tratta di un gruppo di circa 75 persone che viaggiavano a bordo di tre pick-up dalla città settentrionale di Agadez diretti a nord, al confine con la Libia.

Solo 23 di loro sono stati trovati ancora vivi dalle pattuglie dell’esercito nigerino a circa cinque chilometri dal confine con la Libia e tratti in salvo. Secondo testimonianze dei sopravvissuti, il gruppo era stato abbandonato dai trafficanti e rimasto quattro giorni senza acqua.

Altre 52 persone sono disperse nel deserto. I sopravvissuti hanno raccontato di corpi morti, senza specificarne il numero. Ma, citando una fonte della sicurezza, il sito web Air Info con base ad Agadez, ha detto che dozzine di corpi sono stati sepolti da soldati.

Un’altra stazione radio locale aveva detto che 52 corpi morti erano stati scoperti dalle autorità domenica. Fatoumi Boudou, prefetto della regione settentrionale di Bilma ha detto che le ricerche eseguite in un raggio di 65 km hanno prodotto il ritrovamento di un corpo "con la carta d'identità di uno studente nigeriano"

Il viaggio di 750 km da Agadez alla frontiera libica richiede tra i 2 e i 3 giorni con brevissime soste per il rifornimento lungo la strada

Dieci giorni fa altri 43 migranti, tra cui donne e 20 bambini, sono stati trovati morti di sete nei pressi di Assamakka, vicino al confine con l’Algeria.

Secondo il ministro degli Interni nigerino, Mohamed Bazoum, altri 15 migranti sono stati trovati morti vicino alla cittadina di Tabelot.

Da qualche tempo, ha detto il ministro, i controlli stradali si sono intensificati su tutte le vie di transito nel deserto e i trafficanti, per non essere arrestati e perdere i loro veicoli, hanno cambiato strategia. Ora sfuggono ai controlli viaggiando con fuoristrada e abbandonando i passeggeri nel deserto, nelle vicinanze del confine con la Libia.
(Al Jazeera)

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Repubblica Democratica del Congo, trovate altre dieci fosse comuni nel Kasai

Gli operatori della Croce Rossa congolese hanno scoperto altre 10 fosse comuni nella centrale provincia del Kasai, in Repubblica democratica del Congo, terreno di scontro da un anno ormai, tra l’esercito e la locale ribellione separatista Kamwina Nsapu.

Il rinvenimento delle 10 nuove sepolture di massa, annunciato ieri dal procuratore generale della Repubblica Flory Kabange Numbi e dal revisore generale delle Forze armate, generale Joseph Ponde, fa salire a 52 il numero totale di fosse comuni scoperte, e ad oltre 3.380 i morti, secondo fonti della chiesa cattolica locale, dall'avvio del conflitto, che dall’agosto 2016 ha provocato un milione e 300 mila profughi.

Delle responsabilità per i massacri milizie e militari si accusano a vicenda

Nel corso della conferenza stampa di ieri nella capitale Kinshasa, Pende ha detto ai giornalisti che i combattenti Kamuina Nsapu sono sospettati delle esecuzioni sommarie e delle sepolture nella provincia di Kasai. Anche il governo aveva in precedenza accusato i ribelli per altre fosse comuni, scoperte nella vicina provincia Kasai-Centrale. Ma qui testimoni locali intervistati lo scorso marzo da Reuters hanno detto d’aver visto mezzi dell’esercito scaricare e sotterrare i corpi.

Vai al sito che documenta le violenze nel Kasai

Il conflitto L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha di recente accusato una milizia legata al governo, di assassinare e mutilare i civili in Kasai. Le autorità congolesi negano le accuse.

La settimana scorsa, il Consiglio Onu per i diritti umani ha approvato un'inchiesta internazionale sui massacri, nonostante il rifiuto delle autorità congolesi che la considerano una violazione delle sovranità nazionale.
(Voice of Afrique)


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martedì 27 giugno 2017

Lampedusa, arrestato un altro torturatore di migranti. È un somalo 23enne

Ad inchiodarlo le testimonianze delle sue stesse vittime. Il 23enne somalo era sbarcato sulle coste siciliane a maggio.


È accusato di aver torturato e violentato in Libia migranti in attesa di imbarcarsi per l'Italia. È un somalo di 23 anni fermato dalla Polizia nell'hotspot di Lampedusa, sospettato di far parte di un’associazione per delinquere armata transnazionale dedita a tratta di persone, sequestri, violenza sessuale, omicidio aggravato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le violenze sarebbero avvenute in una struttura situata in una zona agricola denominata Hudeyfà, in territorio di Cufrà.

Il provvedimento di fermo è stato emesso dalla Dda della Procura di Palermo. Agli atti dell’inchiesta le dichiarazioni di alcuni migranti che il fermato colpiva con tubi di gomma e minacciava con armi.

Ricorda un testimone. «Al mio arrivo Mohamed il somalo era già nella struttura. Lui picchiava i migranti. Si divertiva ad umiliarci e a farci pesare la sua supremazia. Mi ricordo che una volta lo stesso libico, a cui la struttura appartiene, lo ha ripreso perché ci picchiava così forte da ridurci in fin di vita»

L’arrestato anche a Lampedusa avrebbe minacciato le sue vittime al fine di convincerle di non denunciarlo alla Polizia Italiana. Il fermato è stato portato nel carcere di Agrigento. Le indagini erano state avviate fin dal 27 maggio scorso, giorno dello sbarco del somalo a Lampedusa, e sono state condotte dalla seconda divisione del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, dalla Squadra Mobile di Palermo, diretta da Rodolfo Ruperti e dalla Squadra Mobile di Agrigento, diretta dal Giovanni Minardi.

Solo la settimana scorsa un altro "torturatore", un nigeriano, era stato arrestato nel CARA di Isola Capo Rizzuto. Le modalità sono le stesse, il tentativo di confondersi tra i veri migranti e poi la denuncia dalle stesse vittime.
(La Stampa)

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Allarme dell'ONU per i profughi sud sudanesi rifugiati in Uganda. I soldi promessi dai grandi donatori non sono arrivati

Vertice per i rifugiati in Uganda. Solo 358 milioni di dollari sono stati raccolti dei due miliardi promessi dai donatori.

Lo scorso fine settimana a Kampala, in Uganda, si è riunito il “Vertice di solidarietà per i rifugiati”, indetto dalle agenzie delle Nazioni Unite interessate alla crisi. Nel darne notizia ieri, il segretario generale dell'Onu, António Guterres, ha parlato di un "buon punto di partenza", anche se la conferenza internazionale stava cercando di raccogliere 2 miliardi di dollari per i prossimi quattro anni, considerati necessari per coprire le tante emergenze in corso.

Guterres ha osservato che la Banca mondiale e la Banca africana per lo sviluppo hanno promesso "finanziamenti innovativi" per progetti che coinvolgono sia i rifugiati che le comunità locali. Secondo le stime dell'Alto Commissariato per i rifugiati (Unhcr), l’Uganda ospita poco più di 1,2 milioni di rifugiati e richiedenti asilo, di cui circa 950mila sono provenienti dal Sud Sudan.

Inoltre, circa 2.000 persone al giorno attraversano il confine nel nord del paese dopo aver camminato per giorni per raggiungere la sicurezza. La maggioranza sono donne e bambini che arrivano esausti e affamati, portando con loro poco più che gli abiti che indossano. L'afflusso di massa ha innescato quello che il segretario generale dell’Onu ha descritto come "il più grande esodo di rifugiati dopo quello del genocidio in Rwanda"
(United Nations)

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Congo, è allarme per 80.000 sfollati dalla provincia del Pool

Sfollati congolesi in fuga dalla provincia di Pool
Più di 80.000 persone hanno abbandonato le loro case nella provincia di Pool nei dintorni della capitale della Repubblica del Congo, Brazaville, da quando il governo ha avviato un'operazione militare lo scorso anno.

La campagna, che utilizza anche bombardamenti aerei occasionali, mira a frenare la milizia guidata da Frederic Bintsamou, meglio noto come pastor Ntumi, fedele all'ex primo ministro Bernard Kolelas, padre del candidato dell’opposizione Guy-Brice Parfait Kolelas, che ha fatto della provincia di Pool, ricca di petrolio, la roccaforte delle sue milizie Ninja.

Il governo ha accusato pastor Ntumi, già leader della milizia che ha combattuto il presidente Denis Sassou Nguesso durante e dopo una guerra civile del 1997, di attacchi a strutture della polizia, militari e amministrative nel capoluogo Brazzaville lo scorso aprile. Le violenze sono scoppiate dopo la contestata rielezione di Nguesso, il 20 marzo 2016, per un terzo mandato che lo porta ad essere da 33 anni alla guida del paese.

Da allora la provincia è stata scenario di regolari operazioni delle forze di sicurezza, accusate anche di abusi sulla popolazione. Nei mesi scorsi Amnesty International puntato il dito contro il governo che avrebbe bombardato intenzionalmente aree residenziali ad aprile, uccidendo almeno 30 persone.

Le agenzie delle Nazioni Unite ora lanciano un allarme, perché molti degli oltre 80mila sfollati non sono raggiungibili in quanto riparati in zone non accessibili. Dopo una recente visita l’ONU ha riscontrato segni di malnutrizione diffusa e teme che la situazione si complichi, in quanto “il numero degli sfollati continua ad aumentare e le condizioni di vita peggiorano ogni giorno"

Per fornire assistenza umanitaria d’emergenza a queste popolazioni, le Nazioni Unite cercano fondi per circa 20 milioni di dollari.
(Reuters)

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lunedì 26 giugno 2017

Sud Sudan. Amnesty International documenta la "pulizia etnica" degli Shilluck nell'Alto Nilo


Nel rapportoIt was as if my village was swept by a flood’. The mass displacement of the shilluk population from the west bank of the White Nile, South Sudan” (‘È stato come se il mio villaggio fosse stato spazzato via da un’alluvione’. La cacciata di massa della popolazione shilluk dalla riva occidentale del Nilo Bianco, Sud Sudan”) diffuso mercoledì, Amnesty International denuncia la pulizia etnica degli shilluk, ad opera dell’esercito governativo, fedele al presidente Salva Kiir.



Il rapporto è basato su decine di interviste fatte dai ricercatori in un campo profughi nella zona di Aburoc, in un sito per la protezione dei civili difeso dalle Nazioni Unite nella città di Malakal, e su foto satellitari. Gli intervistati hanno raccontato di come, dopo gli attacchi, i soldati e i miliziani loro alleati rubassero ogni cosa: dalle scorte di cibo, ai mobili, e persino le porte delle case. Un capo villaggio ha descritto la distruzione come “essere stati sommersi da un’inondazione”.

Secondo le dichiarazioni di Joanne Mariner, consulente per le risposte alle crisi dell’organizzazione, “Intere zone del territorio degli shilluk sono state devastate; le loro case saccheggiate e poi date alle fiamme. Le prospettive di tornare indietro sono scarse, anche a causa della crescente crisi umanitaria nella regione e del timore di subire nuovamente violenza”. La Mariner ha continuato “Pur avendo presente che la storia del Sud Sudan è segnata da ostilità tra le etnie, lo sfollamento di massa di quasi tutta la popolazione shilluk è un fatto veramente sconcertante”.

Ora 10.000 persone si trovano nel campo per sfollati di Aburoc in condizioni drammatiche, con pochissima acqua a disposizione e poco supporto alimentare. Nel campo si sono già verificati numerosi casi di colera. La maggior parte della popolazione ha passato il confine con il Sudan in cerca della protezione internazionale.

La zona di stanziamento degli shilluk, terzo gruppo etnico del paese, si trova sulla riva occidentale del Nilo Bianco e, fino all'offensiva dell’esercito governativo sferrata all'inizio dell’anno, era sotto il controllo del gruppo di opposizione di Johnson Olony, conosciuto come Agwelek, alleato dell’Splm-Io di Riak Machar.
(Amnesty International)



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Sudan, migliaia di palmeti distrutti dal fuoco lungo le rive del Nilo

Almeno 1.500 palme da dattero, sei generatori per l’irrigazione e alcune case sono stati distrutti in un incendio scoppiato lunedì nella zona di Koka, nelle vicinanze di Dongola, capitale dello stato del Nord, in Sudan. In un altro incendio, scoppiato in maggio nell'isola di Artemi, nella zona do Dogo, sempre lungo il corso del Nilo, sono andate distrutte almeno 500 palme.

L’attivista nubiano, i nubiani sono una minoranza etnica che vive nel nord del Sudan, Adham Nasir ha dichiarato a Radio Dabanga che la causa del disastro non è nota per ora, ma che la gente sospetta si tratti di un incendio doloso. Ha anche sottolineato che gli incendi, attribuiti a persone che rimangono sconosciute, sono in crescita nell'ultimo periodo, mentre le autorità competenti non mostrano nessun interesse per contenere il fuoco e scoprire i responsabili.

Secondo statistiche del Nubian development committee, dal 2005 al 2016 almeno 250.000 palme sono state distrutte dal fuoco. Il governo non ha statistiche su questi disastri ambientali ed economici. Per la popolazione nubiana, infatti, la palma da dattero è una delle maggiori fonti di reddito.

Le rive del Nilo sono una striscia di terra fertilissima che corre in mezzo al deserto. Il Nilo che scorre nello Stato del Nord è inoltre la parte del fiume interessata dalla costruzione di numerose dighe, destinate a formare bacini per lo sviluppo dell’agricoltura meccanizzata, ad opera di investitori stranieri. Si sospetta, dunque, l’origine dolosa degli incendi.
(Radio Dabanga)

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