lunedì 31 dicembre 2018

Si è votato nella Repubblica Democratica del Congo. Un voto spezzato

L'appello del Papa. "Il clima resti tranquillo". Dopo due anni di rinvii sono stati aperti i seggi per le elezioni presidenziali, tra timori di disordini e brogli.


L'attuale capo dello Stato, Joseph Kabila, è in carica dal 2001 e per ben tre volte è riuscito a rimandare il voto per eleggere il suo successore: il vincitore di queste consultazioni sarà il primo che prende il potere pacificamente dall'indipendenza del Paese, ottenuta nel 1960.

I candidati sono 19. Si temono proteste e disordini per una decisione dell'ultimo minuto che ha escluso dal voto circa un milione di persone a causa della grave epidemia di ebola esplosa nell'est della Repubblica Democratica del Congo. I seggi si sono aperti nella capitale Kinshasa e il voto del presidente uscente Kabila e del suo fedelissimo Emmanuel Ramazani Shadary, uno dei candidati alla presidenza.


Le elezioni presidenziali, inizialmente previste per il 23 dicembre, sono state ulteriormente spostate di una settimana, a causa di boicottaggi, scarsa organizzazione, tentativi di brogli

«Preghiamo insieme per tutti coloro che nella Repubblica Democratica del Congo soffrono a causa della violenza e dell'ebola. Auspico che tutti si impegnino a mantenere un clima pacifico che permetta un regolare e pacifico svolgimento delle elezioni». Lo ha detto papa Francesco all'Angelus.

«Oggi metteremo fine alla miseria della gente ed alla dittatura di Kabila»: con queste parole Martin Fayulu, candidato della coalizione Lamuka alle presidenziali congolesi, ha espresso la certezza di una vittoria dell'opposizione al voto che viene celebrato oggi (30 dicembre ndr..) nella Repubblica Democratica del Congo. Il 62enne Fayulu, che ha votato a Kinshasa, e che durante la campagna elettorale ha riscosso grande successo di pubblico, partecipò in prima persona alle manifestazioni anti-Kabila nel 2016 e 2017.

Il punto
Rinviate a più riprese, le elezioni presidenziali, legislative, provinciali del Congo, sono state nuovamente posticipate dalla Commissione Elettorale in quattro circoscrizioni: Beni, Beni ville, Butembo ville (nordest) e Yumbi (sudovest), per le quali è stato predisposto un calendario specifico. Un totale di 1,2 milioni di elettori, sugli oltre 40 milioni di iscritti a votare, non potranno farlo prima del mese di marzo 2019, ossia due mesi dopo la pubblicazione dei risultati definitivi delle presidenziali (15 gennaio) e del giuramento del nuovo presidente (18 gennaio).

Il timore dichiarato della Commissione è che lo spostamento di elettori e la promiscuità nei seggi contribuisca a diffondere i rischi di contagio da Ebola, che ha già fatto 350 morti da fine agosto nel Nord-Kiwu e che è ancora presente a Beni e Butembo. Poi esiste nella stessa regione “una minaccia terroristica”, mentre a Yumbi il problema è quello del conflitto interetnico nella provincia di Mai-Ndombe che da metà mese ha già fatto 80 morti.

Dalla consultazione dovrà uscire il successore di Joseph Kabila, divenuto presidente della Repubblica Democratica del Congo in seguito all'assassinio di suo padre Laurent-Désiré Kabila, il 16 gennaio 2001, carica alla quale aspirano 19 candidati, tra i quali ne spiccano tre: Emmanuel Ramazani Shadary, candidato sostenuto da Kabila e nominato a capo del partito presidenziale ad inizio anno, dopo 14 mesi passati al Ministero dell’Interno dove è stato uno tra i principali artefici della repressione delle manifestazioni contro la permanenza al potere di Jospeh Kabila. È una delle 14 personalità sanzionate dall’Ue per gravi violazioni dei diritti umani.

Ci sono poi Felix Tshisekedi e Martin Fayulu. Quest’ultimo è il candidato della coalizione Lamuka: durante la campagna il 62enne ex dipendente di Exxon Mobil è riuscito a radunare folle oceaniche e nel tempo si è costruito una reputazione di uomo intransigente e coraggioso per aver partecipato in prima persona alle manifestazioni anti-kabila nel 2016 e 2017.

Il voto era stato rinviato dal dicembre 2016 a dicembre 2017, quindi al 23 dicembre scorso. A quel punto c’è stato il rinvio di una settimana per i ritardi con cui arrivavano i materiali necessari ad organizzare il voto e a seguito dell’incendio di un deposito della commissione a Kinshasa. L’annuncio dell’ulteriore rinvio in quattro circoscrizioni ha spinto in strada centinaia di manifestanti a Beni e Goma ed è stato definito ingiustificabile dall’opposizione che vi vede il tentativo di isolare i bastioni anti-Kabila.

Vista la situazione ci sono molti dubbi sul fatto che il voto verrà dichiarato credibile. E se ciò accadrà Joseph Kabila, che ha cercato di posticipare il più possibile la sua uscita di scena, sarà “costretto” a rimanere al potere.

A definire poi il clima di incertezza e tensione generale ha contribuito anche la decisione annunciata due giorni fa dalla Repubblica Democratica del Congo di espellere l’ambasciatore dell’Unione Europea nel paese. La scelta era arrivata dopo che la UE aveva stabilito i di rinnovare le sanzioni contro diversi funzionari governativi, compreso Emmanuel Ramazani Shadarys, candidato del partito governativo alle elezioni presidenziali.




Articolo a cura di
Maris Davis


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lunedì 17 dicembre 2018

Report "Honest Accounts". L'Africa finanzia il mondo

Secondo il report "Honest Accounts" il saldo tra entrate e uscite è negativo per 41 miliardi di dollari


«L’Africa finanzia il resto del mondo per l’ammontare di 41,3 miliardi di dollari l’anno». È quanto emerge dal nuovo rapporto “Honest Accounts 2017. Come il mondo beneficia della ricchezza dell’Africa”, frutto dell’impegno congiunto dell’organizzazione britannica di cittadinanza attiva Global Justice Now, del movimento internazionale per l’annullamento del debito dei paesi più poveri Jubilee Debt Campaign e di un gruppo di Ong europee e africane.

Il dato è originato dall'esame dei flussi economici e finanziari di 47 paesi dell'Africa Sub-Sahariana. Il risultato è che nel 2015 il continente ha ricevuto 161,6 miliardi dollari sotto forma di prestiti internazionali, aiuti allo sviluppo e rimesse dei migranti, mentre l’ammontare complessivo delle uscite è stato pari a 202,9 miliardi di dollari.

Nello specifico, i paesi africani hanno ricevuto circa 19 miliardi di dollari in sovvenzioni e aiuti allo sviluppo, ma più del triplo di questi fondi, 68 miliardi, è uscito dal continente in attività finanziarie illecite. Di questa enorme fetta di torta, corrispondente a oltre il 6% del Pil dell’intera Africa, una buona parte, 48,2 miliardi di dollari, è legata al cosiddetto fenomeno del “trade misinvoicing”, ossia alle false fatturazioni commerciali delle multinazionali.

A questa cifra, inoltre, vanno aggiunti 32,4 miliardi di dollari di profitti delle multinazionali che, semplicemente, vengono riportati nei paesi dove le società hanno la loro sede. Nulla di illegale, in questo caso, ma comunque un altro grosso pezzo di ricchezza creata in Africa e goduta altrove.

E poi ci sono il rimborso del debito da parte di governi e settore privato (quasi 30 miliardi in tutto), gli utili inviati nei paradisi fiscali dopo aver sfruttato le risorse africane, la pesca e la caccia di frodo, il disboscamento illegale. Senza contare l’effetto di impoverimento prodotto dal cosiddetto “brain drain”, ossia la perdita di giovani talenti africani, che migrano a causa dei dissesti naturali e dei conflitti.

Il vero ruolo degli aiuti esteri
Gli autori del rapporto sono molto critici sul ruolo esercitato dagli aiuti esteri erogati dai governi occidentali nel continente africano, sostenendo che spesso si tratta semplicemente di finanziamenti per promuovere la privatizzazione dei servizi pubblici, il libero scambio e gli investimenti privati.

«Se lo scopo degli aiuti è quello di supportare lo sviluppo dell’Africa, dovrebbe allora essere slegato da interessi corporativi occidentali»

Viene poi evidenziato che l’Africa ha un grande potenziale minerario ed energetico, manodopera qualificata, nuove imprese in forte espansione, un vasto mercato interno e una straordinaria biodiversità. La sua popolazione dovrebbe dunque prosperare, mentre l’economia del continente dovrebbe crescere con tassi annuali a doppia cifra, pari ad almeno il doppio del 5% attuale.

Al contrario, molte persone che vivono nei 47 paesi presi in esame restano intrappolate nella povertà, mentre gran parte della ricchezza del continente defluisce sistematicamente verso i paesi più sviluppati, in gran parte ex- colonizzatori.

Inquinamento provocato dalle multinazionali del petrolio nel Delta del Niger, in Nigeria

La relazione rileva inoltre le responsabilità che i governi occidentali e le istituzioni finanziarie internazionali hanno nel depauperamento del continente, per avervi introdotto politiche economiche che alimentano la povertà.

Per esempio, lo studio descrive come le compagnie estrattive che esportano minerali, gas e petrolio, ottengono ingenti profitti pagando esigue tasse grazie a rilevanti incentivi fiscali. Misure tributarie mirate, messe in atto dai governi occidentali per favorire generose riduzioni delle imposte alle multinazionali.

L’impatto del cambiamento climatico
Sono prese in esame con estrema attenzione anche le perdite associate agli effetti avversi del cambiamento climatico, nonostante l’Africa abbia contribuito in misura irrisoria allo storico accumulo dei gas a effetto serra, rispetto ai paesi sviluppati.

Il costo di adattamento per prevenire l’impatto del cambiamento climatico nel continente è stimato in 10,6 miliardi all’anno, mentre per la mitigazione dei fenomeni ad esso correlati sarebbero necessari circa altri 26 miliardi, nei quali è compresa l’adozione di sistemi di conversione dell’energia da fonti rinnovabili. Un processo di trasformazione molto più oneroso rispetto all’Europa o all’America, perché in Africa mancano le infrastrutture e la tecnologia necessarie.

Arrivando alle conclusioni, la ricerca dimostra che quello di cui i paesi africani hanno veramente bisogno è che il resto del mondo fermi i saccheggi retaggio dell’epoca coloniale, la cui natura di base rimane invariata. Per questo, gli aiuti internazionali andrebbero riconsiderati come una sorta di risarcimento per i danni causati al continente.

I ricercatori di Honest Accounts non formulano però solo critiche, ma propongono anche alcune soluzioni concrete. Tra queste, un maggiore coinvolgimento della società civile del continente e di quella dei paesi che beneficiano della sua ricchezza per contrastare la corruzione, eliminare le politiche fiscali svantaggiose e i troppi squilibri che impediscono lo sviluppo dell’Africa.

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Articolo a cura di
Maris Davis


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venerdì 14 dicembre 2018

Sud Sudan. Venduta su facebook una 16enne, offerta in moglie al miglior offerente

Il caso è scoppiato a fine ottobre quando il padre di una giovane pubblica su facebook il post dell'orrore. Il social network impiega due settimane per rimuoverlo.


Facebook velocissimo a rimuovere post di nudo femminile (che in fondo non fanno male a nessuno, solo agli ipocriti del pudore), ma lentissimo a rimuovere post discriminatori, razzisti, inneggianti all'odio, o post che mettono in "vendita" ragazzine. In fondo esiste la libertà di parola e di pensiero, ma non quella di essere donna.

Anche alti funzionari locali hanno provato ad aggiudicarsi la giovane, data poi in matrimonio a un ricco uomo d'affari

Parliamo spesso di Sud Sudan per quella terribile e feroce guerra civile che lo insanguina dal 2013. Un guerra civile che ha provocato orrori, bambini soldato, uccisioni indiscriminate di civili, profughi, e povertà estrema. E sarà stata proprio l'estrema povertà che ha indotto un padre a "vendere" sua figlia 16enne su facebook, lì dove tutto il mondo poteva vedere.

Una vera e propria asta su Facebook per aggiudicarsi una sposa ragazzina
Manco fosse un oggetto o un animale, una 16enne è stata esposta dalla sua famiglia sul social network con tanto di foto e assicurazioni anche sull'altezza, tale da garantire al vincitore dell’asta dei figli con “posti garantiti nella Nba”, il campionato di basket americano. Di più: all’asta hanno partecipato anche altissimi funzionari governativi, che invece di stroncare quanto stava accadendo hanno postato le loro offerte per la giovane Nyalong Ngong Deng Jalang.

Facebook ha impiegato circa due settimane per eliminare un annuncio che metteva all'asta in Sud Sudan una ragazzina di 16 anni. L’asta, promossa dal padre dell'adolescente, è iniziata il 25 ottobre, si è conclusa con l’offerta vincente di 500 mucche, 3 auto e 10mila dollari e con il matrimonio della ragazzina, celebrato a Juba il 3 novembre.

L’annuncio era accompagnato dalla foto della giovane originaria dello Stato di Eastern Lakes. In palio c’era una giovane alta e dall'espressione spenta. “La competizione è assolutamente consentita nella cultura Dinka/Jieng”, sosteneva il post.

A partecipare alla “competizione” almeno cinque uomini, tra i quali il vice governatore dello Stato David Mayom Riak, arrivato a offrire in dote 353 mucche e terreni di “prima classe”. Non è bastato.


Ad aggiudicarsi quella che era già stata tristemente definita sui social “la vergine più cara del Sud Sudan” è stato il ricco uomo d’affari Kok Alat, dietro alla dote di 500 mucche, tre automobili e 10mila dollari

Foto del matrimonio dopo l'asta su facebook

Facebook ha rimosso il post solamente il 9 novembre quando l'orrore si era ormai compiuto. Alla CNN, che per prima ha scoperto l’accaduto, Facebook ha dichiarato di aver disabilitato l’account dell’utente che ha pubblicato l’asta sul social network.

George Otim, direttore generale di Plan International South Sudan, associazione che difende i diritti dei bambini nel paese africano, ha dichiarato: “Questo uso barbarico della tecnologia degli ultimi giorni ricorda i mercati degli schiavi. È incredibile che nel 2018 una ragazza possa essere venduta per il matrimonio sul più grande social network al mondo. Plan International chiede al governo del Sud Sudan di indagare su quest’argomento e sospendere i funzionari che hanno preso parte alla gara. Incoraggiamo tutte le ragazze che si trovano in situazioni simili di matrimoni forzati e precoci a segnalarle alla polizia

Nonostante il post in questione sia diventato virale in Sud Sudan, non è chiaro il motivo per cui il social network abbia impiegato più di due settimane per accorgersi di quello che stava succedendo. Poche settimane fa il social network aveva annunciato in pompa magna strumenti di intelligenza artificiale per scovare gli abusi sui minori.

Molte Ong hanno esortato il governo a occuparsi della vicenda
È da non credere che una ragazza possa essere venduta come sposa sul più grande social network del mondo”, sottolinea George Otim, responsabile di Plan International South Sudan.

Nonostante l’età legale per il matrimonio sia di 18 anni. "Oltre il 50 per cento delle ragazze sud sudanesi si sposa prima di diventare maggiorenne", sottolinea l’Unicef. Gli alti livelli di povertà, la perdurante situazione di conflitto, i bassi livelli di istruzione, oltre che le tradizioni locali, hanno contribuito a far crescere il fenomeno.

Un portavoce di Facebook ha dichiarato: “Qualsiasi forma di traffico di esseri umani, che siano post, pagine, annunci o gruppi non sono consentiti su Facebook. Abbiamo rimosso il post e disattivato permanentemente l’account appartenente alla persona che l’ha pubblicato su Facebook. Miglioriamo costantemente i metodi che utilizziamo per identificare i contenuti che infrangono le nostre politiche, raddoppiando il nostro team di sicurezza e protezione e investimento in tecnologia

In alcune comunità locali il matrimonio precoce è considerato un modo per “proteggere” le ragazze dal sesso pre-matrimoniale e dalle gravidanze indesiderate, in altri casi come la maniera più semplice di poter ottenere bestiame e soldi grazie alla tradizionale dote, equivalente solitamente a 30-40 mucche e denaro o terreni. “È una pratica che viola i diritti delle ragazze, privandole del diritto all'istruzione, incrementando il rischio di violenza e riducendole a mera proprietà di qualcun altro

I matrimoni precoci e combinati in Sud Sudan sono illegali, ma secondo gli esperti l’accaduto potrebbe dare il via ad una serie di emulazioni e aumentare il traffico di minorenni

Il “successo” dell’asta su Facebook potrebbe spingere molte famiglie del Sud Sudan a replicare quanto accaduto, anche se il social network ha ribadito che sul sitonon è consentita alcuna forma di traffico di esseri umani

Le Ong chiedono un monitoraggio più attento, oltre alla sospensione dei funzionari che hanno preso parte all'asta. Le famiglie, sottolineano, dovrebbero considerare la dote come un simbolo di apprezzamento invece che come un pagamento per le loro figlie. Ma la strada per riuscire a sconfiggere il fenomeno appare ancora molto lunga.
(Avvenire)


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Articolo a cura di
Maris Davis


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Somalia. Arrestato l'ex vice degli Al-Shabaab, era candidato alle elezioni nel South West State

Nonostante i suoi trascorsi criminali Mukhtar Robow si era candidato alle elezioni per la carica di presidente nel South West State. Il suo arresto eseguito dalle forze di sicurezza dell'Etiopia che presidiano la regione sud-occidentale della Somalia nell'ambito di una missione anti-terrorismo.


L’arresto ieri a Baidoa di Mukhtar Robow, ex numero due del gruppo terroristico al-Shabaab, ha scatenato duri scontri tra i suoi sostenitori e le forze governative, durante i quali 8 persone sono morte e almeno 10 sono rimaste ferite.

Robow aveva abbandonato il gruppo integralista islamico dopo dissidi interni con militanti simpatizzanti dell’ala legata allo Stato Islamico (ISIS), e temendo per la propria vita si era consegnato alle autorità somale lo scorso agosto.

Ha poi deciso poi di candidarsi alle prossime elezioni per la carica di presidente nello Stato sud-occidentale (South West State), di cui Baidoa è il capoluogo. La mossa aveva suscitato molte perplessità, fino alla decisione delle autorità competenti di dichiararlo ineleggibile perché ancora oggetto di sanzioni internazionali.

Secondo funzionari governativi coperti da anonimato, Mukhtar Robow era stato invitato ieri ad un incontro nel palazzo presidenziale della regione, dove era stato immediatamente arrestato, pare dai militari etiopici che garantiscono la sicurezza nell’area. Secondo alcune fonti, sarebbe stato immediatamente interrogato e incarcerato.

Il suo arresto ha provocato l’immediata reazione dei suoi miliziani e dei supporter. I disordini sono stati così gravi che le autorità hanno interrotto le comunicazioni telefoniche e internet nella zona per alcune ore.
(Africanews)


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Burundi e diritti umani. Espulsa dal Paese l'UNHCR

Il governo del Burundi ha chiesto all'agenzia per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHCR) di lasciare il paese.


A darne notizia è stata ieri a Ginevra la portavoce dell’UNHCHR, Ravina Shamdasani, che ha parlato di una lettera ricevuta la scorsa settimana, in cui si chiede di chiudere l'ufficio.

Il governo della nazione dell'Africa orientale è da lungo tempo irritato per i rapporti delle Nazioni Unite che descrivono la brutale repressione del dissenso in atto da quando il presidente Pierre Nkurunziza decise di modificare la Costituzione per poter correre per un terzo mandato, nel 2015.

Il Burundi è tra i più prolifici mattatoi umani degli ultimi tempi


Da allora le Nazioni Unite hanno registrato oltre 1.200 morti e oltre 400mila sfollati e rifugiati, quasi un terzo della popolazione (10,9 milioni di abitanti) L’allora segretario generale Zeid Ra'ad al-Hussein, all'inizio dell'anno aveva detto che il Burundi è «tra i più prolifici mattatoi umani degli ultimi tempi»

Le atrocità commesse nel paese hanno indotto la Corte penale internazionale ad autorizzare un'indagine su presunti reati sponsorizzati dallo stato che includevano omicidio, stupro e tortura. La risposta del governo è stata il ritiro, l'anno scorso, della propria adesione al tribunale dell’Aja.

Il Burundi ha smesso di collaborare con l'UNHCHR più di due anni fa, accusandolo di "complicità con i golpisti e i nemici del Burundi" dopo la pubblicazione di un rapporto che sosteneva "il coinvolgimento del regime in abusi sistematici e il rischio di genocidio"
(Voice of Africa News)


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Condannato il razzismo del Comune di Lodi per i bambini stranieri esclusi dalla mensa

Il Tribunale di Milano sconfessa la sindaca: "È discriminazione, le condizioni devono essere uguali per tutti"

Il Comune di Lodi è stato condannato per aver discriminato i bambini stranieri che chiedevano l'iscrizione al servizio di mensa scolastica. Il giudice Nicola Di Plotti, con l'ordinanza appena pubblicata, ha ordinato al Comune di Lodi di "modificare il 'Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate' in modo da consentire ai cittadini non appartenenti all'Unione Europea di presentare la domanda di accesso a prestazioni sociali agevolate mediante la presentazione dell’Isee alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e dell’Unione Europea in generale"

Così si legge nel provvedimento con cui è stato accolto il ricorso dalla prima sezione del Tribunale di Milano a cui si erano rivolte alcune famiglie straniere residenti a Lodi con la tutela legale dell'Asgi, associazione studi giuridici sull'immigrazione, e dal Naga di Milano.

Il caso è noto. La giunta a guida leghista del piccolo Comune a sud di Milano aveva introdotto un regolamento che imponeva agli immigrati di far certificare nei Paesi d'origine l'assenza di proprietà immobiliari. Certificazioni in lingua originale che le famiglie avevano ovviamente molta fatica ad avere anche solo perché mancano in molti di quei paesi il Catasto e gli uffici pubblici che possono rilasciare i documenti, paesi in guerra, in grave stato di povertà, paesi instabili politicamente.

La vicenda era rapidamente salita alla ribalta della cronaca nazionale, con la sindaca Casanova a non cedere di un millimetro nonostante il moltiplicarsi delle proteste. Nel giro di pochi giorni ecco il coordinamento "Uguali doveri", nato in sostegno delle famiglie straniere discriminate e promotore nelle scorse settimane di una raccolta fondi che, anche grazie al tam tam dei social, è riuscita a raccogliere più di 100mila euro e a garantire il servizio mensa ai circa 200 bimbi in questione.

Una delle manifestazioni di protesta contro il regolamento del comune di Lodi

Ora il giudice, accertata "la condotta discriminatoria del Comune di Lodi consistente nella modifica del regolamento con la delibera del Consiglio Comunale n. 28/2017, nella parte in cui si stabilisce che i cittadini non appartenenti all'Unione Europea, per accedere a prestazioni sociali agevolate, debbano produrre la certificazione rilasciata dalla competente autorità dello Stato esterno, corredata di traduzione in italiano legalizzata dall'Autorità consolare italiana", ha condannato l'amministrazione a pagare 5mila euro per le spese processuali e intimato di cambiare il regolamento stesso, che escludeva in sostanza i bimbi immigrati dalla possibilità di accedere ai servizi scolastici, non quelli della mensa ma anche quelli del trasporto bus, alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani.

"Riammessi tutti. Hanno vinto buon senso e civiltà"

Nell'ordinanza si parla più volte della "condotta discriminatoria" della giunta di Lodi guidata dalla sindaca Sara Casanova e del "provvedimento che introduce una disparità di trattamento emesso da un’autorità che non ha il potere di assumere decisioni in proposito"

Alberto Guariso e Livio Neri, i due legali che hanno presentato il ricorso e vinto la causa, commentano: "La decisione del Tribunale ripristina la parità di trattamento che la legge prevede: italiani e stranieri devono seguire per accedere alle prestazioni sociali le medesime procedure e queste sono fissate dalle norme del 2013 sullìIsee. È una vittoria della legalità e della ragionevolezza

Di "una grande vittoria contro la discriminazione" parla anche il Coordinamento Uguali Doveri. "Una grande sconfitta dell'amministrazione di centrodestra del Comune, guidata dalla Lega Nord, che in modo testardo ha creato un caso di discriminazione che è diventato di interesse nazionale"

Il Coordinamento ha poi invitato tutti a partecipare al grande festeggiamento in Piazza Broletto a Lodi. Che si è trasformato in una contestazione quando le tante persone riunite sotto il Comune sono poi salite in aula e hanno iniziato a urlare "buuu", "vergogna" e ad applaudire quando la minoranza zittiva la maggioranza. Tanto che il presidente del consiglio comunale ha dovuto ammonire che avrebbe fatto sgomberare l'aula se questo atteggiamento fosse andato avanti.

L'amministrazione comunale comunque sta valutando con gli avvocati se intraprendere azioni legali contro la sentenza del Tribunale di Milano: la decisione sarà comunicata nei prossimi giorni.
(La Repubblica)


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