lunedì 3 dicembre 2018

Incendio nella baraccopoli. Muore Immigrato 18enne. Il primo fallimento di Salvini

Tragedia nella tendopoli di San Ferdinando, alle porte di Gioia Tauro, dove un grave incendio scoppiato fra le baracche è costato la vita a un giovane immigrato del Gambia. Il giovane è rimasto imprigionato nella sua baracca, divorata dalle fiamme. Montano le proteste.

Suruwa Jaithe
Un giovane migrante proveniente dal Gambia, Suruwa Jaithe, è morto carbonizzato in un incendio sviluppatosi nella tendopoli di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro, dove vivono centinaia di extracomunitari.

Il rogo, che ha distrutto alcune baracche, si è sviluppato in seguito ad un fuoco acceso da qualcuno tra i migranti per riscaldarsi dal freddo della notte. Il gambiano era ospite dello Sprar di Gioiosa Ionica, in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno, ma era andato a trascorrere la notte con amici che alloggiano nella tendopoli di San Ferdinando.

Il giovanissimo extracomunitario, nemmeno 18enne, stava dormendo e non si sarebbe nemmeno accorto del fuoco che si stava espandendo dalla baracca vicina. Il ragazzo è morto investito dalle fiamme, senza poter fare nulla per fuggire. Ad appiccare le fiamme sarebbe stato un fuoco acceso in una delle casupole in materiale plastico erette dai migranti, la quale sarebbe arsa rapidamente estendendo l'incendio anche ad altre zone della baraccopoli.

Il rogo è stato spento dai vigili del fuoco che stazionano nella zona e dagli stessi migranti. Sul posto sono intervenuti carabinieri, polizia e guardia di finanza.

Va segnalato che quel centro di accoglienza da almeno dieci anni è considerato precario a causa sia del sovraffollamento eccessivo sia delle condizioni igieniche. E recentemente era stato visitato anche dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, che aveva promesso in tempi brevi lo sgombero.

Sul rogo che ha ucciso Suruwa Jaithe il sospetto che non sia stato un'incidente. Qualcuno aveva chiesto di lui poco prima che divampassero le fiamme. Un dubbio atroce su cui ora indagano le forze dell'ordine.

Condizioni difficili
Gli incendi sono incidenti frequenti nel campo situato nella piana di Gioia Tauro, in Calabria. Già in altre occasioni alcuni roghi scoppiati per le medesime ragioni avevano provocato la morte delle persone che si trovavano nelle baracche bruciate, costruite perlopiù in materiali plastici che bruciano molto in fretta. Anche per questo attorno al campo si trovano spesso delle auotobotti dei Vigili del fuoco pronte a intervenire anche se, purtroppo, stavolta il loro intervento si è rivelato inutile per salvare la vita del giovane migrante. Gli altri extracomunitari che hanno trovato rifugio nella baraccopoli hanno tentato di spegnere le fiamme con i secchi d'acqua, riempiti nelle due fontanelle che si trovano nel campo, senza però riuscire nemmeno ad arginare il fuoco che ha in brevissimo tempo divorato la baracca.

Le proteste dei braccianti dopo la morte del giovane gambiano

Rabbia e proteste
Subito dopo la tragedia e l'intervento dei Vigili del fuoco, all'interno del San Ferdinando si sono registrati alcuni momenti di tensione, con alcuni gruppi di migranti che hanno rovesciato cassonnetti e organizzato un sit-in sotto la sede della Cgil del posto, lamentando le condizioni invivibili del campo e le tantissime difficoltà che incontrano le persone durante i mesi invernali, nei quali il fuoco è necessario ma altrettanto pericoloso per le fragili baracche. Il prefetto ha per questo organizzato una riunione d'urgenza.


La morte del giovane gambiano è il primo vero fallimento di Salvini
Non si può vivere così”. Aveva ragione il ministro dell’Interno Matteo Salvini quest’estate quando visitò la baraccopoli di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro. Ma non si può nemmeno morire bruciati da un focolare come è accaduto per Suruwa Jaithe, ammazzato dall’indifferenza di chi lascia che in un Paese civile vi sia una baraccopoli alla pari di quella di Korogocho a Nairobi.

La morte di questo 18enne è il primo vero fallimento del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Quest’estate era arrivato alla tendopoli in camicia bianca e l’aveva girata accompagnato dalle forze dell’ordine. Si era concesso anche un sorvegliato dialogo con i giovani neri che abitano la tendopoli. Aveva usato parole amare: “Questi vivono in questa schifezza. Qui dormono in 15? Promettiamo che civiltà e legalità devono tornare due parole d’ordine. Non si può vivere così

Suruwa se n’è andato a 18 anni nemmeno compiuti. Non viveva nemmeno lì. Arrivato dal Gambia da solo ancora minorenne, da tempo era inserito nel progetto Sprar di Gioiosa Ionica, sulla costa jonica reggina, a una cinquantina di chilometri da San Ferdinando. Partecipava alle attività, era l’anima di un laboratorio artistico, che qualche tempo fa gli è valso anche un premio del sindaco. Ma molti dei suoi amici e parenti non erano riusciti a entrare nel circuito dell’accoglienza. L’Italia aveva riservato loro solo la possibilità di arrangiarsi sotto le tende nella zona di San Ferdinando e di vendersi ogni mattina come braccianti a giornata per un euro a cassetta di arance. Suruwa ogni tanto tornava lì dagli amici.

Un inferno inimmaginabile. Un girone dantesco che alimenta l’economia locale, visto che chi vive lì lavora sfruttato e i “caporali” preferiscono avere un negro che un italiano a raccogliere i pomodori. Una situazione conosciuta e tollerata da tutti.

Il campo è presidiato da uomini della Polizia e dei Carabinieri. San Ferdinando non è un problema semplice da risolvere, ma qualcosa si poteva fare nel frattempo. Ci chiediamo perché non c’è almeno un’ambulanza. Perché non c’è una camionetta dei Vigili del fuoco.

La morte di Suruwa è il fallimento della politica di un ministro che alza la voce, che fa propaganda per poi lasciare tutto come prima. Anzi per peggiorare la situazione, visto che tra poco ci troveremo altre San Ferdinando in tutta Italia




Articolo a cura di
Maris Davis


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