giovedì 28 settembre 2017

Miss Africa Italy 2017. La finale a novembre, e intanto Adelia che rappresenta l'Angola si confessa

«Se vinco aiuterò il mio Paese». Nata in Angola, cresciuta a Cecina, ex giocatrice di volley: «Se vinco posso realizzare un pozzo nel mio paese per portare l'acqua dove non c'è»

Miss Africa Italy 2017, le 20 finaliste
Ed infatti con il sostegno dei consolati d'Italia in Africa sarà realizzato un pozzo per l'acqua nel paese di origine della vincitrice. La seconda classificata diventerà invece ambasciatrice per i diritti dell'infanzia in Africa.

È arrivata a Cecina da piccolina. Motivi di salute. Qui è stata curata, qui ha trovato una famiglia che l’ha accolta, protetta, cresciuta e fatta sentire a casa.

Adelia viene dall'Africa. E sebbene in Italia da oltre vent'anni, non ha mai reciso il rapporto col continente, con le sue radici. E forse è per questo che a 26 anni ha deciso di mettersi in gioco. Per dare una mano concreta al suo Paese di origine, l’Angola.

È stato un post sui social (facebook) ad incuriosirla. Proponeva l’iscrizione al concorso Miss Africa Italy. Il tempo di leggere obiettivi e regolamento che si è subito iscritta. «Perché al di là di un concorso di bellezza nazionale è un evento che punta a favorire l’integrazione delle donne africane nella vita sociale, culturale e per la difesa dei propri diritti». Ed oggi la giovane geometra cecinese, laureanda in Geologia all'Università di Pisa (“Mi manca un esame e la tesi”, racconta) fa parte del lotto delle finaliste che a novembre si contenderanno la corona della rappresentante della bellezza africana in Italia.

Miss Africa Italy fa parte di un progetto chiamato Africa United che ha come obbiettivi quello di favorire il collegamento tra camere di commercio italiane e africane, creare un’agenzia per la promozione e formazione continuativa delle ragazze, promuovere stilisti, artisti, make-up artist, hairstylist emergenti nel loro campo sostenendo le loro creazioni e sensibilizzare i consolati africani e le autorità di Milano sulle tematiche legate all'immigrazione attraverso delle conferenze periodiche.

Adelia Chitula Moura
L’angolana cecinese Adelia Chitula Moura, tra l’altro ex giocatrice di pallavolo con i colori rossoblù e scout dell’Agesci, partecipa ogni sabato a incontri e backstage a Milano dove insieme alle altre 19 colleghe finaliste del concorso (ognuna delle finaliste rappresenta uno stato africano diverso) organizza l’appuntamento finale. Lavorando, peraltro, ad un progetto per la realizzazione di un pozzo per l’acqua in un villaggio angolano. Progetto che le vincitrici realizzeranno col sostegno dei consolati. «Vincere il titolo di Miss Africa Italy, dice Adelia, significa diventare ambasciatrice della bellezza e della diaspora africana in Italia»

Alla seconda classificata spetta invece il premio BSFBambini senza Frontiere – che implica diventare ambasciatrice per i diritti dell’infanzia dei bambini africani in difficoltà.

Cosa si aspetta dal concorso? «Per il momento sono finalista, ma il mio obiettivo è vincere per divulgare meglio cultura e tradizioni del mio Paese in Italia»

Interviste alle finaliste Miss Africa Italy 2017 (Prima Parte)


Interviste alle finaliste Miss Africa Italy 2017 (Seconda Parte)





Articolo a cura di
Maris Davis

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Kenya. Appello dei vescovi affinché le elezioni del 26 ottobre siano libere e democratiche

Si rischia il collasso economico e il conflitto aperto se le forze politiche non dialogano”. L’allarme dei Vescovi.

Maggioranza e opposizione ascoltino l’appello al dialogo lanciato dalla Commissione Elettorale Indipendente affinché le elezioni del 26 ottobre siano libere, corrette e credibili” affermano i Vescovi del Kenya in una dichiarazione inviata all’Agenzia Fides nella quale esprimono “la loro profonda preoccupazione per lo Stato della nostra nazione

Raiala Odinga
La IEBC (la Commissione elettorale indipendente) è però al centro delle polemiche perché accusata di essere parziale dal cartello dell’opposizione, NASA (National Super Alliance), il cui candidato, Raila Odinga, era arrivato secondo nelle elezioni presidenziali dell’8 agosto, poi annullate dalla Corte Suprema dopo che l’opposizione aveva presentato ricorso, citando brogli relativi al sistema elettronico di votazione.

Le nuove elezioni, programmate in un primo momento il 17 ottobre, sono state poi spostate al 26 ottobre a causa di problemi organizzativi della IEBC. Il 26 settembre la polizia ha disperso circa 300 manifestanti dell’opposizione di fronte alla sede della IEBC che chiedevano le dimissioni dei suoi dirigenti.

Uhuru Kenyatta
A sua volta il Presidente uscente Uhuru Kenyatta, che aveva vinto le elezioni poi annullate, accusa la Corte Suprema di aver commesso un “colpo di Stato” con la sua sentenza. Nelle motivazioni della sentenza, la Corte accusa la IEBC di aver proclamato i risultati del voto sulla base di dati non corretti e che il “sistema informatico è stato infiltrato e compromesso, di modo tale che le informazioni contenutevi sono state modificate

In questa clima di forte tensione politica-istituzionale, i Vescovi sottolineano “che se non si persegue la via del dialogo e del confronto reciproco e non si concordano insieme i passi necessari per la stabilità e la gestione effettiva, diventa reale il rischio di precipitare nel conflitto aperto e nel collasso economico, e questo deve essere evitato ad ogni costo

I Vescovi si appellano al Presidente Uhuru Kenyattaad emergere come simbolo dell'unità nazionale e a offrire la leadership necessaria in questo momento”. La dichiarazione invita maggioranza e opposizione a lavorare per il bene comune nella speranza che “questo grido proveniente dai nostri cuori sia ascoltato in buona fede, e che ci fermi un momento per capire che siamo tutti vincitori quando ci siede intorno al tavolo a parlare

Invitiamo tutti i keniani e le persone di buona volontà a evitare le manifestazioni violente, i discorsi incendiarie e le minacce che possono solo aumentare la tensione intorno alle elezioni. Continuiamo a pregare per il nostro Paese per avere elezioni pacifiche e credibili” conclude il messaggio.
(Agenzia Fides)

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martedì 26 settembre 2017

È il Congo l'epicentro degli abusi sessuali dei Caschi Blu in missione


Oltre 700 denunce per abusi sessuali contro i caschi blu dell'Onu sono state presentate nella Repubblica del Congo rispetto ai 2.000 casi complessivi a livello mondiale: è quanto emerge da un'inchiesta dell'agenzia di stampa americana AP (Associated Press) durata un anno.

L'indagine sottolinea che, nonostante l'Onu prometta riforme da oltre 10 anni per far fronte a questa piaga, ancora non riesce a tener fede a molti degli impegni presi per fermare gli abusi o aiutare le vittime. 

L'agenzia di stampa scrive che i casi "spariscono" oppure vengono consegnati alle autorità dei Paesi di origine dei caschi blu sotto accusa, che "spesso non fanno niente"

La Repubblica del Congo, dove la portata degli abusi è emersa per la prima volta, è "l'epicentro" di questa crisi, commenta l'Associated Press. Ed è in Congo che le riforme "sono chiaramente venute meno"
(SWI swissinfo.ch)

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Nigeria. A processo 1.600 miliziani di Boko Haram

La maggior parte sono detenuti in campi militari. Il Ministero della Giustizia ammette, troppo ritardi nell'azione penale dovuti ad indagini insufficienti.

L'esercito nigeriano mentre arresta alcuni miliziani Boko Haram

Il 9 ottobre si aprirà un grande processo a 1.600 membri del gruppo armato nigeriano Boko Haram. Lo ha annunciato nei giorni scorsi il Ministro della Giustizia, Abubakar Malami che ha consegnato i casi a diversi procuratori. Ha anche approvato un elenco di giudici. Tutti i sospetti saranno assistiti da un difensore. Dei 1.600 detenuti, 220 probabilmente verranno scarcerati a breve perché mancano le prove di un loro coinvolgimento diretto in azioni militari. Verranno comunque iscritti a programmi di de-radicalizzazione.

Gran parte di questi primi 1.600 imputati rischiano seriamente la pena di morte, visti i gravi capi di accusa a loro carico

Ai detenuti sarà garantita una difesa con avvocati scelti dal Consiglio di Assistenza legale. Secondo quanto hanno reso noto le forze di sicurezza, i miliziani di Boko Haram arrestati e mandati in carcere sono migliaia, ma sino ad oggi risultano pochissime incriminazioni e condanne. Secondo il Ministero della Giustizia, i ritardi nell'azione penale sono dovuti ad insufficienti indagini e problemi logistici.

Il personaggio di maggiore spicco è Khalid al-Barnawi, leader di un gruppo islamico Ansaru (secessionista rispetto a Boko Haram) che era nella lista nera degli Stati Uniti fino al suo arresto in Nigeria, nell'aprile dello scorso anno. È formalmente accusato del rapimento e dell'assassinio di 10 stranieri.
(Globalist)

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lunedì 25 settembre 2017

Le baby prostitute nigeriane di Calenzano (FI). Treccine, minigonne e bugie

Arrivano dalla Nigeria in provincia di Firenze, dichiarano 24-25 anni ma sono tutte minorenni. Automobilisti e camionisti contrattano la "prestazione" al massimo ribasso, talvolta perfino per soli 10 euro. Sono sfruttate e ogni giorno devono portare alla loro "mamam" gli incassi, ma i loro "clienti" fanno finta di non sapere nulla della loro schiavitù.


Basta guardarle negli occhi per capire che mentono. Dicono di avere 25, 24 anni, poi però guardano altrove, sorridono timidamente. Dicono di essere maggiorenni, riempiono i loro volti di fard, mascara, rossetto. Tingono le loro unghie con smalti fosforescenti, agghindano i loro capelli con treccine, indossano scollature provocanti, minigonne imbarazzanti.

Ma il loro sguardo non mente. Ripetono di avere 25 anni, fino allo sfinimento, ma ne hanno soltanto 16. A volte 15, perfino 14. Si vede dai loro occhi, dalle loro mani sottili. Si aggirano lungo queste strade rumorose, polverose, dove automobilisti e camionisti sfrecciano veloci per poi rallentare quando le vedono. E chiedono una prestazione al massimo ribasso. Venti euro? Troppo, quasi sempre ne bastano 15, talvolta perfino solo 10.

Ecco il discount del sesso a pagamento, il mercato delle ragazzine prostitute. Nigeriane strappate alla povertà africana e arrivate in Italia con l’inganno. Via Baldanzese, via Pratese, via di Pratignone, via Sandro Pertini. Crocevia di spedizionieri e camionisti, in uscita e in entrata al casello di Calenzano. C’è il deposito Dhl, quello della Tnt. L’hotel Mirò a due passi. Le baby prostitute stazionano qui, sono una cinquantina in tutta la zona. Consumano la prestazione in auto, oppure nascoste tra un camion e l’altro, in mezzo all'asfalto oscuro della notte.

Lungo i marciapiedi, cumuli di preservativi, fazzoletti, salviette. Residui sporchi di un mestiere che non vogliono fare. Però, ha raccontato chi tra loro ha avuto la forza e la fortuna di scappare, devono pagare debiti di almeno 30 mila euro contratti per arrivare in Italia, pena ritorsioni in patria sulle loro famiglie. Tanto vale sorridere, esorcizzare l’incubo. E così ti chiamano, ti incitano, si sbracciano per offrirti i loro corpi da bambine. Qualcuna beve alcol. Happy, Gioia, Stella, Angela. Si sono scelte i nomi, come fossero buoni auspici per un futuro di libertà.

Gioia è seduta su una sedia sgangherata, ai bordi della strada. Angela è appoggiata su un muretto. Sono quasi nude, nascondono i vestiti nei contatori, tra siepi e ortica. Jessica è la più piccola, resta seduta sul marciapiede. Una maglietta e una minigonna. Dice di non avere freddo, ma trema. «Vengo dal Ghana, abitavo ad Accra, poi la Libia, la Sicilia». Ma si sa che mentono, mentono sempre sia sull'età che sulla loro origine nigeriana.

Jessica, apparentemente la più giovane, sussurra che "qualcuno" l’ha intercettata nel centro d’accoglienza, e poi il viaggio fino in Toscana. «Adesso abito a Pistoia». E cosa ci fai qui? «Mi piace questo posto». Ma questo posto fa schifo, e lei non sa più che dire. Riversa lo sguardo a terra, si stringe nelle spalle. E dice semplicemente: «Adesso devo andare, mi riaccompagnano a casa»

Conoscono poche parole in italiano, una di queste è «passaggio». Il passaggio per ritornare a Pistoia, il passaggio di un cliente che, in cambio di una prestazione, si offre di riaccompagnarle a casa. Sono quasi le due di notte quando Jessica sale in macchina con altre due ragazze. È una Punto, il cliente contratta, poi le fa salire, innesta la prima e va. Le riporterà a casa, forse credendo di essere un benefattore.

«Succede così tutte le notti» dice Alexia, l’aria sbarazzina e il viso da bambina. Ha una borsetta bianca con una farfalla sopra, dentro ci sono i preservativi e il telefono. Meno male che hanno il cellulare, squilla di continuo. Si chiamano tra di loro, ingannano il tempo, decidono quando rientrare a casa. Chissà se progettano di scappare, chissà quali segreti si confessano. Gioia e Stella portano al collo un rosario di plastica. Sono cattoliche e dicono: «Dio ci benedica». E intanto gettano occhiate provocanti dentro le macchine.

Sostano davanti al bar Via Vai, di giorno self service per i lavoratori, di notte capolinea delle lucciole minorenni. La città capovolta della notte. Vanno avanti fino all'alba. Se non trovano il passaggio, vanno a piedi alla stazione di Sesto Fiorentino e prendono il primo treno della mattina.

Abitano a Pistoia, Montecatini, Lucca. E vengono smistate qui, in queste strade di perversione, dove i clienti arrivano copiosi, senza remore, collaudati alla contrattazione. E dove le ragazzine continuano a mentire: «Non abbiamo padroni, stiamo qui per mandare soldi a casa». Una balla colossale, hanno paura di ritorsioni e per questo dicono bugie. Soprattutto continuano a mentire sulla loro età: «Ho 23 anni» dice sicura Alexia. E in che anno sei nata? Passano i secondi, lei sgrana gli occhi e mormora: «Nel 1999». I conti non tornano. E allora sorridono, forse per non piangere, riabbassano lo sguardo. Ricominciano a passeggiare sul marciapiede, quasi assuefatte a quel via vai di macchine.

La più piccola è forse Cristina, in attesa silenziosa a due passi dal Mercatone dell’usato. Ha la pancia scoperta, e sulla pancia ha tre cicatrici. «Non è niente, non preoccuparti» dice sussurrando. Quando passano i volontari dell’associazione Papa Giovanni XXIII, armati di tè, caffè e caramelle, le propongono di lasciare la strada. «Vieni con noi, ti portiamo in una casa protetta». Riposta timida: «Devo pensarci, non adesso però». Nel frattempo, i volontari lasciano i loro numeri di cellulari, in caso di bisogno. E le ragazzine continuano a chiedere sesso, senza volerlo fare davvero.
(Da un'inchiesta del Corriere Fiorentino)



Si appartano con i clienti tra cemento e capannoni, consumano, poi rispuntano. Un’altra passata di lucida labbra, un ritocco agli occhi con il mascara, e la recita ricomincia



Articolo a cura di
Maris Davis

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Parma. Inaugurata casa di accoglienza per donne in difficoltà gestita da donne nigeriane

È stata inaugurata a Parma “Praise House”, la prima casa di accoglienza per donne in difficoltà, organizzata e gestita da una associazione di donne nigeriane, la Festival of Praise and Care, e realizzata in collaborazione con il Comune di Parma. Potrà ospitare fino a sei giovani donne in situazioni di estrema difficoltà.

Ne hanno parlato, nel corso della conferenza stampa svoltasi nell’ex municipio del Comune di Corcagnano, e prima del taglio ufficiale del nastro della casa, il sindaco Federico Pizzarotti; Laura Rossi, assessore al welfare; Mabel Adenitire Olufunmilayo, presidente dell’Associazione “Festvial of Prise and Care”, Victoria Oluboyo, segretaria dell’Associazione “Festvial of Prise and Care”, con loro Elisabetta Mora, responsabile della Struttura Operativa Fragilità del Comune ed i rappresentanti di Zoe Pentecostal Mission.

Grazie alla comunità nigeriana ed in particolare all'associazione Festival of Praise and Care – commenta il sindaco Federico Pizzarotti – inauguriamo una struttura che rappresenta una sfida per il futuro in quanto esempio di integrazione e dell’impegno della comunità nigeriana per dare seguito a qualcosa di davvero utile ed innovativo per gli altri. Sono molto contento di essere qui – ha concluso il sindaco – ed il mio auspicio è che questo sia il primo progetto di una lunga serie, un modello per il nostro territorio

Viviamo oggi un momento unico – aggiunge l’assessore al Welfare Laura Rossi – in quanto di solito sono le istituzioni che inaugurano strutture come questa. Invece qui i ruoli sono ribaltati: siamo qui come Comune per inaugurare una struttura voluta dall'Associazione “Festival of Praise and Care” presente da anni sul nostro territorio. Sarà una struttura gestita a curata dalla comunità nigeriana il che rappresenta un grande valore aggiunto in quanto proprio grazie all'aiuto di una comunità straniera si possono superare difficoltà legate al tema dell’integrazione

Negli ultimi anni, alla luce del crescente numero di giovani donne nigeriane giunte in Italia attraverso flussi migratori non programmati, si è rafforzata la collaborazione tra Comune e l’associazione nigeriana ed è nata l’idea di restituire al territorio l’aiuto ricevuto in passato con l’accoglienza di giovani donne in situazioni di difficoltà, un’azione innovativa sia a livello locale che nazionale che rappresenta un esempio concreto di come le comunità migranti possano, in stretta sinergia con le istituzioni, portare avanti progetti di aiuto verso i connazionali.
(ParmaQuotidiano.info)

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sabato 23 settembre 2017

Mafia nigeriana. Sgominata banda di sfruttatori con basi in Toscana, Umbria e Veneto

Operazione delle forze dell'ordine a Prato, Perugia e Treviso hanno permesso l'arresto di otto componenti di una banda di "trafficanti di esseri umani" nigeriani che organizzavano i viaggi della speranza di decine di ragazze dalla Nigeria all'Italia transitando per la Libia per poi sfruttarle sessualmente.


L'indagine partita da Perugia. Una vera e propria tratta di esseri umani finalizzata alla prostituzione. È quanto scoperto dalla polizia di Perugia che ha arrestato otto nigeriani tra Perugia, Prato e Treviso. Tre sono finiti ai domiciliari e gli altri in carcere. Secondo quanto ricostruito le ragazze, tutte nigeriane, venivano avviate alla prostituzione tramite minacce, aggressioni e addirittura riti woodoo. Nell'ambito della stessa inchiesta un arresto anche a Castelvenere in provincia di Benevento.

L'indagine era partita nel 2016 quando una ragazza aveva detto alla polizia di essere stata costretta a prostituirsi per consegnare 20mila euro ad alcune persone. L'indagine, dal nome "Tratta", ha ricostruito l'attività. Secondo quanto emerso le ragazze finivano nei ghetti della Libia, poi da qui in Italia su barconi spesso fatiscenti.

Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i “boss” e le “madame” nigeriani arrestati all'alba di mercoledì dagli agenti della mobile dopo una lunga e articolata indagine coordinata dalla Dda della procura di Perugia, che è riuscita a mettere le mani su una organizzazione criminale con radici piantate nel capoluogo Umbro.

Le indagini hanno permesso di svelare i retroscena della nuova schiavitù moderna, gestita da una “holding” del crimine organizzato transazionale che, avvalendosi delle condizioni di assoggettamento delle ragazze “reclutate” attraverso la pratica del woodoo, le costringevano a vendere il proprio corpo a Perugia.

Dalla Nigeria alla Libia fino all'Italia. Gli indagati, in concorso con altri soggetti operanti in Libia e in Nigeria, avrebbero introdotto illegalmente nel territorio italiano decine di giovani ragazze, anche minorenni, approfittando della loro condizione di vulnerabilità, gestendo il loro viaggio dalla Nigeria alla Libia, la loro permanenza nei ghetti sulle coste libiche (dove i migranti venivano sottoposti a violenze e privazioni), la traversata via mare fino all'Italia su fatiscenti imbarcazioni e il successivo trasferimento dai centri di accoglienza italiani al territorio di destinazione finale, Perugia.

Secondo le indagini ai vertici dell’organizzazione due fratelli nigeriani che mantenendo costanti contatti con i sodali stanziati in Nigeria che si occupano del reclutamento, nonché con i referenti stanziati in Libia che gestiscono i rapporti con i “boss” dei luoghi di detenzione in Libia e si occupano anche degli imbarchi dei migranti, gestiscono i rapporti con le famiglie di origine delle donne trafficate, le modalità di pagamento del debito di ingaggio, il collocamento dei territori di destinazione finale e lo sfruttamento della prostituzione.

Tutto è partito dalla denuncia di una giovane minorenne nigeriana che, dopo essere stata portata in Questura a Perugia, aveva svelato come uno degli indagati le avesse proposto di venire in Italia per lavorare. La minorenne aveva così raggiunto le coste libiche alla volta della Sicilia a bordo di un gommone, poi da lì fino a Perugia dove era stata ospitata da una donna nigeriana in un appartamento a Fontivegge. Ma in quell'appartamento, dove vivevano anche altre ragazze sfruttate per pagare l’oneroso “debito di ingaggio”, anche lei era stata subito costretta a prostituirsi con minacce e violenze fisiche. E se la ragazza provava a ribellarsi, la “madame” l'avrebbe minacciata: “quando torni a casa ti picchierò con la frusta così imparerai a comportarti bene

Ma il business con cui i nigeriani trafficavano i migranti cambia in base al sesso della persona, al tipo di viaggio da affrontare. Le indagini hanno così messo in evidenza che il pagamento del debito contratto dalle giovani per raggiungere clandestinamente l’Europa viene ripagato con la prostituzione a cui vengono avviate dagli stessi indagati. E se qualche giovane schiava provava a ribellarsi erano guai: “ .. Anche se lei muore noi non abbiamo colpa quindi se devi usare qualunque metodo per calmarla, per noi va bene

Le perquisizioni hanno consentito di sequestrare agende con nomi e cifre, pacchi di preservativi e materiale informatico che sarà analizzato

I capi di imputazione a carico degli arrestati contemplano l’associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani ed alla riduzione in schiavitù, aggravata dalla transnazionalità del reato; il favoreggiamento e lo sfruttamento della immigrazione clandestina; lo sfruttamento della prostituzione; la rapina e l’estorsione in danno delle connazionali riottose a prostituirsi per il pagamento del “debito d’ ingaggio”; il procurato aborto in danno di una giovane prostituta.
(Il Messaggero)

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venerdì 22 settembre 2017

La Nigeria e lo spettro del Biafra

Con l’avviso apparso lo scorso 12 settembre sul sito web di Viaggiare Sicuri il Ministero degli Esteri italiano ha informato i connazionali che intendono recarsi in Nigeria del rischio di incappare in manifestazioni e proteste previste nella Nigeria sudorientale ed in particolare negli stati di Abia, Akwa Ibom, Bayelsa, Delta, Edo, Imo Ondo e Rivers.

Manifestazione del popolo Igbo a favore del Biafra indipendente

Le manifestazioni attese sono organizzate dalla “Coalition of Niger Delta Agitators” e non si tratta di una novità: l’Esercito della Nigeria, dal canto suo ha annunciato il lancio dell’operazione Python Dance II nel sud est del paese che si sviluppa dal 15 settembre al 14 ottobre per controllare i criminali violenti, gli agitatori e altre forme di criminalità.

L'operazione Python Dance (la prima) fu lanciata tra il 27 novembre e il 27 dicembre 2016 per contrastare sequestri, banditismo armato e altri crimini, ottenendo grandi risultati. Si lascia intendere, dunque, che la reiterazione delle operazioni militari sia dovuta da un lato al successo ottenuto con le precedenti e dall'altro alla necessità di fare fronte al medesimo tipo di criminalità. Ma così non è.

La testata “News24 Africa” ha dato notizia del coprifuoco di tre giorni, dall’alba al tramonto, imposto nel sudest della Nigeria indetto dal Governatore dello stato di Abia a causa delle crescenti tensioni tra i sostenitori di pro-Biafra e la polizia. Nei giorni scorsi si sono avuti scontri con le forze armate dei sostenitori del popolo indigeno di Biafra, Indigenous People of Biafra (IPOB), che si batte per l'indipendenza per il gruppo etnico Igbo: motivo degli scontri, l’uccisione di cinque membri del movimento, notizia però considerata come "non vera" dall'esercito.

Il leader dell’IPOB, Nnamdi Kanu, con doppia cittadinanza, nigeriana ed inglese, accusato di un crimine insignificante, prima in custodia dell’autorità, in attesa della ripresa del suo processo nel prossimo mese di ottobre, e poi liberato nello scorso mese di aprile, non si sa dove sia attualmente ed è nuovamente ricercato.

Anche un altro gruppo separatista, il Movimento per la Realizzazione dello Stato Sovrano di Biafra "Movement for Actualisation of the Sovereign State of Biafra" (MASSOB), ha chiesto il ritiro dei militari. Il suo leader, Madu Uchenna, sostiene che MASSOB e IPOB sono agitatori pacifici che rivendicano i propri diritti all'autodeterminazione. Uchenna ha accusato il governo di "trasformare il sud-est in una zona di guerra" e ha detto che dovrebbero permettere ai tribunali di determinare il destino di Kanu.

I gruppi di diritti umani hanno accusato i militari degli abusi nel tentativo di mantenere l'ordine, sostenendo che almeno 150 sostenitori pro-Biafra sono stati uccisi negli ultimi due anni

La Nigeria da tempo sta soffrendo tensioni etniche, che si sono accentuate dall'elezione di Muhammadu Buhari alla presidenza dello Stato Federale. Buhari è inoltre gravemente ammalato e negli ultimi mesi si è assentato dal suo incarico a più riprese, e per un totale di 104 giorni è rimasto lontano dalla Nigeria.

Buhari ha ripreso pienamente le sue funzioni soltanto il 19 agosto scorso, ma a seguito dell’instabilità provocata dai disordini di queste ultime settimane, ha voluto manifestare la sua presenza convocando la stampa e rilasciando una ferma dichiarazione, secondo cui l’unità del Paese “non è negoziabile

Va ricordato che durante la guerra civile del Biafra (1967-1970) l’attuale presidente Buhari prestava servizio nell'esercito nazionalista col grado di maggior generale.

Giova anche ricordare che i problemi dovuti all'instabilità del Paese non sono stati limitati all'indipendentismo delle popolazioni del Biafra, nella stessa area del sud-est nigeriano, legata all'estrazione del petrolio ed al suo sfruttamento (Niger Delta) si sono sviluppati lunghi e sanguinosi conflitti legati al MEND, Movimento per l’Emancipazione del Niger Delta, cessati intorno al 2012. Ora al posto del MEND si sono formati decine di gruppi armati pro-Biafra che agiscono in modo indipendente l'uno dall'altro.
(italiani.net)

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Gentiloni all'ONU. Il futuro dell'Europa è in Africa

L'intervento all'Assemblea generale del Primo Ministro italiano.

Sulla Libia. La stabilizzazione è una priorità, dialogo inclusivo rifiutando ogni ipotesi di soluzione militare. No alla costruzione di barriere, "non possiamo cavarcela da soli". E difende l'accordo con l'Iran sul nucleare. Al Palazzo di Vetro Gentiloni sottolinea la necessità di un approccio multilaterale alle crisi.

Intervento di Gentiloni alle Nazioni Unite
È un discorso all'insegna del multilateralismo quello del presidente del Consiglio al Palazzo di Vetro a New York. "Il futuro dell'Europa è in Africa" dice Paolo Gentiloni nel suo intervento all'assemblea generale dell'Onu. "L'Italia è già promotrice di un vero partenariato con i paesi africani. È investendo in Africa che si affrontano anche le cause profonde delle migrazioni, in primis le disuguaglianze economiche e demografiche. L'approccio integrato e strutturale in cui crede l'Italia sta già dando i primi risultati positivi".

Sull'immigrazione serve una risposta globale
"L'Italia è e vuole restare un Paese di accoglienza, pur nella consapevolezza del legame inscindibile fra il principio di solidarietà e quello della sicurezza", dice il premier al Palazzo di Vetro. "Ma per consolidare la nostra azione abbiamo la necessità di una risposta globale al fenomeno migratorio, che parta dalla Ue e tocchi l'intera comunità internazionale".

Priorità alla stabilizzazione della Libia
"La Libia è il tassello fondamentale per restituire al Mediterraneo Centrale il proprio ruolo storico di motore di civiltà, pace e sicurezza. La sua stabilizzazione è un obiettivo prioritario, che dobbiamo raggiungere attraverso un dialogo inclusivo, nel quadro dell'Accordo Politico, rifiutando qualunque velleitaria ipotesi di soluzione militare", spiega Gentiloni.

Non costruire barriere, non possiamo cavarcela da soli
"L'Italia sostiene l'impegno del Segretario Generale nella prevenzione dei conflitti. Prevenzione significa tutto, tranne costruire barriere. Significa soprattutto realizzare uno sviluppo inclusivo e sostenibile. Non possiamo cavarcela da soli di fronte alle minacce derivanti da regimi autocratici, crisi ambientali, terrorismo. La risposta può essere soltanto comune", avverte il premier.

Insieme contro il terrorismo
"Per sconfiggere il terrorismo occorre tempo, coraggio e unità di intenti. La sempre più evidente perdita di terreno di Daesh in Iraq e Siria ha dimostrato che possiamo farcela insieme. La vittoria sul terreno non è però sufficiente", dice il presidente del Consiglio. "Il fanatismo e l'ideologia di Daesh continuano a mietere vittime e terrore nelle nostre città".

Gentiloni difende l'accordo nucleare con l'Iran
Poi il premier difende l'accordo sul nucleare iraniano. "Crediamo che la comunità internazionale debba assicurare che il Joint Comprehensive Plan of Action rimanga una storia di successo nell'ambito degli sforzi globali di contrasto alla proliferazione di armi di distruzione di massa. Allo stesso tempo, siamo convinti dell'importanza di una piena e integrale applicazione della Risoluzione Onu 2231".

Il cambiamento climatico è un'emergenza
Il cambiamento climatico è "un'emergenza le cui conseguenze sociali sono già tragicamente evidenti. Basti pensare agli oltre duecento milioni di sfollati che dal 2008 al 2015 sono stati costretti a lasciare le loro terre per i devastanti effetti dei fenomeni climatici", dice Paolo Gentiloni, senza fare riferimento esplicito alle polemiche sulla posizione di Donald Trump che ha ritirato gli Usa dall'accordo di Parigi sul clima Cop 21 del dicembre 2015.

Caso Regeni
Per Italia obbligo morale cercare la verità Per l'Italia è un obbligo morale quello di continuare a cercare la verità sul caso Regeni. Lo sottolineano fonti che hanno partecipato all'incontro di New York tra il premier Paolo Gentiloni e il presidente egiziano al-Sisi. E in questa direzione deve essere letto il ritorno dei due ambasciatori, anche per moltiplicare gli sforzi di collaborazione giudiziaria sul caso. È un impegno preciso dell'Italia, inoltre quello di continuare, anche attraverso l'azione dell'ambasciata italiana in Egitto, a mantenere viva la memoria della figura di Giulio Regeni.
(Rai News)



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lunedì 18 settembre 2017

Nigeria del nord, tre kamikaze si fanno esplodere a Mashimari. Almeno 15 le vittime

Almeno 15 i morti, in maggioranza donne, e 43 i feriti. Poco prima i miliziani Boko Haram avevano preso d'assalto il villaggio sparando all'impazzata e costringendo la gente ad uscire dalle case.


Le autorità militari nigeriane hanno reso noto che almeno 15 persone sono state uccise e 43 sono rimaste ferite in un triplice attacco suicida nel villaggio di Mashimari, nello stato settentrionale di Borno.

Bello Dambatta, responsabile delle operazioni di soccorso, ha riferito che la maggior parte delle vittime sono donne e che i feriti sono stati trasportati negli ospedali di Maiduguri e Konduga.

Prima che i tre kamikaze si facessero saltare in aria, uomini armati avevano preso d'assalto al villaggio sparando all'impazzata, spingendo la gente a uscire dalle case e a fuggire nelle strade. Molte persone ricoverate sono in condizioni molto gravi.

Il villaggio di Mashimari non è lontano da un grande campo di sfollati, rifugio di migliaia di persone costrette a fuggire dalle violenze degli integralisti islamici Boko Haram. Da quando nel 2009 hanno cominciato la loro 'guerra santa' fatta di stupri, violenze e distruzione nel nord-est della Nigeria, i Boko Haram hanno provocato più di 25.000 vittime e almeno 2,7 milioni di profughi.
(The Washington Post)

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mercoledì 13 settembre 2017

Lecce. Aveva 16 anni Noemi ed era scomparsa da 10 giorni. Ha confessato il suo fidanzatino

Lecce, ragazza scomparsa: trovato il corpo della 16enne. Il fidanzato 17enne confessa l'omicidio. È il 48° femminicidio dall'inizio dell'anno.

Ha confessato il fidanzato 17enne della giovane scomparsa in provincia di Lecce. Indagato anche il padre per concorso in omicidio volontario. Noemi Durini era scomparsa da casa il 3 settembre. Le contraddizioni nei racconti del ragazzo.

Noemi, 16 anni

Ha confessato il fidanzato di Noemi Durini, la 16enne scomparsa domenica 3 settembre in provincia di Lecce: è stato lui ad ucciderla. Gli inquirenti hanno trovato il corpo della giovane. Al padre 41enne del fidanzatino 17enne di Noemi Durini è stato notificato un avviso di garanzia per sequestro di persona e occultamento di cadavere.



Il fidanzato confessa. Indagato anche il padre
La svolta nelle indagini arriva mercoledì 13 settembre, 10 giorni dopo la denuncia di scomparsa della ragazza: il fidanzato 17enne di Noemi è indagato per omicidio volontario. Le telecamere di sicurezza di un'abitazione di Specchia (Lecce) certificano che il ragazzo e Noemi erano insieme all'alba del 3 settembre, a bordo di una Fiat 500 di proprietà della famiglia del ragazzo. Messo sotto pressione dagli inquirenti, il giovane confessa l'omicidio della sedicenne: è lui stesso ad indicare agli inquirenti il luogo in cui si trovava il cadavere della sua fidanzatina, a Castignano di Leuca, vicino a Capo di Leuca. Il corpo della ragazza era nascosto in una campagna adiacente alla strada provinciale per Santa Maria di Leuca, parzialmente sepolto da alcuni massi: ad un primo esame sarebbero stati riscontrati segni di ferite, forse dovuti alle pietre.

I lati oscuri della vicenda
Un malore avrebbe colpito i genitori di Noemi, già presenti in Procura, dove era prevista una conferenza stampa. La famiglia ha continuato a lanciare appelli nella speranza di trovarla viva. L'iscrizione del nome del ragazzo nel registro degli inquirenti era stata disposta dalla Procura per i minorenni di Lecce per permettere l'esecuzione di accertamenti utili alle indagini: tanti i lati oscuri della vicenda che hanno rallentato il lavoro degli inquirenti. Il fidanzato ha raccontato di aver lasciato Noemi nei pressi del campo sportivo, ma le sue dichiarazioni presentavano delle contraddizioni che hanno insospettito.



Il fidanzato ripreso mentre rompeva i vetri di un'auto
Sotto indagine da parte degli inquirenti anche un filmato che ritraeva il ragazzo 17enne mentre rompeva a colpi di sedia i vetri di un'autovettura parcheggiata nei pressi di un bar ad Alessano, città in cui il giovane vive. L'auto, una vecchia Nissan Micra, sarebbe di una persona con la quale il giovane avrebbe avuto un acceso litigio proprio sulla sorte della fidanzatina. Poco prima - a quanto si apprende - il 17enne e suo padre avevano avuto un diverbio con il papà di Noemi che si era recato nella vicina Alessano per chiedere notizie della sedicenne scomparsa. Il filmato è stato girato nei giorni scorsi da un'auto in transito.

I sospetti dei familiari di Noemi
I familiari di Noemi avevano un rapporto conflittuale con il 17enne e non volevano che la ragazza lo frequentasse. Il fidanzato «era possessivo e geloso, non voleva che mia cugina vedesse altre persone, la picchiava», racconta Davide, cugino della vittima. Qualche tempo fa la mamma di Noemi, Imma Rizzo, aveva segnalato alla magistratura minorile il ragazzo a causa del suo comportamento violento. La donna chiedeva ai magistrati di intervenire per far cessare il comportamento violento del ragazzo e allontanarlo dalla figlia, che frequentava con qualche difficoltà l’istituto professionale «Don Tonino Bello» di Alessano. Ne erano nati due procedimenti: uno penale per violenza privata; l’altro civile, per verificare il contesto familiare in cui viveva il giovane. Ma nessuna denuncia aveva portato a provvedimenti cautelari. Per questo motivo erano sorti accesi contrasti tra le due famiglie.

Un ragazzo violento
A 17 anni era già in cura al Sert per uso di droghe leggere, aveva subito tre trattamenti sanitari obbligatori in un anno e aveva qualche guaio con la giustizia. Pur non avendo la patente, guidava regolarmente la Fiat 500 della mamma, fatto di cui si vantava con gli amici. Non riusciva a controllarsi, era irascibile con tutti, anche con la sua fidanzata, una studentessa ribelle e innamoratissima di lui, tanto da assecondarlo ogni volta, anche se il ragazzo la picchiava perché geloso e possessivo. È questo il ritratto che gli investigatori fanno del fidanzato di Noemi.

Forse a causa delle violenze subite la ragazzina, il 23 agosto, aveva condiviso di Facebook il post di "Amor De Lejos, Amor De Pendejos" in cui si vede il volto emaciato di una ragazza alla quale la mano di un giovane imbavaglia la bocca. Sul polso del ragazzo c’è un tatuaggio con la scritta «Love?». «Non è amore se ti fa male. Non è amore - è scritto - se ti controlla. Non è amore se ti fa paura di essere ciò che sei. Non è amore, se ti picchia. Non è amore se ti umilia (...). Il nome è abuso. E tu meriti l’amore. Molto amore. C’è vita fuori da una relazione abusiva. Fidati!». 

Ma Noemi non si è fidata, ha voluto rischiare. All’alba del 3 settembre è uscita da casa per incontrare il fidanzato, forse dopo una telefonata, ed è stata uccisa. E pensare che un mese fa, il 12 agosto, i due avevano festeggiato il loro primo anno di fidanzamento. Noemi aveva scritto sul social: «E non stupitevi se siamo ancora qua, abbiamo detto per sempre e per sempre sarà!».
(Corriere della Sera)

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mercoledì 6 settembre 2017

Nigeria. Boko Haram dilaga nella regione del lago Ciad

La denuncia di Amnesty, 'milioni di profughi necessitano di protezione e assistenza umanitaria'


Almeno 11 persone sono morte e due sono rimaste ferite giovedì scorso in un attacco del gruppo terrorista Boko Haram a un campo profughi di Banki, nel nordest della Nigeria.

Nel campo vivono oltre 45mila persone sfollate a causa dei conflitti nella zona. I terroristi hanno colpito durante la notte, uccidendo le vittime armati di coltelli. La zona di Banki, vicino alla frontiera con il Camerun, è già stata colpita da numerosi attentati di Boko Haram.

Da aprile 2017 almeno 381 civili sono rimasti uccisi in attentati suicidi

Almeno 381 civili sono rimasti uccisi nella nuova campagna di attentati suicidi lanciata da Boko Haram in Camerun e Nigeria dall'aprile 2017, il doppio rispetto ai cinque mesi precedenti. Lo denuncia Amnesty International aggiungendo che milioni di persone hanno bisogno di urgente assistenza umanitaria e di protezione, poiché gli attentati e la crescente insicurezza ostacolano la fornitura degli aiuti.

Il deciso aumento delle vittime civili nella regione camerunense dell'estremo nord e negli Stati nigeriani di Borno e Adamawa è dovuto al maggiore ricorso agli attentati suicidi.

"Ancora una volta Boko Haram sta compiendo crimini di guerra su vasta scala con una terribile strategia: costringe giovani donne a farsi esplodere con l'obiettivo di uccidere il maggior numero di persone - ha detto Alioune Tine, direttore di Amnesty per l'Africa occidentale e centrale - Quest'ondata di agghiacciante violenza mette in luce l'urgente necessità di protezione di milioni di civili nella regione del Lago Ciad"
(Ansa)

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Nigeria, rapito e ucciso un sacerdote

Padre Cyriacus Onunkwo, il sacerdote assassinato

Un sacerdote nigeriano, padre Cyriacus Onunkwo, è stato rapito e ucciso nello Stato di Imo, nel sud della Nigeria. Ne dà notizia l’agenzia Fides.

Secondo la polizia, nel tardo pomeriggio del 1° settembre l’auto di p. Onunkwo era stata bloccata nei pressi del Banana Junction, ad Amaifeke, da alcuni uomini armati che lo hanno rapito. Il sacerdote, che svolgeva il suo servizio a Orlu, si stava recando nel suo villaggio natale, Osina, per partecipare al funerale del padre, morto il 28 agosto.

Il corpo del sacerdote è stato rinvenuto il 2 settembre nei pressi del villaggio di Omuma. La polizia afferma che non presenta ferite di armi da fuoco o da taglio e si presume che p. Onunkwo sia stato strangolato. “Stiamo lavorando su tutti gli indizi raccolti. Per ora, è un chiaro caso di rapimento e omicidio. Se fosse stato un semplice rapimento, i sequestratori avrebbero chiamato i familiari della vittima e avrebbero chiesto un riscatto” afferma la polizia.

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Nigeria, a Maiduguri aumentati gli sforzi per contenere l'epidemia di colera

Medici Senza Frontiere sta aumentando gli sforzi per prevenire ulteriori morti e la diffusione del colera a Maiduguri, in coordinamento con il Ministero della Salute e altre organizzazioni che stanno rispondendo all'epidemia in città.


A Dala, è stata aperta un’Unità per il Trattamento del Colera da 40 posti letto, che finora ha ricoverato 70 pazienti. La maggior parte dei pazienti malati provengono da Muna Garage, un campo che ospita le persone scappate da altre zone dello Stato a causa del conflitto in corso tra le forze armate nigeriane e Boko Haram. In seguito a forti piogge, il campo è in parte allagato, peggiorando ulteriormente le già povere condizioni sanitarie del luogo e costituendo un fattore aggravante durante un’epidemia di colera.

MSF sta rispondendo rapidamente alla diffusione del colera a Maiduguri. All'inizio di quest’anno era già attiva un’Unità per il Trattamento del Colera per anticipare una possibile epidemia. Dalla fine di agosto, si ata vedendo un forte aumento nel numero dei pazienti nel Centro e nel Punto di reidratazione nel campo di Muna”, spiega Anne-Cécile Niard, coordinatrice dei progetti di MSF. “Siamo preoccupati che il numero di letti che stiamo pianificando non sia sufficiente

Ci si adopera affinché vengano prese tutte le precauzioni per evitare il diffondersi dell’epidemia, senza che si diffonda il panico tra la popolazione


Con una diagnosi e un trattamento tempestivi, le persone hanno davvero buone possibilità di sopravvivenza: sono già 37 i pazienti dimessi dal nostro centro per il trattamento a Dala”, dichiara Anna Cillers, coordinatore medico di MSF. “Se le persone sospettano di avere il colera, devono bere una soluzione reidratante e farsi curare il prima possibile. Tuttavia, per contenere la diffusione del colera a Maiduguri, non bisogna sottovalutare l’importanza di una risposta coordinata da parte delle autorità sanitarie statali e degli altri attori coinvolti

Insieme al Ministero della Salute e altre organizzazioni, MSF sta assicurando la pulizia delle case colpite, con una soluzione al cloro, e la distribuzione di sapone e pastiglie per purificare l’acqua nel campo di Muna.
(Medici Senza Frontiere)

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