martedì 27 dicembre 2016

Nigeria. Cade l'ultima roccaforte jihadista Boko Haram

I miliziani di Boko Haram sono stati cacciati dall'ultimo accampamento della loro roccaforte nella foresta di Sambisa dall'esercito nigeriano. Lo ha annunciato il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, in una nota citata dalla Bbc. "I terroristi sono in fuga e non hanno più un posto dove andare"

Le forze nigeriane sono state impegnate nelle ultime settimane in una massiccia offensiva contro il gruppo jihadista nella foresta nello Stato nordorientale di Borno. L'ultimo bastione sotto il controllo del gruppo estremista è caduto venerdì 23 dicembre alle 13.35 (ora locale).

Nelle ultime settimane, l'esercito regolare nigeriano era stato impegnato in una massiccia offensiva contro un'ex riserva coloniale poi adibita a campo di addestramento per i combattenti di Boko Haram, nello stato del Borno (nord-est Nigeria). Si ritiene che le studentesse rapite nel 2014 a Chibok siano tenute prigioniere nella foresta di Sambisa. Molte di loro che sono riuscite a fuggire dopo il sequestro hanno raccontato di essere state tenute prigioniere proprio in quel luogo.

I militari hanno riconquistato delle aree significative del territorio in precedenza controllate da Boko Haram, in un'offensiva lanciata all'inizio del mese di febbraio.

Il presidente nigeriano si è congratulato con le forze armate per l'operazione conclusa con successo e attesa per lungo tempo. "Sfrutto questa occasione per elogiare la determinazione, il coraggio e la resistenza delle truppe che hanno partecipato all'operazione denominata Lafiya Dole, necessaria per schiacciare le frange rimanenti di Boko Haram"

Anche recentemente i combattenti di Boko Haram hanno compiuti attentati suicidi nel nordest della Nigeria anche, nel vicino Camerun e in Niger. Si stima che negli ultimi sette anni, il gruppo estremista abbia ucciso più di 25mila persone e abbia costretto circa 2,7 milioni di residenti a lasciare le proprie case, distrutto almeno mille tra chiese e scuole, bruciato e razziato centinaia di villaggi, rapito (solo negli ultimi due anni) tremila ragazze, compiuto stupri di massa e massacri indiscriminati.

Il leader del gruppo estremista, Abubakar Shekau, che ha giurato fedeltà all'Isis, si è fatto promotore di una versione radicale dell'islam, la quale vieta ai musulmani di prendere parte a qualsiasi attività politica e sociale con l'Occidente, e risulta sia stato ucciso dell'esercito nigeriano lo scorso agosto.
(Maris)

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giovedì 22 dicembre 2016

Storie pre-natalizie di "ragazze nigeriane" ospiti dei centri di accoglienza italiani

Cara di Borgo Mezzanone, Foggia
Foggia .. Identificata la ragazza bruciata viva nei pressi del Cara di Borgo Mezzanone. Si chiamava Victory Uwangue ed era di origini nigeriane la giovane donna trovata morta carbonizzata lo scorso 10 dicembre in un vigneto a pochi chilometri da Foggia.

Victory, nigeriana di 23 anni, era stata foto-segnalata il 6 luglio di quest’anno, quando sbarcò a Reggio Calabria prima di giungere nel Foggiano. L’identificazione è avvenuta mediante il sistema automatico per il riconoscimento delle impronte digitali archiviate presso la banca dati Afis.

La ragazza viveva nel ghetto di fortuna (la cosidetta "pista") che si trova a ridosso del Cara di Borgo Mezzanone. A trovare il corpo, completamente denudato, è stato un ospite del centro di accoglienza mentre si stava recando a lavoro.

Il cadavere presentava ustioni su varie parti del corpo compresi il viso e la testa. Dall'autopsia sono emersi segni di violenza. La ragazza è stata soltanto stordita prima di essere bruciata viva.

A scatenare il brutale omicidio potrebbe essere stato un tentativo di violenza sessuale (pantaloni e scarpe della donna sono stati ritrovati lungo la strada) oppure il tentativo di ribellione della ragazza a chi voleva introdurla nel mercato della prostituzione.

Cara di Mineo, Catania
Catania .. Stupro di gruppo al Cara di Mineo. Arrestati quattro nigeriani, accusati di avere drogato e violentato una connazionale e poi minacciato lei e il rappresentante nigeriano del centro accoglienza.

L’hanno sottoposta ad una violenza di gruppo per giorni, dopo averla drogata e dopo l’hanno pure minacciata che se mai avesse raccontato la sua brutta storia alla polizia, l’avrebbero uccisa. Sono quattro i nigeriani ospitati all'interno del Cara di Mineo e fermati dagli agenti del commissariato di Caltagirone ai quali si è rivolta la vittima una ragazza anche lei nigeriana.

Tutto inizia la notte tra il 14 e il 15 dicembre in un alloggio del Cara occupato prevalentemente da nigeriani. La sera si fa festa e tra gli invitati pure una giovane alla quale un gruppetto offre una bibita dal sapore strano. È una bevanda con della droga che fa precipitare nel sonno profondo la ragazza. Il suo risveglio è un incubo, si ritrova in un letto assieme a quattro balordi che a turno la violentano, e che iniziano pure a picchiarla per intimorirla ed evitare che racconti la sua disavventura alla polizia. Lei però riesce a scappare a trovare rifugio nell'alloggio della sorella.

Assieme a lei il giorno dopo chiede aiuto al rappresentante nigeriano presente al Cara, ma i balordi non demordono, la notte tra il 16 e il 17 la picchiano ancora una volta con un bastone e minacciano di rappresaglia il rappresentante della comunità nigeriana.

La svolta il giorno successivo proprio quando la vittima riesce a fuggire dal centro di accoglienza di Mineo e si presenta in questura a Caltagirone. A quel punto entrano in azione i poliziotti che sottopongono a fermo di polizia giudiziaria i quattro nigeriani autori delle violenze e perquisiscono l’alloggio dove sono avvenute le violenze all'interno del quale trovano pure i bastoni utilizzati dai quattro per picchiare la ragazza. Per loro accuse pesantissime: violenza sessuale di gruppo, lesioni e danneggiamento.


Articolo a cura di
Maris Davis

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venerdì 9 dicembre 2016

Italia e Nigeria unite contro i trafficanti delle schiave del sesso

Trovato un accordo per contrastare la tratta e lo sfruttamento

Sono 6.300 le ragazze e donne nigeriane sbarcate in Italia nel 2016
Contrastare il traffico delle donne nigeriane costrette alla prostituzione in Italia, per salvare loro, e insieme sperimentare un modello di intervento finalizzato ad affrontare l’emergenza delle migrazioni nei paesi d’origine. È l’iniziativa a cui sta lavorando da mesi il governo italiano, che porterà a risultati operativi concreti entro la fine dell’anno.

La Nigeria è il primo Paese per sbarchi di immigrati irregolari in Italia, con 22.237 persone nel 2015 e 12.000 nel primo semestre del 2016, che costituiscono il 21% del totale.

L’Eritrea è al secondo posto con il 12%, seguita da Guinea, Costa d’Avorio e Gambia col 7%. Il dramma nel dramma consiste nel fatto che secondo i dati dell’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), il 20% degli arrivi dalla Nigeria sono donne, cioè una percentuale decisamente superiore al 12% registrato in media dalle altre nazioni.

Nei primi otto mesi del 2016 sono sbarcate nel nostro Paese 6.300 nigeriane, e secondo l’ufficio dell’Onu per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, 9 su 10 di queste donne che giungono illegalmente in Europa provengono dall’Edo State, uno Stato nel Sud della Nigeria la cui capitale, Benin City, è nota per essere al centro dei traffici di prostituzione.

Il contrasto
La NAPTIP, cioè l’agenzia nigeriana incaricata di combattere il traffico di esseri umani, sostiene che il 98% delle vittime salvate dallo sfruttamento sessuale viene dalla regione di Benin City. Ovvio quindi dedurre che l’intenso traffico di donne nigeriane verso l’Italia ha come scopo principale la prostituzione. Per cercare di affrontare questo problema, il governo italiano ha deciso di andare alla sua radice.

Gli incontri ufficiali
Dopo la visita in Nigeria del premier Renzi a febbraio scorso, ad agosto il ministro degli Esteri Gentiloni e il sottosegretario all'Interno Manzione sono andati nel Paese, per discutere i possibili rimedi. I colloqui hanno avuto un esito positivo, che secondo fonti a conoscenza del dossier si è focalizzato in particolare su tre punti: siglare un’intesa per la collaborazione con la polizia italiana, inviare su base permanente due funzionari del ministero degli Interni di Abuja a Roma, per facilitare l’identificazione dei migranti illegali, avviare il progetto per la costituzione di un’anagrafe civile in Nigeria.

I primi passi operativi sono attesi entro la fine dell’anno, mentre nelle prossime settimane alcuni esponenti del governo di Abuja saranno in Italia per avviare una collaborazione più stretta con le nostre autorità, fra cui la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, allo scopo di contrastare il racket della prostituzione, e le altre minacce alla sicurezza nazionale che vengono da questi traffici.

Un primo passo
L’iniziativa concordata con la Nigeria, però, è solo il primo passo per lo sviluppo di un modello, che poi si potrebbe applicare ad altri Paesi coinvolti nell'emergenza delle migrazioni illegali. In particolare Niger, Senegal, Mali ed Etiopia, che insieme ad Abuja sono i membri prioritari del Migration Compact. Il Niger, ad esempio, è l’autostrada nel deserto da cui passa il 90% dei migranti diretti in Libia, per poi sbarcare in Italia. La Farnesina ha avviato negoziati promettenti anche con questo Paese, sulla scia di quanto è avvenuto con la Nigeria, ma anche la Commissione Europea è coinvolta.


Gli aiuti dell’Unione
Bruxelles infatti ha partecipato con l’Italia ad una recente missione in tre di questi Paesi, e ha deciso di stanziare 500 milioni di euro per aiutarli ad affrontare il problema delle migrazioni. Questo investimento dell'Unione Europea, a cui si stanno già sommando impegni diretti dei singoli Stati come la stessa Italia, ha un doppio scopo:
  • primo, fornire ai Paesi gli strumenti e i mezzi, dalle jeep ai droni, per controllare il traffico,
  • secondo, dare aiuti per sostituire l’economia sommersa legata al fenomeno delle migrazioni, da chi fornisce i trasporti a chi vende il cibo, con attività legali e sostenibili nel lungo periodo.
I finanziamenti saranno legati ai risultati, andando cioè ai governi che potranno dimostrare una riduzione nei numeri dei flussi. Naturalmente stiamo parlando di un’emergenza epocale, in certe regioni connessa anche al terrorismo, che ha proporzioni molto difficili da gestire. Non c’è dubbio però che una soluzione duratura sta solo nei Paesi d’origine, ed è qui che l’Italia e la UE stanno cominciando ad operare nel concreto.

Un accordo importante che potrebbe essere rallentato dall'attuale crisi del governo italiano, ma che speriamo possa essere sviluppato e messo in pratica comunque.

Il traffico di ragazze nigeriane verso l'Italia ha raggiunto livelli non più tollerabili, un vero e proprio "crimine contro l'umanità", un dramma che deve essere contrastato ad ogni costo


Articolo di
Maris Davis

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sabato 3 dicembre 2016

Udine, studentessa minorenne picchiata dalla madre perché a scuola non aveva il velo islamico

È stata picchiata dalla madre che l'aveva sorpresa a scuola senza il velo islamico.

Per questo motivo una ragazza di origini nordafricane, studentessa in un istituto superiore di Udine, è stata allontanata d'urgenza da casa dalla polizia di Stato e sistemata in una struttura protetta. Ha una ferita al labbro e contusioni guaribili in tre giorni.

Secondo la ricostruzione degli investigatori, l'adolescente ogni mattina indossava il velo prima di uscire di casa. Lo toglieva a scuola perché vuole vivere all'occidentale e lo rimetteva al termine delle lezioni, prima che i genitori venissero a prenderla.

Martedì pomeriggio, però, la madre è arrivata prima del previsto e l'ha vista con il capo scoperto. In preda all'ira, la donna ha riportato la figlia a casa, l'ha picchiata e ha avvertito dell'accaduto il marito, fuori città per lavoro. All'indomani la ragazzina si è però confidata con gli insegnanti mostrandosi terrorizzata all'idea del ritorno del padre. A quel punto il dirigente scolastico ha chiamato la Squadra Mobile.

La giovane studentessa nordafricana, da anni residente in Italia, allontanata da casa dalla Polizia e collocata in una struttura protetta, si toglieva il velo a scuola, perché vuole vivere all'occidentale, come i suoi coetanei. La famiglia, invece, le ha imposto di portare il velo islamico, quello che le copre capelli e collo. È quanto emerge dalle indagini della Polizia di Udine, che ha deciso di tutelare la ragazza portandola in una struttura protetta.

Quando le è stato comunicato che la figlia sarebbe stata allontanata da casa, la donna ha ammesso di aver alzato le mani per punire la figlia per i suoi comportamenti, ma ha escluso motivi di ordine religioso legati al velo.

L'episodio è stato segnalato sia alla Procura di Udine per le indagini a carico della madre per l'episodio delle percosse sia alla Procura dei minori a tutela della posizione della ragazzina, che sarà ascoltata nei prossimi giorni.

L'episodio di Udine è solo l'ultimo di altri più più gravi, e dimostrano la frattura esistente nelle famiglie mussulmane in Italia. Tra genitori che impongono ai figli le tradizioni islamiche e i figli, soprattutto le figlie, che sempre di più vorrebbero vivere all'occidentale, in poche parole integrarsi, sentirsi uguali ai loro coetanei italiani.

Ci chiediamo quante ragazze, adolescenti, studentesse islamiche, magari nate in Italia, sono "costrette" a portare il velo islamico, a non potersi integrare, che si sentono "diverse" solo perché i loro genitori impongono la cultura e le tradizioni del paese d'origine.

Quello che si sa per certo è che nel 2015 in Italia, almeno duemila adolescenti di fede islamica sono state "costrette" a ritornare nei paesi d'origine per "sposarsi" per poi far rientro in Italia con "mariti" imposti dai genitori, oppure a non ritornare affatto per restare nel paese d'origine con un marito che non avrebbero mai voluto sposare.
(la Repubblica)


Articolo a cura di
Maris Davis

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Abbattere le barriere fisiche psicologiche, il tema per la Giornata Mondiale della Disabilità

Si celebra il 3 dicembre. L’iniziativa è stata istituita nel 1981, Anno Internazionale delle Persone Disabili. Nel mondo sono circa un miliardo. In Italia quasi 3 milioni.

Abbattere le barriere. Non solo quelle architettoniche, ma anche e soprattutto quelle culturali e sociali che ostacolano l’integrazione delle persone con disabilità. È questo il nobile obiettivo per cui ogni anno, il 3 dicembre, si celebra la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità.

L'iniziativa è stata istituita nel 1981, l’Anno Internazionale delle Persone Disabili, per promuovere una più diffusa e approfondita conoscenza dei temi della disabilità, per sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita e per allontanare ogni forma di discriminazione e violenza.

Dal luglio del 1993, il 3 dicembre è diventato anche Giornata Europea delle Persone con Disabilità, come voluto dalla Commissione Europea, in accordo con le Nazioni Unite.

Nel Mondo un miliardo di persone con disabilità, in Italia tre milioni

Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo ci sarebbero più di 1 miliardo di persone con una disabilità, circa il 15% della popolazione mondiale vive con qualche forma di disabilità . Almeno un quinto di questi, circa 110-190 milioni di individui, è costretto ad affrontare difficoltà "molto significative" nella vita di tutti i giorni. Inoltre, le percentuali di disabilità stanno aumentando, a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento globale delle malattie croniche.

In Italia invece l’Istat stima che siano 3 milioni i disabili, il 5% della popolazione. Circa 700mila persone hanno problemi di movimento, oltre 200mila difficoltà sensoriali, quasi 400mila limitazioni che impediscono le normali funzioni della vita quotidiana.

In Italia molti disabili e famiglie lasciati senza sostegno

Dei 3 milioni di disabili, solo un milione e centomila fruiscono di indennità di accompagnamento. Oltre 200 mila adulti vivono ancora in istituto o in RSA, spesso in condizioni segreganti. Molte altre invece vivono “segregati” in casa, a causa dell’assenza di sostegno e supporto, se non al massimo quelli della famiglia. Il 70% delle famiglie con persone con disabilità non fruisce di alcun servizio a domicilio. Meno di 7 disabili su 100 contano, infatti, su forme di sostegno presso la propria abitazione. Questo significa che nella maggior parte dei casi le famiglie gestiscono da sole quello che i servizi non offrono.

In Italia la spesa per la disabilità è al di sotto della media europea

In effetti l'Italia, spende poco per la disabilità: secondo l’Eurostat, la spesa è di 430 euro pro-capite, posizionandosi al di sotto della media europea di 538 euro e nella parte bassa della classifica. La spesa media annua dei comuni per disabile è inferiore ai tremila euro l’anno con una spesa giornaliera di 8 euro. Profonde sono le disparità territoriali. Basta pensare che la Calabria spende circa 469 euro contro i 3.875 del Piemonte.

Ma quello che maggiormente influenza negativamente la vita dei disabili è l’esclusione. Si stima che meno di un disabile su cinque lavori, con conseguenze sulla realizzazione personale e anche economiche. Infatti, la disabilità è uno dei fattori principali di impoverimento. La Giornata mondiale della disabilità serve anche a puntare i riflettori su tutti gli aspetti migliorabili per favorire l’integrazione e l’inclusione delle persone disabili in Italia e nel mondo.
(La Stampa)

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giovedì 1 dicembre 2016

Zimbabwe, dove il valore dell'acqua non è molto diverso da quello dell'oro

Nello Zimbabwe la lotta per la sopravvivenza passa dalla ricerca dell’acqua. Quando si gira il rubinetto della doccia, non viene fuori neanche una goccia.


Kanyombo è un ragazzo di 18 anni e senza occupazione. Trascorre le sue giornate alla ricerca di acqua per la madre e i fratelli ad Harare, la capitale dello Zimbabwe, e tutto questo per lui è quasi diventato un lavoro a tempo pieno. Quando si gira il rubinetto della doccia, non viene fuori neanche una goccia.

Non funziona, nei tubi non c’è stata acqua per molto tempo e si sono arrugginiti. Non ricordo neanche come si fa una doccia". Fare il bagno da un secchio è diventato una vera e propria abitudine, non solo per lui, ma per la maggior parte degli abitanti di Harare.

Lo Zimbabwe è stato colpito da una delle peggiori siccità degli ultimi decenni e proprio per questo, all'inizio di quest’anno (2016), è stato dichiarato lo stato di emergenza. “E ‘possibile utilizzare solo due litri di acqua per il bagno a seconda di quanto si è fortunati”, afferma Kanyombo con un accenno di risata amara, “così otto secchi da 20 litri di acqua possono durare per tre giorni a seconda della parsimonia con la quale si utilizzano

Molti secchi di plastica si trovano in ogni casa in Harare, da quelle di fascia alta dei benestanti a quelle delle township dei più poveri

Virginia Nyika, una madre che condivide una casa con la sua famiglia allargata. “Siamo abituati a vivere senza acqua corrente. Mio marito, i miei tre figli ed io viviamo in due camere sul retro della casa. Abbiamo 15 secchi di plastica e un contenitore d’acqua da 200 litri. I miei figli non sanno cosa vuol dire fare una doccia” dice con un velo di tristezza nel suo sguardo.

Harare combatte la scarsità d’acqua regolarmente perché il fornitore pubblico, la Zimbabwe National Water Authority, è priva di fondi per trattare l’acqua e mantenere i tubi puliti contro l’invecchiamento. Questo ha costretto alcuni residenti a scavare dei pozzi poco profondi per far fronte alla situazione disastrosa. Ma alcuni di questi pozzi si sono prosciugati a causa della siccità.

Storie di scontri fisici per la corsa all'acqua in quelli che vengono chiamati “pozzi della comunità” sono ormai pura routine, ma dove c’è avversità c’è anche opportunità.

Anna Malikezi trascorre molte ore a pompare manualmente l’acqua nei secchi, “vendo acqua a persone che non sono in grado di attendere in coda, posso guadagnare circa 7 dollari al giorno. Sono in grado di prendermi cura della mia famiglia con quei soldi

La capitale Harare ottiene la maggior parte della sua acqua da dighe che sono state gravemente colpite dalla siccità

La siccità ha generato cattivi raccolti e causato la morte di molti animali, per questo motivo circa un quarto della popolazione ha bisogno di aiuti alimentari. Anche se l’attuale stagione delle piogge non sembra essere iniziata nel modo migliore, gli esperti meteo prevedono forti piogge, che le autorità cittadine sperano possano significare dighe piene.

Fino ad allora, Kanyombo e molti altri nello Zimbabwe dovranno continuare la loro ricerca alla risorsa più preziosa, per l’acqua, per la vita.

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venerdì 25 novembre 2016

Nigeria, nel silenzio dei media continuano le persecuzioni dei cristiani

Nel silenzio dei media internazionali continuano gli assalti ai villaggi cristiani da parte di gruppi "peuls" mussulmani nello Stato di Kaduna. 34 le persone uccise, tra di loro anche donne e bambini.


Nei giorni scorsi un gruppo di circa 200 peuls musulmani ha attaccato alcuni villaggi cristiani in Nigeria, nella regione di Kauru, nel sud dello Stato di Kaduna. Nel mirino sono finiti, in particolare i villaggi di Kitakum, Kigam, Angwan Rimi, Angwan Mahaji ed Angwan Makera.

Gli assalti hanno provocato la morte di almeno 34 persone, tra cui uomini, donne e bambini. In alcuni casi è stato necessario un complesso e doloroso riconoscimento, essendo stati completamente sfigurati dalle fiamme. Circa cento abitazioni e numerose chiese sono state ridotte in cenere. Si stima che 4 mila residenti siano fuggiti a seguito della devastazione. Un distaccamento dell’esercito ha raggiunto il posto, ma troppo tardi, quando cioè il massacro era già stato sostanzialmente compiuto.

Gli assalitori sono giunti dalle colline a bordo di jeep sparando sulla gente con mitra e fucili, incendiando tutto quanto trovassero sulla loro strada

Zona in cui vivono i "peuls"
I peuls sono pastori e allevatori nomadi di etnia fulani, mussulmani che praticano la sharia islamica in modo integrale. Vivono tra la Nigeria del nord e il Niger e arrivano fino in Mauritania. Soprattutto nella Nigeria del nord si accaniscono contro le minoranze cristiane soprattutto per rubare bestiame. Sono ritenuti più pericolosi anche degli jihadisti di Boko Haram.

Secondo l’agenzia International Christian Concern, tra il gennaio 2013 ed il maggio 2016, nel corso dei loro raid, hanno ucciso già 826 cristiani, ne hanno feriti altri 878 e raso al suolo 102 chiese. Ciò che angoscia è che tutto questo avvenga nel silenzio generale dei media internazionali.

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giovedì 24 novembre 2016

Violenza Donne. Ennesimo femminicidio in Italia, sono 117 le donne uccise da inizio anno

Seveso, uccide la compagna strangolandola, i figli erano in casa. È solo l'ultimo episodio di altri 117 tremendamente simili avvenuti in Italia nel solo 2016.

Italia, una donna uccisa ogni tre giorni. Dal suo ex, da suo marito, dal suo fidanzato, dal suo compagno, da colui che avrebbe dovuto amarla

Seveso, ingresso dell'abitazione della donna uccisa
Ancora una volta raccontiamo un femminicidio, ancora una volta parliamo di una donna uccisa dall'uomo che avrebbe dovuto proteggerla per sempre. Siamo in provincia di Monza Brianza, a Seveso. Un uomo di 56 anni ha strangolato la compagna 29enne, al termine di una lite avvenuta nella loro casa di Seveso nella notte tra mercoledì e giovedì. La donna avrebbe cercato di difendersi dal gesto del suo compagno ma non ce l’avrebbe fatta. Pare, da quelle che sono le prime notizie sul caso, che in casa fossero presenti anche i figli della coppia.

Secondo la ricostruzione dei carabinieri di Seregno, intervenuti sul posto su segnalazione dei vicini di casa, la lite culminata in tragedia è avvenuta mentre i due bambini della coppia erano in casa. Stando a quanto emerso, la coppia, lui italiano e lei peruviana, da qualche tempo aveva problemi. Quando i carabinieri hanno bussato al loro appartamento, l’uomo stava tentando di nascondere il corpo della compagna dietro un mobile. I carabinieri lo hanno arrestato per omicidio in flagranza di reato.

I carabinieri, intervenuti prontamente sul posto, hanno poi provveduto a chiedere aiuto anche per i bambini, tre figli che frequentano le scuole elementari che sarebbero stati affidati, almeno per questa prima notte, a dei conoscenti di fiducia della coppia. Secondo le indiscrezioni emerse in queste ore, il 50enne avrebbe ucciso la sua compagna strangolandola a mani nude.

Solo gli esami autoptici potranno dare tutte le risposte del caso. Nel frattempo si cerca di capire se la donna in passato avesse già denunciato altri episodi di violenza, se i vicini che li avevano sentiti litigare fossero anche in passato stati testimoni di episodi simili.


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mercoledì 23 novembre 2016

L'Africa, i paradisi fiscali e la grande frode

Evasione fiscale, creazione di fondi illeciti, corruzione e riciclaggio di denaro, in Africa generano un “tesoretto” illegale di almeno 60 miliardi di dollari all'anno

Denaro che viene sistematicamente sottratto a progetti di sviluppo per la popolazione, aumentando le diseguaglianze. Il sistema è ingovernabile perché senza regole né trasparenza, ma c’è chi sta provando a mettere dittatori e politici corrotti sotto pressione.

"Vedere un dittatore atterrare a Ginevra potrebbe essere una buona cosa. Potrebbe (per esempio) significare che si tratti di un viaggio diplomatico per partecipare a dei colloqui di pace (la città ospita istituti delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali). Ma la Svizzera è anche un paradiso sicuro per uomini potenti che arrivano dal terzo mondo e che vogliono mettere da parte i soldi che hanno rubato al proprio popolo"

È la considerazione fatta dal giornalista investigativo freelance svizzero François Pilet alla rivista statunitense Newsweek per spiegare lo scopo del suo progetto: il GVA Dictator Alert.

Si tratta di un Twitterbot che posta automaticamente un messaggio sul social network non appena l’aereo di un dittatore o del suo governo atterra o decolla dall'aeroporto di Ginevra. Pilet, assieme a suo cugino Julien, ha creato questo account Twitter lo scorso 16 aprile, allo scopo di monitorare i viaggi dei leader degli Stati definiti "regimi autoritari", dal Democracy Index 2015, per acquisire eventuali tracce di illeciti. L’idea è quella di rendere gli spostamenti dei dittatori "trasparenti" e dissuaderli da reati come l’evasione fiscale, la creazione di fondi illeciti, la corruzione o il riciclaggio di denaro.

Il progetto non è nato per caso. Julien è uno sviluppatore informatico e François, oltre a essere giornalista del magazine svizzero L'Hebdo, è membro dell’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), il collettivo internazionale che ha lavorato ai “Panama Papers

Il bot Twitter funziona grazie ad un’antenna sistemata vicino all'aeroporto, che riceve i segnali Ads-B, i quali trasmettono il codice identificativo e la localizzazione di ogni aereo. Un programma confronta quei dati con quelli raccolti da diversi database online che tracciano il traffico aereo nel mondo. Quando vi è una coincidenza fra il numero di coda di un volo e quello di un apparecchio utilizzato da un governo autoritario, allora viene postato un tweet con i dettagli del volo.


Uno strumento utile per l’indagine d’inchiesta, il cui account ha già riscosso successo con quasi 14 mila follower. Il bot al momento monitora e pubblica i movimenti di oltre 80 velivoli di 21 paesi diversi, tra cui Iran, Arabia Saudita, Qatar e Russia. Ma anche molti africani come l'Algeria, il Gabon e tanti altri.

Caso Obiang .. E proprio dall'Africa è partita l’idea. Pilet ha infatti deciso di lanciare il GVA Dictator Alert dopo che lo scorso marzo L'Hebdo ha pubblicato una sua inchiesta sui viaggi e gli affari finanziari in Svizzera dei membri del regime della Guinea Equatoriale. Paese guidato da Teodoro Obiang Nguema Mbasogo dal 1979 (è il presidente più longevo d’Africa).

Teodorin Nguema Obiang, Guinea Equatoriale
Segnalando i numerosi atterraggi degli aeromobili della Guinea Equatoriale all'aeroporto Cointrin (negli ultimi sei mesi 25 segnalazioni) Pilet ha fatto posare gli occhi della magistratura elvetica sul vicepresidente Teodorin Nguema Obiang, figlio di Teodoro. Fino a quando lo scorso 18 ottobre è stata aperta un'indagine preliminare a suo carico per i reati di riciclaggio di denaro, appropriazione indebita di fondi pubblici e corruzione, e la scorsa settimana è stato aperto ufficialmente un procedimento penale. Un buon risultato, dato che, contemporaneamente, su richiesta del pubblico ministero, gli sono state anche sequestrate 11 (undici) auto di lusso custodite nell'area di carico dell’aeroporto di Ginevra.

Il rampollo è già sotto inchiesta in Francia e Spagna per accuse simili ed è stato imputato anche negli Stati Uniti, dove ha patteggiato un risarcimento mai pagato. Sembra che dal 2004 la maggior parte della fortuna di Teodorin sia passata attraverso conti bancari svizzeri. Si parla di centinaia di milioni di dollari, che in buona parte sarebbero tangenti e denaro frodato allo Stato e alle imprese del suo paese.

L’erede di Teodoro non è da solo. L’inchiesta francese che lo riguarda, fa parte di un’ampia indagine avviata nel 2008 denominata "biens mal acquis" (guadagni illeciti). In essa sono coinvolti anche altri leader africani che, come lui, in passato avrebbero acquistato costose proprietà in Francia con soldi sottratti alle loro casse statali: il presidente della Repubblica del Congo, Denis Sassou Nguesso e l’ex presidente del Gabon, Omar Bongo, padre dell’attuale presidente Ali Bongo.

Swissleaks e Panama Papers .. Si commette un errore a ritenere che i paradisi fiscali siano esclusivo appannaggio di ricchi uomini dei paesi occidentali. In Africa se ne fa largo uso. Quelli sopracitati sono solo i casi più recenti e famosi di evasione fiscale, appropriazione indebita o riciclaggio in cui sono coinvolti potenti personaggi africani.

Nel febbraio 2015, per esempio, è stata pubblicata l’inchiesta giornalistica denominata “Swiss-leaks”, che riguardava la fuga di notizie sui conti di 100.000 clienti e 20.000 società offshore aperti nella filiale svizzera della banca britannica Hsbc (la famosa “lista Falciani) che ammontavano a più di 100 miliardi di euro. Il continente africano era molto presente nella lista. Sono stati trovati depositi sospetti collegabili ad operazioni di evasione fiscale, riciclaggio e traffico d’armi, materie prime e diamanti che riguardavano Tanzania, Kenya, Uganda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo e tanti altri.

Isaias Afewerki, dittattore dell'Eritrea
Alcuni di quei conti hanno anche generato molto scalpore. Per esempio quello dell’Eritrea il paese africano più presente nella lista. Su un unico conto, quasi certamente di proprietà dello stesso presidente eritreo Isaias Afewerki, si trovavano più di 695 milioni di dollari. Un affronto all'intelligenza umana se si pensa che i cittadini eritrei muoiono di fame e i maschi sono costretti a fare il servizio militare praticamente a vita, e per questo in massa fuggono per raggiungere l'Europa dopo viaggi allucinanti.

Tra i numerosi clienti stranieri che si nascondevano dietro lo schermo della banca Hsbc è spuntato fuori anche il re marocchino, Mohammed VI e la famiglia reale. Fece scandalo perché, per legge, a un cittadino residente in Marocco non è concesso aprire un conto corrente all'estero, salvo speciale deroga. Cosa che l’Ufficio dei Cambi marocchino non ha mai confermato.

Da non dimenticare poi, lo scandalo mondiale dei “Panama Papers” scoppiato lo scorso aprile. L’inchiesta riguardava documenti trapelati dallo studio legale panamense Mossack Fonseca che fa consulenze per aiutare ricchi clienti a usufruire dei vantaggi garantiti dal paradiso fiscale centroamericano. Anche qui sono emersi nomi di personalità e uomini d’affari africani. Molti i politici, come José Maria Botelho de Vasconcelos, l’attuale ministro angolano del petrolio, James Ibori, ex Governatore del Delta State in Nigeria o, Emmanuel Ndahiro, ex capo dell’intelligence rwandese ed ex consigliere per la sicurezza del presidente Paul Kagame. Ma anche parenti stretti dei leader, come Jaynet Kabila, sorella del presidente congolese Joseph Kabila, o la nipote del presidente sudafricano Jacob Zuma, Clive Khulubuse Zuma.

Dati dell’Africa frodata .. È appurato che meccanismi di elusione fiscale usati a livello globale sottraggano risorse al sistema dello Stato sociale. Nei paesi africani ciò equivale inevitabilmente alla privazione delle risorse necessarie a combattere povertà e analfabetismo diffusi.

C’è chi ha provato a quantificare. Secondo uno studio condotto nel 2015 da Gabriel Zucman, professore della London School of Economics, i paradisi fiscali detengono capitali illegali pari all’8% del patrimonio finanziario mondiale. Di tutta questa ricchezza esentasse, almeno 500 miliardi di dollari sono “africani

Un dato confermato anche dall’Oxfam in un suo recente rapporto, nel quale si afferma che il tesoretto illegale equivale al 30% del patrimonio degli africani ricchi

Una massa enorme di denaro pubblico che sarebbe sufficiente a coprire la spesa sanitaria per quattro milioni di bambini e assicurare l’istruzione primaria in tutto il continente

Ed è sempre del 2015 uno studio di una commissione dell’Unione Africana guidata dall’ex presidente sudafricano Tabo Mbeky, denominato “Illicit financial flows – Tuck it! Stop it! Get it!”, nel quale si apprende che i crimini finanziari, quali l’elusione delle tasse e la corruzione, drenano dal continente almeno 60 miliardi di dollari all'anno. Una grande frode.

Disuguaglianze

Diseguaglianza: Secondo l’ultimo rapporto Oxfam l’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99%. 62 persone nel mondo detengono la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione globale (3,6 miliardi di persone). Nell’arco di 5 anni, questi ‘paperoni’ hanno visto crescere i loro patrimoni di 500 miliardi di dollari (+44%), arrivando a un totale di 1.760 miliardi. Le diseguaglianze crescono: nel 2010, erano 388 i miliardari i cui patrimoni valevano quanto quello di tutta la metà più povera del pianeta. Nel 2014, erano 80. Oggi, appunto, 62.

Ultimi paradisi assoluti: Secondo l’Ocse, restano 11 i paesi dove il segreto bancario è ancora invalicabile, la tassazione è inesistente. Brunei, Isole Marshall, isola di Dominica, Micronesia, Libano, Guatemala, Liberia, Panama, Isola di Nauru, Vanuatu, Trinidad e Tobago.

Wealth Manager: Una figura di consulenza in ascesa nel mondo della finanza “per ricchi”. Sono i gestori di grandi patrimoni. Questi professionisti (che di solito sono avvocati, commercialisti, fiscalisti o consulenti finanziari) aiutano i clienti a sottrarre “legalmente” ricchezze al fisco. Attraverso fondi fiduciari, società offshore e altri strumenti simili, “nascondono” grandi concentrazioni di potere economico rendendo difficile se non impossibile risalire ai veri detentori della ricchezza. Le loro attività sono formalmente legali ma socialmente illegittime.

Di recente è aumentato il loro interesse verso il mercato di clienti africano, proprio perché negli anni è cresciuto il numero di africani con almeno un milione di dollari di patrimonio investibile, i quali, secondo l'ultimo rapporto World Wealth Report, sarebbero 145 mila.


Certo, è essenziale perseguire chi viene “beccato, e ben vengano iniziative d’indagine come quella dei Pilet, ma la verità è che alla base del problema ci sono istituzioni come i nuovi wealth manager che facilitano la frode fiscale in tutto mondo. Un grande sistema che è ingovernabile perché senza regole né trasparenza, dal quale è nato un patrimonio transnazionale nascosto e facilmente trasferibile con un semplice clic da un paese offshore ad altri.
(fonti e dati Nigrizia)

I paradisi fiscali sono tra le principali cause di diseguaglianze nel mondo ed è su di essi che si dovrebbe intervenire con una normativa sovranazionale unica, più rigida e severa che li costringa alla trasparenza


Articolo a cura di
Maris Davis

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