mercoledì 31 maggio 2017

Kenya. "Nia Teen" nuova rivista riservata a ragazze adolescenti sulla sessualità

"Nia Teen", che in lingua swahili significa "Adolescenza Informata", contro i tabù (delle mestruazioni)


Nei Paesi dell’Africa Orientale, ma è un problema un po' di tutta l'Africa Sub-Sahariana, quattro ragazze su cinque non hanno modo di acquistare assorbenti e non hanno un’istruzione approfondita e completa sui temi della salute riproduttiva e della salute in generale.

Molte ragazze non sanno come evitare le gravidanze indesiderate, non sanno come proteggersi dalla malattie sessualmente trasmissibili, sono spiazzate alla prima mestruazione. Non conoscono i cambiamenti che avvengono nel loro corpo durante la pubertà e l’adolescenza.

In Kenya, tanto per fare un esempio, il 65% delle donne e delle ragazze non hanno la possibilità di acquistare assorbenti, semplicemente non se li possono permettere. Inoltre manca completamente un’informazione corretta e accessibile su questi temi.

Il 45% delle ragazze non sa cosa siano le mestruazioni prima di averle avute, per il 43% delle ragazze il primo rapporto sessuale è forzato o non voluto. E quasi tutte (il 95%) non sanno che questa è una violazione dei loro diritti.

E così, per aiutare le ragazze ad acquisire una maggiore consapevolezza sui loro diritti, l’associazione “ZanaAfrica” (impegnata da anni per l’educazione delle ragazze sui temi della salute sessuale) ha lanciato un magazine dedicato proprio a questi temi, “Nia Teen

La rivista, colorata e allegra, va così a colmare un vuoto nell'istruzione delle adolescenti keniane mettendo al centro proprio le ragazze, a partire dalle loro domande

Quando arriverà il ciclo la prima volta, cosa devo fare

Cosa posso fare per non vergognarmi durante il ciclo

Come posso evitare i ragazzi quando un ragazzo cerca di violentarti o di farti del male

Coso devo fare per obbligare il mio ragazzo ad usare il preservativo

Sono state raccolte più di 10mila domande poste da circa un migliaio di ragazze e raccolte dalla redazione di “Nia Teen” durante le attività promosse da “ZanaAfrica

Nia Teen” non si limita a parlare di temi legati alla salute riproduttiva delle ragazze. Ma le invita ad alzare la voce e a impegnarsi per il rispetto dei propri diritti. La sfida principale, come ricorda anche Megan Mukuria, fondatrice dell’associazione ZanaAfrica, è quella di dare alle ragazze la possibilità di continuare a frequentare la scuola: “Se non aiutiamo le ragazze a stare a scuola e ad attraversare in sicurezza l’adolescenza, abbiamo perso tutti
(Terre des hommes)

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Kenya, salva la foresta di Mau. Gli "Ogiek" vincono la battaglia per restare nella loro terra

Dopo 10 anni di battaglie legali con il governo di Nairobi, il popolo degli Ogiek, abitanti autoctoni della foresta Mau, hanno visto riconosciuto il loro diritto a vivere nella propria terra ancestrale.


Una sentenza destinata ad aprire la strada ad altri ricorsi di popoli espropriati dalle loro terre ancestrali in tutto il continente africano

Il verdetto è stato emesso venerdì 26 maggio dalla Corte africana per i diritti dell’uomo e dei popoli, voluta dall'allora Organizzazione dell’Unità Africana che ne ha adottato il protocollo istitutivo nel 1998 a Ouagadougou, in Burkina Faso. La Corte, che ha sede ad Arusha, in Tanzania, è entrata in funzione nel 2006.

Gli Ogiek, un gruppo minoritario di circa 35.000 persone, sono gli abitanti autoctoni della foresta Mau, la più importante foresta pluviale di montagna dell’Africa dell’Est e il più rilevante bacino imbrifero (idrografico) del Kenya.

Gli Ogiek, la cui economia si basa tradizionalmente sulla caccia e la raccolta dei prodotti del proprio territorio, in particolare del miele, sono stati più volte minacciati di essere cacciati dalle loro terre con il pretesto di difendere l’ecosistema della foresta che altri hanno invece devastato e continuano a devastare per il commercio del legname e l’agrobusiness, un'attività che è nelle mani di importanti famiglie keniane, tra cui quelle dell’ex presidente Moi e dell’attuale presidente Kenyatta. E altri interessi quali l'insediamento di altri gruppi etnici a scopi politici ed elettorali. L’ultima lottizzazione, che ha interessato il 20% del territorio della foresta Mau, risale agli anni novanta, sotto il regime di Daniel arap Moi.

Il caso su cui il Tribunale di Arusha ha emesso la sua sentenza risale al 2007, quando gli Ogiek cominciarono la battaglia legale presso le autorità competenti del Kenya per avere i titoli di proprietà della loro terra, in questo sostenuti da una ONG locale, l’Ogiek Peoples Development Programme (OPDP) che li ha accompagnati nel lungo e complicato processo legale fino all’attuale vittoria.

In risposta alla richiesta dei titoli di proprietà, nel 2009 arrivò l’ordine di sfratto che avrebbe dovuto diventare esecutivo in due settimane. Gli Ogiek a quel punto ricorsero alla Commissione africana per i diritti dell’uomo e dei popoli, che ha sede in Gambia e lavora in base alla Carta africana per i diritti dell’uomo e dei popoli, di cui il Kenya è firmatario. La Commissione prima bloccò l’ordine di espulsione e poi presentò il caso alla corte di Arusha.

Nella sentenza la Corte stabilisce che il governo di Nairobi ha violato ben sette articoli della Carta e ha riconosciuto i diritti degli Ogiek sulla loro terra e il loro ruolo fondamentale nella protezione della foresta. Ha anche riconosciuto il loro diritto a condurre le attività economiche tradizionali, in linea con la protezione dell’ecosistema della foresta Mau.

Il governo di Nairobi ha dichiarato di accettare la decisione del tribunale. Ora gli Ogiek hanno due mesi di tempo per presentare al governo le richieste dettagliate basate sulla sentenza. Il governo ha poi sei mesi per prendere i provvedimenti necessari a soddisfarle.

Al momento della lettura del verdetto l’aula del tribunale di Arusha era affollatissima perché la decisione del tribunale avrebbe fatto storia, come ha dichiarato Muthoni Wanyeki, direttrice regionale di Amnesty International.

Questa sentenza dà speranza a tutti gli altri popoli indigeni dell'Africa costantemente espulsi dalle loro terre

Alla seduta della Corte erano presenti 75 Ogiek vestiti con i loro abiti tradizionali che hanno festeggiato con danze e canti.
(Nigrizia)

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martedì 30 maggio 2017

Namibia. Iniziato il processo contro la Germania per lo sterminio degli Herero (1904)

Donna herero oggi
Più di un secolo dopo il genocidio, a lungo taciuto, delle popolazioni Herero e Nama della Namibia, i discendenti delle vittime hanno chiamato il governo tedesco, allora potenza coloniale, a rispondere in tribunale delle atrocità commesse contro i loro avi.

A gennaio le due etnie hanno intentato una class-action chiedendo un risarcimento e di essere inclusi nei negoziati, in corso da due anni tra i governi di Germania e Namibia, per la stesura di una dichiarazione congiunta sulle stragi. Il processo si è aperto il 16 marzo a New York e la prossima udienza sarà il 21 luglio.

Finora Berlino ha sempre rifiutato di pagare riparazioni dirette, sostenendo che i milioni di euro dati in aiuti allo sviluppo dopo l'indipendenza della Namibia dal Sudafrica nel 1990, siano andati "a beneficio di tutti i namibiani"

Tra il 1885 e i 1903 i coloni tedeschi si impadronirono di terra, bestiame e di altri mezzi di sussistenza dalla gente del posto, innescando la rivolta degli Herero. La risposta fu la sanguinosa battaglia di Waterberg, nell’agosto dello stesso anno, quando circa 80.000 Herero furono costretti alla fuga con donne e bambini verso il Botswana. Le truppe tedesche li inseguirono nel deserto del Kalahari, avvelenando l’acqua dei pozzi. Solo 15.000 di loro sopravvissero.

I fatti risalgono ai primi decenni dell’occupazione tedesca della Namibia (1880-1915). Insieme al Tanganika, a una parte del Camerun e al Togo, la Namibia era la perla delle colonie tedesche in Africa. Il regime coloniale nell'Africa del sud-est era durissimo: continue umiliazioni delle persone e delle loro tradizioni; lavori forzati, accompagnati da percosse fisiche; violenze sulle donne; confisca delle terre e del bestiame.

Il 12 gennaio 1904 scoppia la rivolta degli herero. Il capo, Samuel Maherero, guida la sommossa. Duecento coloni tedeschi sono uccisi, mentre i missionari sono risparmiati. Dopo una prima reazione, giudicata «troppo debole» dalle autorità di Berlino, la rappresaglia tedesca è affidata al nuovo governatore, il generale Lothar Von Trotta. Questi dichiara: «Il popolo herero deve lasciare il paese. In caso contrario, sarò costretto a sloggiarlo coi cannoni».

Davanti al rifiuto degli herero, Von Trotta accerchia le loro terre (lasciando libera soltanto una via di fuga verso il deserto del Kalahari), uccide chiunque capiti a tiro e ordina di avvelenare le sorgenti d’acqua. Ai più turbolenti riserva impiccagioni di massa. Il primo genocidio del XX secolo si protrae dal 1904 al 1907. Quando il governatore Von Lindequist ordina la fine delle operazioni belliche, il bilancio è terrificante: dei circa 90.000 herero originari ne sono rimasti solo 15.000, confinati in “riserve tribali” e utilizzati dai coloni come mano d’opera schiava.

La più piccola etnia Nama affrontò un destino simile. Circa 10.000 di loro furono uccisi mentre cercavano di ribellarsi ai tedeschi.

L'azione legale sostiene, inoltre, che le autorità coloniali abbiano chiuso un occhio sugli stupri di donne e ragazze Herero e Nama da parte dei coloni e sull'uso di lavoro forzato. Le due etnie denunciano anche l’esistenza di campi di sterminio e di esperimenti scientifici sulla popolazione, considerata una razza inferiore.
(News 24)

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Repubblica Democratica del Congo. Protesta della società civile contro i rapimenti a scopo di estorsione

La società civile di Rutshuru, nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, ha indetto da mercoledì a venerdì prossimi tre giornate di sciopero in protesta contro l’aumento di attacchi e rapimenti a scopo d’estorsione in alcune zone del territorio, un fenomeno in piena rinascita da luglio 2016.

Non è la prima volta che territorio di Rutshuru si trova di fronte a questo tipo di attacchi molto specifici, ma da luglio il business dei sequestri è in piena espansione. I primi obiettivi sono i commercianti e chi lavora per le organizzazioni umanitarie considerate, dicono i residenti, in grado di pagare i riscatti. "Ma questi rapimenti non sono una coincidenza", dice un funzionario locale, accusando a sua volta gruppi Mayi-Mayi, militari e responsabili politici ed economici.

Tra le Ong colpite di recente Save the Children che dopo il rapimento di due suoi operatori il 9 marzo scorso, ha deciso di sospendere parte delle attività in quel territorio. La settimana scorsa è toccato all'organizzazione locale Biferd con quattro dei suoi membri rapiti, portati nella foresta e liberati dopo poche ore. I sequestratori avevano chiesto un riscatto di 20.000 dollari.
(Afrique Presse)


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Sud Sudan. Al via il processo per i militari accusati delle violenze all'Hotel di Juba

Inizia a Juba, davanti ad un tribunale militare, il processo ai militari accusati di aver violentato almeno 5 operatrici umanitarie straniere e di aver ucciso a sangue freddo un giornalista locale di etnia Nuer.

I crimini sono avvenuti lo scorso 11 luglio, alla fine dei violenti combattimenti con cui erano state scacciate dalla città le forze del vicepresidente Riek Machar, che vi si trovavano in forza dell’accordo di pace firmato nell’agosto del 2015. Le violenze, durate molte ore, sono state perpetrate da un numeroso gruppo di militari dell’esercito governativo nel Terrain Hotel, un resort alla periferia della città dove alloggiavano operatori umanitari stranieri. In quei giorni a Juba gli stranieri, e in particolare i cittadini americani, erano diventati un target per i soldati governativi.

Il pubblico ministero, il colonnello dell’esercito Abubaker Mohammed, ha dichiarato che sono accusati di stupro, assassinio e razzia, una ventina di soldati governativi, tra cui ufficiali di grado superiore.

La guerra civile in Sud Sudan è stata caratterizzata da crimini efferati contro la popolazione civile, condotti nella totale impunità sia dalle forze governative che da quelle dell’opposizione.

Il processo è un test di grande importanza per giudicare della volontà effettiva del governo di cambiare registro, nella direzione di una pacificazione effettiva del paese e in supporto ad un dialogo nazionale iniziato tra le polemiche e duri combattimenti sui campi di battaglia.
(Reuters)

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lunedì 29 maggio 2017

"Alla luce del Sole", la campagna contro il caporalato. In Italia 400.000 nuovi schiavi

In Italia, ad oggi, si contano circa 400mila «schiavi», vittime del caporalato: questi i numeri emersi in occasione della presentazione della campagna contro il caporalato "Alla luce del sole" lanciata da Napoli dal Movimento cristiano lavoratori (Mcl) e che attraverserà tutto il Mezzogiorno. «Il caporalato è un fenomeno troppo grande e per troppo tempo sottovalutato, che è molto più diffuso di quanto si pensi e che coinvolge gli immigrati ma anche tantissimi italiani»

La campagna nasce con l'intento di «riportare il tema alla luce del sole, contro lo sfruttamento dei nuovi schiavi». I settori in cui il fenomeno è più presente sono l'agricoltura, l'edilizia e il turismo. «Davanti a questo fenomeno non possiamo rimanere indifferenti perché vorrebbe dire essere complici di un fenomeno drammatico che oggi rappresenta anche un business rilevante per le organizzazioni criminali»

«Il Movimento nella città di Napoli è da tempo impegnato per la tutela dei diritti dei tanti immigrati che arrivano qui con la speranza di un riscatto e che invece purtroppo trovano soltanto una nuova schiavitù»

«La lotta al caporalato è una battaglia che potrà essere vinta solo con l'accordo, con un patto il più esteso possibile, di tutte le parti sociali interessate a cominciare dai datori di lavoro. Per anni si è parlato di questa piaga in modo sommesso senza mai intervenire adeguatamente, neanche sul piano legislativo»

La nuova legge sul caporalato, approvata in via definitiva alla Camera ad ottobre, prevede pene severe e la confisca dei beni, non solo gli intermediari illegali, ma anche i datori di lavoro. Ci sarà anche un aiuto concreto alle vittime del caporalato, con l’estensione delle provvidenze del fondo anti-tratta.
(Il Mattino)


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"Lotta alle Moderne Schiavitù"
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Le donne ospiti del CARA di Mineo hanno paura di essere stuprate

Ingresso del Cara di Mineo, Catania
Il procuratore di Caltagirone: "registriamo molti casi di abusi (l’ultimo pochi giorni fa quando un pakistano ha violentato una nigeriana), il centro è ingestibile"

La ragazza è una ventenne nigeriana domiciliata nel Centro di accoglienza dei richiedenti asilo. Dopo aver divelto la porta, l’uomo ha fatto irruzione nel suo alloggio e ha abusato di lei.

Un cittadino pakistano di 33 anni, ospite del Cara di Mineo, è stato arrestato dal personale del Commissariato di pubblica sicurezza di Caltagirone e da quello della Questura di Rimini, con l’accusa di violenza sessuale nei confronti di una cittadina nigeriana, ospite del Cara. L’attività investigativa è cominciata quando la vittima ha sporto denuncia presso il posto di polizia del centro per richiedenti asilo confessando di essere stata oggetto di violenza sessuale da parte di un uomo che, dopo aver divelto la porta d’ingresso del suo alloggio, l’ha schiaffeggiata e denudata, e quindi ha abusato di lei.

A fermare l’abuso è stato un terzo uomo che, rientrando nell'abitazione, è stato attratto dalle urla della malcapitata e, andando in suo aiuto, ha trascinato all'esterno dello stabile il pakistano che poco prima aveva abusato dalla ragazza.

Il procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera lancia l’allarme. «L’arresto nei giorni scorsi di un pakistano per violenza sessuale commessa nei confronti di una nigeriana nel Cara di Mineo è l’ennesima conferma che la struttura, che ospita al momento circa 3.500 migranti, è ingestibile ed è un serio problema per l’ordine pubblico anche per i numerosi casi di abusi registrati e non tutti denunciati, tanto che lì ci sono molte donne che vivono con la paura di essere stuprate»
(Corriere della Sera)

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sabato 27 maggio 2017

G7, a Taormina anche un po' di Africa per parlare di migrazioni

Oggi sono arrivati a Taormina le delegazioni e i presidenti di cinque Paesi africani: Niger, Nigeria, Kenya, Tunisia, Etiopia

Secondo e ultimo giorno a Taormina per il G7 dei grandi della Terra. La giornata è iniziata presto nella "Perla dello Ionio", alle 8.30 cerimonia di benvenuto al San Domenico per i leader politici e i rappresentanti delle organizzazioni internazionali che oggi si uniscono ai Capi di Stato e di Governo dei Paesi G7.

A Taormina sono arrivati i leader di cinque Paesi africani, i cosiddetti “Outreach country”: il Presidente del Niger Mahamandou Issoufou, il Presidente del Kenya Uhura Kenyatta, il Presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi, il Vice Presidente della Nigeria Yemi Osinbajo e il Primo Ministro dell’Etiopia Haile Mariam Desalegn.

Ai lavori partecipano anche rappresentanti di organizzazioni africane: il Presidente di turno dell’Unione Africana Alpha Condé, il Presidente di turno della Commissione dell’Unione Africana Mahamat Moussa Faki, e il Presidente della Banca Africana per lo Sviluppo Akinwumi Adesina.


Al tavolo anche il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, il Segretario Generale dell’OCSE Angel Gurría, la Direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde e il Presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim.

È stato ovviamente Gentiloni ad aprire i lavori dando un cordiale benvenuto ai paesi ospiti di questa giornata che assume un aspetto rilevante soprattutto in tema di collaborazione internazionale: "Abbiamo messo al centro di questa sessione aperta i rapporti con l'Africa e la scelta di Taormina e della Sicilia dicono quanto è importante per noi il rapporto con l'Africa. Ci troviamo nel cuore del Mediterraneo e oggi la discussione si concentra sull'esigenza di partnership a tutto campo tra G7, organismi internazionali e Paesi africani"

Il premier italiano ha parlato anche di innovazione della produttività e della necessità di puntare su infrastrutture di qualità e investimenti per lo sviluppo del capitale umano e ha ricordato che «il prossimo G20, in programma il 7 e 8 luglio del prossimo anno in Germania, avrà una linea di continuità con l'incontro di oggi, dedicando attenzione particolare all'Africa e all'attrazione degli investimenti. L'agenda del G7 deve dialogare con quella per lo sviluppo per l'Africa, l'Agenda 2063, che è un caposaldo strategico per lo sviluppo del Continente»

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venerdì 26 maggio 2017

Egitto. Strage di cristiani-copti. Molti erano bambini

Uomini armati hanno fermato i bus con 50 pellegrini diretti a un monastero. Quando hanno rifiutato di convertirsi, li hanno uccisi. Molti erano bambini. Il dolore del Papa.

Il luogo dell'agguato
È di almeno 35 morti e 23 feriti il tragico bilancio, ancora provvisorio, dell'attacco a tre pullman di cristiani avvenuto stamani nell'ovest dell'Egitto. Le vittime sono pellegrini copti che erano diretti al monastero di Anba Samuel, sulla rotta desertica a ovest dell'Alto Egitto. Tra loro c'erano molte famiglie con bambini.

"Profondamente rattristato nell'apprendere dell'attacco barbaro nell'Egitto centrale e per la tragica perdita di vite e di feriti causati da questo atto di odio insensato. Papa Francesco esprime a sua solenne solidarietà a tutti i colpiti da questo violento oltraggio", così si legge nel telegramma inviato dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, al presidente Abdel al-Sisi. Il Pontefice ha rivolto un pensiero particolare ai bimbi uccisi.

L'attacco avviene alla vigilia del primo giorno del Ramadan, il mese sacro di preghiera e digiuno per gli islamici.

Le forze speciali egiziane hanno bloccato tutti punti d'ingresso e di uscita da Minya per impedire al commando di fuggire. Il presidente egiziano, Abdul Fattah al-Sisi, ha rafforzato lo stato di emergenza e ha convocato una riunione con i responsabili della Sicurezza.

L'agguato di un commando
I tre bus, con a bordo una comitiva di cinquanta persone, si dirigevano al monastero di Anba Samuel (San Samuele), vicino alla città di Minya, nel cuore dell’Alto Egitto. Non sono riusciti, però, a raggiungere il luogo sacro, meta di pellegrinaggio storica della comunità copta. Un commando armato li ha intercettati e attaccati.

Stando alla ricostruzione fornita dal ministero dell'Interno, tre automezzi con uomini armati hanno raggiunto il pullman mitragliandolo di colpi. I fondamentalisti, prima di colpire, sarebbero saliti a bordo del pullman, avrebbero rubato soldi e oro e poi, avrebbero intimato ai copti di convertirsi all'islam.

Quando questi hanno rifiutato, li hanno massacrati mentre filmavano la strage. È una delle versioni circolata nelle ultime ore, tuttavia non possiamo confermarla al cento per cento. Il come, tuttavia, conta relativamente. Il dato sconcertante è che 35 cristiani sono stati massacrati dai terroristi mentre andavano a un pellegrinaggio». Il massacro è avvenuto nei pressi di Manya, circa 250 chilometri a sud della capitale Il Cairo. Ad agire sarebbero stati almeno 10 uomini.

La folla dei cristiani davanti all'ospedale
di Maghagha in attesa di notizie
Il dramma dei bambini
Sul sito di Watani, l’organo di stampa dei copti d’Egitto e della diaspora, è apparsa una foto che ritrae tre bambini visibilmente spaventati, con delle macchie di sangue sul corpo e sui vestiti. L’anba Agathon, vescovo copto di Maghagha, la diocesi in cui si trova il monastero di Anba Samuel, li abbraccia lanciando questo appello. “Si tratta di tre ragazzi scampati all’attentato, di cui non è stato possibile rintracciare i genitori”. In attesa di contatti da parte dei loro parenti, Bishoy Wasif, Fadi Azar e Amir Adel, della parrocchia N. S. di Bani Mazar, rimarranno nella sede vescovile.

Il perché di questi attacchi
L'attentato di oggi colpisce la comunità cristiana copta nell'esercizio della fede, esattamente come è accaduto prima di Natale e prima di Pasqua. Allora si sono attaccate le chiese nel corso delle celebrazioni della Santa Messa, oggi si attaccano dei fedeli impegnati in un pellegrinaggio.

I Cristiani in Egitto sono bersaglio dell'estremismo islamico non solo tuttavia per una ragione di odio per una Fede diversa da quella dei terroristi, ma anche perché accusati di aver contribuito in modo decisivo alla destituzione nel 2012 del presidente Morsi, leader dei Fratelli Musulmani. "I terroristi stanno scappando da Mosul, e trovando per ora rifugio e solidarietà tra jihadisti egiziani, nel nord del Sinai e in alcune zone della Siria stessa"

Chi sono i cristiani copti d'Egitto
I cristiani copti sono circa otto milioni, il 10 per cento della popolazione dell'Egitto, la più grande comunità cristiana del Medio Oriente, la più importante minoranza del Paese dalle antichissime origini. I copti sono presenti in tutto il Paese e in tutte le categorie sociali, anche se loro si considerano fuori da alcuni settori come la giustizia, l'università o le forze dell'ordine.

I primi monaci copti vissero in Egitto nel IV secolo e la loro è stata una delle chiese a soffrire di più dall'avanzata islamica nel Nord Africa. Dopo il concilio Vaticano II, Chiesa cattolica e Chiesa copta hanno iniziato un cammino ecumenico di dialogo che ha portato nel 1973 al primo incontro, dopo quindici secoli, tra papa Paolo VI ed il patriarca dei copti, Shenuda III. Insieme decisero di iniziare un dialogo teologico, il cui frutto principale è stata la dichiarazione comune del 12 febbraio 1988. La maggior parte dei copti aderisce alla Chiesa ortodossa copta. Il resto del gruppo è spartito tra la Chiesa cattolica copta e varie confessioni cristiane protestanti.
(Avvenire)



Articolo a cura di
Maris Davis

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Nigeria, 27enne vince un premio internazionale con una "App" per docenti e studenti

Godwin Benson, 27enne nigeriano, riceve il premio della Royal Academy

Un'applicazione sviluppata da un 27enne nigeriano ha vinto il premio di ingegneria della britannica Royal Academy of Engineering (Africa prize for engineering innovation).

Con la sua app, Tuteria, Godwin Benson ha battuto 16 partecipanti, guadagnandosi il primo premio, pari a 32.000 dollari. Tuteria è una piattaforma che collega tutor qualificati agli studenti, tenendo conto della zona in cui vivono e del budget.

L'applicazione dispone di un sistema di rating e consente agli studenti di prenotare le lezioni utilizzando il pagamento online. I tutor sono pagati una volta che le lezioni sono state confermate, e Tuteria prende dal 15 al 30% di commissione per ogni lezione pagata.

Benson ha detto che prevede di utilizzare i soldi del premio per aumentare l'offerta di Tuteria "anche al di fuori della Nigeria" includendo anche lezioni online e corsi video.


Il premio all'innovazione tecnologica è stato lanciato nel 2014 ed è dedicato agli innovatori provenienti dall'Africa Sub-Sahariana

Altri progetti di ingegneria in gara, comprendevano un sistema che riduce la quantità di energia utilizzata per il riscaldamento dell'acqua, un'applicazione che controlla il consumo di acqua e una giacca intelligente che identifica la polmonite.
(BBC)

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Orrore. Le Nazioni Unite eleggono il Sudan alla Vice-Presidenza per i Diritti Umani

L’organizzazione UN Watch, sede a Ginevra, fondata nel 1993 con lo scopo di monitorare che gli atti dell’Onu siano coerenti con i principi della sua carta costitutiva, ha condannato l’elezione del Sudan alla vice presidenza del comitato delle Nazioni Unite che supervisiona il lavoro delle Organizzazioni non governative (Ong) e degli attivisti che si occupano di diritti umani, in collaborazione con le Nazioni Unite stesse.

UN Watch sottolinea che il governo sudanese perseguita regolarmente organizzazioni ed attivisti che si occupano della tutela dei diritti umani, mentre il suo presidente, Omar al Bashir, ricercato dalla Corte penale internazionale per 10 capi di accusa, 3 dei quali per genocidio, per episodi avvenuti in Darfur, è ancora a piede libero.

Eleggere il Sudan per supervisionare il lavoro degli attivisti per i diritti umani all’Onu è come mettere una volpe a guardia di un pollaio, mentre si sta ancora pulendo la bocca dalle piume rimaste dopo l’ultimo pasto. Questa elezione è assurda e getta un’ombra sulla reputazione dell’Onu in generale

La maggioranza dei 19 membri del comitato è costituito da regimi e dittature ostili agli attivisti per i diritti umani. Tra gli altri, ne sono membri Iran, Turchia, Burundi, Cina, Russia e Pakistan.

Questo sottolinea fino a che punto questo comitato, che ha il potere di sospendere le credenziali Onu per i gruppi che si occupano di diritti umani, è stato sequestrato dalle peggiori dittature del mondo
(Canada Freepress)

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Etiopia. Sei anni e mezzo di carcere a oppositore per aver postato su Facebook

Yonathan Tesfaye, oppositore politico etiope
In Etiopia, l’oppositore Yonathan Tesfaye è stato condannato ieri a sei anni e mezzo di carcere per una serie di post su Facebook. Tesfaye, portavoce di un importante partito dell’opposizione etiope, il Bleu Party, è stato arrestato nel dicembre 2015 dopo la pubblicazione sul social network di una serie di post a sostegno delle proteste del 2015 e 2016 delle popolazioni Oromo e Amhara.

Nel tentativo di riacquistare il consenso internazionale dopo le sanguinose e brutali repressioni (669 morti accertate), il regime aveva denunciato la manipolazione le proteste da parte di gruppi estremisti con sede all'estero.

Al termine di un processo durato due anni, la Corte ha giudicato i suoi commenti pubblici a sostegno dei manifestanti, sufficienti ad accusarlo di complicità con l'Oromo liberation front (Olf), movimento armato e sostenuto dal nemico eritreo, accusato dal regime di aver foraggiato i disordini.

Il Blue Party ha annunciato che presenterà un ricorso contro il verdetto.

Il giorno prima anche un giornalista, Getachew Shiferaw, è stato condannato per incitamento al terrorismo per ragioni analoghe. Il suo verdetto è atteso nelle prossime settimane.
(Rfi Afrique)

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Kenya. Al-Shabaab uccide altri cinque agenti a Liboi

Sale il numero di poliziotti uccisi negli ultimi giorni nel settore orientale del Kenya, vicino al confine con la Somalia. Ieri altri cinque agenti sono morti e uno è rimasto ferito quando l’auto su cui viaggiavano ha colpito un ordigno posizionato sulla strada nei pressi di Liboi, nella contea di Garissa.

Solo ventiquattrore prima altri tre poliziotti avevano perso la vita nello stesso modo e nella stessa zona, e altri cinque erano morti più a nord, a Mandera quando un convoglio di mezzi che trasportava alcuni politici, tra cui anche il governatore della contea, Ali Roba, è saltato su una mina posizionata lungo la strada.

Un nono poliziotto è morto a causa delle ferite riportate la notte scorsa portando a 14 il numero di vittime dei tre atti terroristici, i primi due dei quali sono stati rivendicati dal movimento jihadista somalo Al-Shabaab.

L’allarme tra le forze dell’ordine era alto da lunedì, quando con un comunicato l'ispettore generale di polizia, Joseph Boinnet, aveva avvertito che ci sarebbero stati attacchi imminenti contro gli ufficiali: i militanti di al-Shabaab, aveva detto Boinnet, "stanno inviando operativi in varie parti della regione nordorientale, per posizionare ordigni esplosivi (Ied) lungo i percorsi utilizzati dalle nostre pattuglie, con l’intento di fiaccare le operazioni di sicurezza nelle aree di confine"
(Capital FM)

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giovedì 25 maggio 2017

Burundi. In fuga dalle persecuzioni del regime oltre 400mila persone

Il deterioramento delle condizioni politiche e dei diritti umani in Burundi sta causando la fuga di un numero crescente di cittadini che cerca rifugio nei paesi vicini.



L'agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) - leggi - riferisce che oltre 410.000 rifugiati sono scappati oltre confine negli ultimi due anni, da quando il presidente Pierre Nkuruziza ha ottenuto in modo incostituzionale un terzo mandato, imponendo un feroce regime, e il numero dovrebbe aumentare drammaticamente entro la fine dell'anno, secondo il portavoce dell'Unhcr, Babar Baloch.

"I rifugiati che arrivano continuano a citare abusi dei diritti umani e paura di persecuzioni e violenza sessuale e di genere, come motivi per fuggire. Stando all'attuale situazione politica si prevede che la popolazione totale dei rifugiati del Burundi arriverà ad oltre mezzo milione entro la fine del 2017"

La gran parte dei rifugiati burundesi (circa 249.000 persone) sono ospitati in tre campi sovraffollati in Tanzania. Decine di migliaia di altri vivono in Rwanda, Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Ma, denuncia l’agenzia Onu, alcuni paesi di asilo starebbero respingendo nel paese d’origine i nuovi rifugiati.

Il nuovo esodo, inoltre, sta mettendo a dura prova la stessa Unhcr che ha fatto sapere d’aver ricevuto finora solo il 2% dei 250 milioni di dollari necessari a soccorrere la popolazione.
(Voice of Africa)

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È etiope il primo africano alla guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità

L’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, biologo 52enne è il primo africano alla guida dell'organizzazione. Ha battuto altri tre candidati tra cui l'italiana Flavia Bustreo e rimarrà in carica fino al 2022. È stato eletto ieri nuovo capo dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), diventando così il primo africano a guidare l'agenzia per la salute delle Nazioni Unite.

L'ex ministro della Sanità del governo etiope ha battuto anche altri due candidati forti: il britannico David Nabarro e la pachistana Sania Nishtar.

"Tutte le strade portano ad una copertura universale: questa sarà la mia priorità centrale", ha detto Tedros ai ministri della sanità durante l'assemblea annuale dell'Oms, dopo la sua elezione. "Al momento, solo circa la metà della popolazione mondiale ha accesso all'assistenza sanitaria senza impoverimento. Questo deve migliorare drammaticamente"

Tedros ha ottenuto il sostegno di circa 50 voti africani, nonostante le critiche sul suo ruolo come ministro del governo nella repressione dei diritti umani in Etiopia e sulla scarsa copertura sanitaria di parte della popolazione che ha causato di recente nel suo paese un’epidemia di colera. Tra i suoi critici vi è anche l’atleta etiope rifugiato politico Feyisa Lilesa.
(Al Jazeera)

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