lunedì 29 luglio 2019

Bonifica del Tronto. Operazione contro la mafia nigeriana, coinvolto anche un fiancheggiatore italiano

La scorsa settimana una vasta operazione della squadra mobile di Teramo ha eseguito sei misure cautelari. Arrestate 4 mamam e un italiano che affittava gli appartamenti. Una sesta donna nigeriana è sfuggita alla cattura e viene ricercata.


Dodici le ragazze nigeriane sottoposte a sfruttamento che sono state liberate e affidate ai servizi sociali.
A conclusione di una complessa attività di indagine sulla tratta di esseri umani, lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione ed il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina condotta dalla Squadra Mobile di Teramo diretta dal V.Q.A. Dott.ssa Roberta Cicchetti con il coordinamento della Procura Distrettuale di L’Aquila nella persona del Sost. Proc. Dott. Mancini David e con l’applicazione del Sost. Proc. Dott. Giovagnoni Stefano, la scorsa settimana e stata data esecuzione all'ordinanza applicativa di misura cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di L’Aquila, nei confronti di 6 persone con la quale è stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di 4 donne nigeriane e la misura degli arresti domiciliari nei confronti di un cittadino italiano. È ancora da eseguire un'altra misura applicativa della custodia cautelare in carcere a carico di una donna nigeriana al momento irreperibile.

Sei persone sottoposte a misure di custodia cautelare, 5 donne nigeriane e un italiano
I reati contestati a vario titolo agli arrestati sono sfruttamento della prostituzione, tratta di esseri umani, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, e riduzione in schiavitù.

Le 4 mamam tratte in arresto sono:
  • Solomon Elizabeth Rashidat nata in Nigeria il 12.10.1978 residente a Martinsicuro,
  • Obanor Vera nata in Nigeria il 01.10.1975 residente a Martinsicuro (TE),
  • Adam Succes nata in Nigeria il 17.06.1987residente a Martinsicuro (TE),
  • Osazuwa Kate nata in Nigeria il 01/04/1984 residente a Monsampolo (AP).
Il destinatario italiano della misura cautelare degli arresti domiciliari per favoreggiamento della prostituzione è Di Sabatino Gerardo nato a Teramo il 03.11.1957 ed ivi residente, rispettivamente proprietario e comproprietario di due degli appartamenti di dimora di giovani prostitute nigeriane.

Dodici ragazze nigeriane salvate
Le indagini, corredate da attività tecniche, sono state avviate dalla Squadra Mobile di Teramo monitorando costantemente la zona della strada “Bonifica del Tronto” allo scopo di interrompere il costante flusso di giovanissime donne nigeriane, reclutate in patria con la promessa di un lavoro in Europa e poi fatte giungere clandestinamente attraverso disperati viaggi lungo la rotta mediterranea, sottoposte a riti woodoo a garanzia del pagamento del debito per il viaggio (pari 25.000 o 30.000 euro) ed, una volta arrivate in Italia, costrette con violenza, minacce a prostituirsi consegnando i proventi a chi le aveva reclutate in patria ed ai loro referenti in Italia.

Nel corso dell’attività investigativa sono state individuate ed identificate ben 12 giovani vittime dimoranti in 5 appartamenti di cui 4 ubicati a Martinsicuro (TE) ed uno a Monsampolo del Tronto (AP) affittate dai rispettivi proprietari alle loro connazionali destinatarie delle predette misure cautelari in carcere.

In particolare, si è accertato che Solomon Elizabeth Rashidat, Obanor Vera e Adam Success sfruttavano la prostituzione delle giovani donne nigeriane ospitate in casa in quanto ne percepivano i proventi ed in molti casi costituivano un vero e proprio terminale di supporto dell’organizzazione nigeriana che ne aveva curato il reclutamento, sottoposte ai rituali juju in Nigeria e quindi il viaggio in Italia.

Si accertava che alcune delle vittime si trovano ancora in una condizione di assoggettamento totale a Osazuwa Kate che le costringe a prostituirsi per estinguere il loro debito, picchiandole e minacciandole di procurare del male ai loro familiari in Nigeria.

Il percorso di assistenza alle giovani vittime ha consentito ad alcune di loro, nel corso delle indagini, a raccontare tra le lacrime, a personale della Squadra Mobile di Teramo, la storia di drammatica vulnerabilità vissuta fin dal momento del reclutamento ad opera dell’organizzazione in Nigeria, a Benin City, con la promessa di un lavoro e di un futuro migliore, fino in Italia.

Ad esempio, si narra specificamente della conduzione del rito da parte di un uomo anziano chiamato Witch Doctor a garanzia del pagamento del debito di 25.000 euro contratto per il viaggio, pena, in caso di mancato pagamento, la sua morte e ritorsioni verso i propri familiari. I singoli casi sono in realtà storie condivise da molte vittime.

Una delle vittime, partita nel marzo del 2016 da Benin City con altre persone, dopo aver attraversato il Niger, arriva a Tripoli 8 giorni dopo. La donna racconta che una compagna di viaggio aveva perso la vita durante il percorso, picchiata per le continue pretese di denaro è caduta dal pick-up, sul quale viaggiavano ammassati.

Dopo essere stata trattenuta per oltre due mesi in abitazioni vicino a Tripoli, in cui vi erano molti altri connazionali in attesa di intraprendere il viaggio verso le coste italiane, la vittima parte a bordo di un barcone dalle coste libiche, arriva in Italia nel luglio 2016. Subito dopo viene “presa in carico” dalla mamam Osazuwa Kate che la costringe a prostituirsi.

Le indagini proseguono
Le indagini proseguono per monitorare fenomeni analoghi che rappresentano una violazione della dignità umana e dei diritti fondamentali, oltre che un mezzo di realizzazione di profitti elevati per la mafia nigeriana, che non può essere in alcun modo tollerato.




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Nigeria. Boko Haram fa strage ad un funerale, spari sulla folla. Almeno 65 morti

Ancora un sanguinoso attacco dell'organizzazione terroristica islamista nigeriana di Boko Haram nel Nord Est del Paese africano. Un gruppo di uomini armati hanno fatto irruzione durante un funerale sparando contro gente inerme, donne e bambini compresi.


Sono almeno 65 le vittime ma il bilancio è in continuo aggiornamento. Almeno una decina i feriti in gravi condizioni. Sono arrivati bordo di motociclette, jeep e pickup armati con mitragliatrici pesanti. L'attacco, avvenuto sabato 27 luglio verso mezzogiorno, si configura come il più grave sferrato contro civili dall'inizio dell'anno.

I terroristi islamici di Boko Haram sono tornati a colpire in Nigeria, facendo irruzione ad un funerale e sparando sulla folla. Almeno 65 morti, ma il bilancio dell'attacco, raccontano dei testimoni alla Bbc, potrebbero essere molti di più. L'attacco è avvenuto in un villaggio nei pressi di Maiduguri, capoluogo dello stato settentrionale del Borno. Hanno sparato a raffica sulla folla colpendo anche donne e bambini.

Secondo diverse fonti, si sarebbe trattato di una rappresaglia nei confronti degli abitanti del villaggio che avevano respinto un attacco di Boko Haram nell'area due settimane fa.

Sconfitta militarmente sul territorio dopo la proclamazione dello Stato Islamico di Nigeria da una coalizione di eserciti che, oltre a quello nigeriano, comprendeva anche quelli del Niger, del Camerun e del Ciad, la sanguinaria setta ha ricominciato una escalation di attacchi nella sua tradizionale zona di influenza, il nord-est della Nigeria, dopo avere esteso la sua guerra anche ai vicini Niger, Ciad e Camerun.

In 10 anni di terrorismo, Boko Baram (nome che vuol dire «l'educazione occidentale è peccato») ha provocato la morte di decine di migliaia di civili,  (si parla di 25.000 civili uccisi in dieci anni) e almeno due milioni e mezzo di sfollati, ha rapito centinaia di ragazze convertendole forzatamente all'islam e dal 2015 è indicata come l'organizzazione terroristica più sanguinaria al mondo dal "Think tank Institute for Economics and Peace"
(Il Messaggero)


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venerdì 26 luglio 2019

Un'altra ecatombe nel Mediterraneo, si temono oltre 150 morti

Nuova tragedia dell'immigrazione. Potrebbero essere 150 i morti del naufragio avvenuto al largo delle coste di Al Khoms, in Libia.


Lo scrive su Twitter il portavoce dell'Unchr per l'Africa, Mediterraneo e Libia, Charlie Yaxley, che chiede "un cambio di approccio nella gestione dei flussi migratori, è urgente salvare le vite in mare"

Le notizie che arrivano parlano di un grande naufragio al largo delle coste della Libia, sarebbero state salvate 150 persone e riportate in Libia: uno dei sopravvissuti riferisce che un grande gruppo è morto in mare, le stime parlano di 150 vittime, riferisce il portavoce, che aggiunge come fra i morti "ci sono donne e bambini"

"E se queste cifre sono corrette si tratta della peggiore perdita di vite umane nel Mediterraneo nel 2019. Un dato che ci ricorda, se necessario, che ci deve essere un cambio di approccio sulla situazione nel Mediterraneo. E' urgente salvare vite in mare. Lo status quo non può continuare. Non possiamo ignorare che i viaggi sui barconi sta diventando sempre più letali. Quest'anno, nei viaggi dalla Libia verso l'Europa, è morta una persona ogni sei che sono arrivate sulle coste europee. È un dato sconvolgente, non possiamo girarci dall'altra parte"

"La peggiore tragedia nel Mediterraneo di quest'anno" scrive su Twitter anche l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi. "Deve riprendere ADESSO il soccorso in mare, la fine dei campi di detenzione dei migranti in Libia, aumentando i percorsi sicuri per uscire della Libia, prima che sia troppo tardi per molta gente disperata"


Secondo quanto comunica la Marina libica, dopo il naufragio risultano dispersi 115 migranti. Il portavoce Ayoub Qasim ha spiegato all'agenzia Dpa che erano 250 i migranti a bordo dell'imbarcazione affondata e che 134 sono stati salvati dalla Guardia Costiera libica, mentre è stato recuperato il corpo senza vita di un'altra persona. "Le altre persone risultano ancora disperse", ha precisato Qasim, aggiungendo che "tra le persone tratte in salvo ci sono migranti di Paesi arabi e africani"

"I nostri team in Libia stanno assistendo 135 sopravvissuti del naufragio avvenuto oggi al largo di Khoms, a est di Tripoli. Sono stati salvati da dei pescherecci e i testimoni oculari parlano di almeno 70 corpi in acqua" si legge in un tweet di Medici Senza Frontiere (Msf). Julien Raickman, capomissione di Msf in Libia, parla di "oltre 100 dispersi, di cui molti potrebbero essere annegati, stando alle prime testimonianze dei sopravvissuti visitati da Msf"

"Sono povere vittime della ferocia di questo mondo" commenta il direttore del Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati), Mario Morcone.

Il Mediterraneo è sempre più un cimitero. Ora basta, scrive su Facebook Mediterranea Saving Humans, Fermiamo questa strage. I governi europei si adoperino per creare corridoi umanitari subito, per evacuare le donne, gli uomini e i bambini rinchiusi nei campi di concentramento libici. In mare c'è bisogno di soccorso. C'è bisogno anche di noi"

Il barcone era partito come detto da Khoms, porto libico a circa 120 chilometri a est di Tripoli. A bordo, secondo i primi racconti dei sopravvissuti, c'erano circa 300 persone, ma non è ancora chiaro se nel naufragio siano rimasti coinvolte due imbarcazioni o una sola. I superstiti sono stati soccorsi da un pescatore e poi restituiti alla guardia costiera.

I grandi promotori del Decreto Sicurezza, pensato e voluto per fermare in ogni modo il soccorso in mare, hanno avuto oggi il loro sacrificio umano: 150 persone, tra donne uomini e bambini, sono naufragate e affogate al largo di Khoms, a 120 km a est di Tripoli.

Persone, non numeri o rifiuti. Persone che tentavano disperatamente di fuggire dall'inferno della Libia, dai campi di concentramento dove subiscono abusi di ogni tipo, dove devono assistere agli omicidi, agli stupri, alle torture fatte su madri, padri, figli.

Il Governo Italiano ha dunque la strage che vuole oggi, a disposizione, per rappresentare ciò che costituisce il vero obiettivo di un Decreto che non riguarda la sicurezza di nessuno, che non ha a che fare con le urgenze di questo paese, che non porterà maggiore ordine e maggiore stabilità.

Il Decreto è l'ennesima triste pagina di una escalation contro chi osa provare a salvare una vita in mare. Perché si deve sapere, tutti lo devono sapere, che quella gente, quei bambini, possono pure morire tra le onde, possono marcire in uno stanzone putrido senza cibo e acqua, possono urlare dal dolore che viene impresso nel loro corpo, ma assolutamente, non devono provare ad arrivare in Italia.

Che muoiano lì, che tornino indietro, che affoghino, basta che non arrivino
"Sono calati gli sbarchi", dirà l'epigono contemporaneo della banalità del male. "Niente più ONG, che sono taxi del mare", lo seguirà a ruota il codardo compagno di merende. Ed ecco oggi, dal mare, quelle grida soffocate che non ascolta nessuno.

Eccoli i sacrifici umani per voi, tiranni che potete permettere la vita e dare la morte. Inchiniamoci tutti davanti a questo orribile rituale. Abbassiamo la testa, che quelle vittime non possiamo nemmeno guardarle negli occhi. Abbassiamo la testa, perché non riusciamo a fare abbastanza di fronte a questo orrore, ostentato come trofeo ai quattro venti.

L'arroganza al potere vuol farci ritornare indietro nel tempo. Al tempo dell'Uomo di Monaco, al tempo dei fili spinati




Articolo a cura di
Maris Davis


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sabato 20 luglio 2019

Coppa d'Africa. Ha vinto l'Algeria, un auto-goal a inizio gara ha deciso la finale con il Senegal

Coppa d'Africa 2019, manifestazione che si è tenuta in Egitto. La finale termina 1-0, rete al 2' di Bounedjah, il cui tiro è deviato in maniera decisiva da Sané. Erano 29 anni che le 'Volpi del Deserto' non si imponevano nella manifestazione africana.


L'Algeria ha vinto la Coppa d’Africa battendo in finale il Senegal per 1 a 0. Per la nazionale di Riyad Mahrez, Sofiane Feghouli e Ismaël Bennacer è il primo titolo dal 1990, e il secondo nella sua storia. Il gol decisivo lo ha segnato Baghdad Bounedjah, attaccante della squadra qatariota dell’al Saad, che ha portato in vantaggio l’Algeria al secondo minuto, su deviazione decisiva del senegalese Sané. La finale si è giocata al Cairo, in Egitto.

La squadra nordafricana ha mantenuto un assetto piuttosto difensivo per il resto della partita, finché nel secondo tempo al Senegal è stato concesso inizialmente un rigore per un tocco di mano, ma poi revocato dal VAR.

Il Senegal, una delle nazionali da sempre più forti e prestigiose dell’Africa, non ha mai vinto il titolo, e arrivava al torneo di quest’anno con un’ottima squadra, guidata dall'attaccante del Liverpool Sadio Mane.

Per le posizioni di rincalzo la Nigeria batte la Tunisia per 1-0 nella finale di consolazione e finisce al terzo posto.

Nella storia della manifestazione sportiva del calcio africano che ha avuto inizio nel 1957, l'Egitto che quest'anno ospitava la Coppa d'Africa, è la nazione che l'ha vinta più volte, sette. L'Algeria, vincitrice di questa edizione, non vinceva dal lontano 1990. La Nigeria ha vinto tre edizioni (1980, 1994, 2013). Il Senegal, considerata una delle nazionali di calcio più forti del continente africano, non ha mai vinto.


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venerdì 19 luglio 2019

Mafia Nigeriana. Sgominata cellula dei Maphite attiva in Emilia Romagna. Svelati i segreti della "Green Bible"

Provvedimenti restrittivi per gli appartenenti al culto 'Maphite', assoggettati a un rigido 'manuale di comportamento', oltre che a un rito di iniziazione codificato nella Bibbia Verde (Green Bible)


Sono 19 i fermi eseguiti dalla squadra mobile della Questura di Bologna, in collaborazione con i colleghi di altre province dell' Emilia Romagna e di Bergamo, in un'operazione contro la mafia nigeriana. Altre due persone che si trovano all'estero saranno raggiunte da un mandato d'arresto europeo. Agli indagati è contestata l'associazione di tipo mafioso.

I provvedimenti restrittivi e una serie di perquisizioni, emessi dalla Dda e dalla Procura della Repubblica di Bologna, colpiscono un elevato numero di appartenenti al culto 'Maphite' (o Green Circuit association), molto diffuso e potente, fino ad oggi rimasto all'ombra rispetto alle altre cosche. Le città coinvolte sono Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Forlì, Cesena, Ravenna e Bergamo.


Parla il Procuratore Capo di Bologna Amato

Tra i destinatari non solo i semplici "soldati" ma anche soggetti che ricoprivano un ruolo di primo piano all'interno dell'organizzazione criminale. In particolare: coloro che decidevano le nuove iniziazioni, gestivano la prostituzione, mantenevano i rapporti di forza con le altre organizzazioni criminali e organizzavano lo spaccio di droga nelle piazze cittadine.

L'operazione di polizia ha impiegato più di trecento poliziotti

Così è strutturata la mafia nigeriana
L’indagine, avviata nel 2017, grazie anche alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ha consentito di ricostruire ruoli, gradi, gerarchie e regole di funzionamento all'interno dell’organizzazione criminale, nonché i diversi reati che hanno permesso all'organizzazione stessa la propria sopravvivenza e il dominio in alcuni ambiti criminali, spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, uso indebito di strumenti di pagamento elettronico, oltre a frequentissimi e violenti scontri con organizzazioni criminali nigeriane contrapposte.

Tipico e conosciuto soltanto dagli adepti il modo di comunicare, i rituali, e un prestabilito modo di ingresso all'interno dell’organizzazione, di affiliazione, rigidissime le regole di comportamento e puntualmente codificate che ripercorrono in parte quelle più conosciute delle organizzazioni di tipo mafioso italiane.


Green Bible. Il codice della 'Bibbia Verde'
La mafia nigeriana aveva un codice chiamato la 'Green Bible'. Un vero e proprio manuale di istruzioni per gli affiliati, nel quale, per esempio, il piano di riciclaggio di denaro nei Paesi di origine era indicato come 'Mario Monti'. Grazie alla 'Bibbia Verde', contenuta in un pacco inviato dalla Nigeria all'Italia e intercettato a Torino, gli investigatori sono riusciti a ricostruire la struttura del clan Maphite, le regole, le cariche e le investiture, i riti di iniziazione, le punizioni.

Il giuramento col fuoco per entrare nel clan
"Giuro di essere leale e fedele all'organizzazione dei Maphite. Se domani deciderò di svelare questi segreti, questo fuoco brucerà me e le cose che mi appartengono; ovunque mi trovi i Maphite mi faranno a pezzi sino alla morte". I nuovi affiliati che entravano a far parte della mafia nigeriana erano sottoposti ad una sorta di rito tribale, prima venivano picchiati dagli altri membri e poi dovevano tenere tra le mani dei pezzi di carta infuocati, per dimostrare il loro valore.


La spartizione dell'Italia tra diverse "famiglie"
Gli investigatori bolognesi sono riusciti a ricostruire la spartizione del territorio delle diverse famiglie che facevano parte del clan Maphite. La 'Famiglia Vaticana', oggetto dell'indagine, egemone oltre che in Emilia-Romagna anche in Toscana e Marche. La 'Famiglia Latino', nell'Italia nord-occidentale, la 'Famiglia Rome Empire', nel centro Italia e la 'Famiglia Light House of Sicily', presente in Sicilia e Sardegna.

Per rappresentare il potere sul territorio ed essere riconosciuti dai loro connazionali, gli affiliati del culto nigeriano Maphite indossavano baschi o abiti con il colore verde.

I rami dell'indagine
L'inchiesta ha riguardato anche il Piemonte, dove sono stati impegnati centinaia di agenti. L'operazione di polizia, che ha permesso di smantellare una cosca della mafia nigeriana, ha condotto all'esecuzione di decine di fermi anche a Torino.

"Simili alle organizzazioni mafiose italiane"
"È la prima volta in Emilia-Romagna, e una delle prime in Italia, che viene contestata l'associazione di tipo mafioso a una organizzazione nigeriana", ha detto il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato. "Nel corso delle indagini abbiamo apprezzato tutti i tratti caratteristici dell'associazione mafiosa, come l'intimidazione violenta e l'assoggettamento dei connazionali nigeriani. Abbiamo sgominato i vertici e acceso un faro su un fenomeno criminale importante, dotato di una struttura verticistica e di un organigramma che emula le nostre organizzazioni criminali, come la Mafia siciliana e la 'Ndrangheta. L'eroina gialla che in questi mesi ha creato grossi problemi per la salute pubblica e decessi per overdose è un prodotto che viene introdotto sul mercato proprio dalle associazioni criminali nigeriane"

Alla faccia di chi negava l'esistenza della Mafia Nigeriana in Italia
- La Mafia Nigeriana in Italia -
(Il Resto del Carlino Bologna)


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giovedì 18 luglio 2019

OMS. Epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo, ora è "Emergenza Mondiale"

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato l'epidemia di ebola nella RD del Congo come un'emergenza mondiale. Secondo l'Unicef contagiati 750 bambini.


Il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato che "è il momento che il mondo prenda atto dell'epidemia", ma ha raccomandato che le frontiere con i paesi vicini restino aperte. Finora ebola ha ucciso quasi 1.700 persone in poco più di un anno. Il Rwanda ha sconsigliato i viaggi 'non indispensabili' nella vicina Repubblica Democratica del Congo senza però chiudere il confine.

Cresce l'allarme per l'epidemia di Ebola in corso nella Repubblica democratica del Congo. Oggi l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha deliberato lo stato di 'Emergenza Internazionale di Salute Pubblica'. La decisione è stata presa dal Comitato istituito dall'Oms, che si è riunito a Ginevra per la quarta volta dall'inizio dell'epidemia nel paese africano, lo scorso ottobre. Ieri il Rwanda, confinante con la città di Goma, aveva sconsigliato i viaggi 'non indispensabili' in Rdc senza però chiudere il confine.

Nei giorni scorsi il virus è arrivato per la prima in una grande città della Repubblica democratica del Congo. Si tratta di Goma ai confini con Rwanda, dove ieri è morto il pastore infettato, che aveva viaggiato in autobus dalla città nord-orientale di Butembo, e dove "i casi sospetti sono 22 non direttamente correlati a quello del pastore". I contatti diretti con l'uomo sono stati sottoposti a vaccinazione.

L'Oms aveva valutato già nel giugno scorso l'opportunità di decretare lo stato di emergenza sanitaria internazionale per l'Ebola in Rdc, concludendo tuttavia che, benché ci fosse "grande preoccupazione, anche perché la risposta continua a essere insidiata dalla carenza di fondi adeguati e di risorse umane dedicate", l'epidemia allora non costituiva un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.

"La dichiarazione è una misura che riconosce il possibile aumento del rischio nazionale e regionale, e il bisogno di una azione coordinata e intensificata per gestirlo"

Ora a preoccupare gli esperti è l'espansione geografica dell'epidemia, con i casi che ora coprono un'area di 500 chilometri quadrati. "Nessun paese dovrebbe chiudere i propri confini o porre restrizioni ai viaggi o ai commerci. Queste misure sono implementate di solito in base alla paura e non hanno basi scientifiche". La risposta, ha sottolineato il direttore generale Oms Thedros Adhanom Ghebreyesus, è stata ritardata anche dalla mancanza di fondi.

"È tempo che il mondo prenda coscienza e raddoppi gli sforzi. Dobbiamo lavorare insieme in solidarietà con il Congo per mettere fine all'epidemia e costruire un sistema sanitario migliore. Un lavoro straordinario è stato fatto per quasi un anno nelle circostanze più difficili. Dobbiamo a questi operatori un contributo maggiore"

Fino ad oggi, a causa dell'ultimo focolaio, quasi 2.500 persone sono state contagiate in Congo, di cui 1.665 sono morte. E la situazione era stata giudicata particolarmente allarmante già nei giorni scorsi, dopo il primo contagio avvenuto a Goma, grande città nell'est del Congo.

"Se l'epidemia si dovesse diffondere in una città di oltre un milione di abitanti come Goma sarebbe un vero e proprio disastro umanitario"

Anche l'Unicef lancia un allerta per la tragedia che sta colpendo in particolar modo i bambini. In Congo 750 bambini sono stati colpiti dal virus Ebola (31% dei casi) ed il 40% ha meno di 5 anni. Questa epidemia, ha avvertito Marixie Mercado, portavoce dell'Unicef al Palazzo delle Nazioni a Ginevra, "sta contagiando un maggior numero di bambini rispetto alle precedenti. Al 7 luglio, si erano verificati 750 contagi fra i bambini. Questo numero rappresenta il 31% del totale dei casi, rispetto a circa il 20% nelle epidemie precedenti"

I bambini piccoli, con meno di 5 anni, sono particolarmente colpiti e a loro volta stanno contagiando le donne. Fra gli adulti, le donne rappresentano il 57% dei casi. Il portavoce dell'Unicef ha inoltre sottolineato che il tasso di mortalità della malattia per i bambini con meno di 5 anni è del 77%, rispetto al 67% di tutti i gruppi di età. "Prevenire i contagi fra i bambini deve essere al centro della risposta all'Ebola", ha affermato. E c'è anche un'altra grave emergenza che sta emergendo: "I bambini che sono rimasti orfani a causa della malattia hanno bisogno di cure e supporto a lungo termine, fra cui la mediazione con le famiglie allargate che però si rifiutano di accoglierli per paura di essere a loro volta contagiati"

Dobbiamo ricordare che l'epidemia è scoppiata in una zona di guerra, dove scorrazzano bande armate e le violenze, anche contro la popolazione civile, sono all'ordine del giorno. Operatori sanitari e volontari stanno lavorando in condizioni estreme e rischiano concretamente la propria vita per cercare di circoscrivere il contagio e aiutare la popolazione colpita dal virus.
(La Repubblica)

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Uccise Anthonia e la gettò nel fiume. La Cassazione conferma 25 anni, ma lui è fuggito

Anticipò in un romanzo l'omicidio di una prostituta. Ora è latitante.

Anthonia, aveva 20 anni quando fu uccisa
Daniele Ughetto Piampaschet, uccise Anthonia Egbuna, nigeriana allora ventenne, e poi gettò il suo corpo nel fiume Po'. Condannato definitivamente a 25 anni, è sparito nel nulla.

Qualcuno lo ha soprannominato lo "scrittore assassino", e secondo la Cassazione lo è, visto che lo ha condannato in via definitiva. Daniele Ughetto Piampaschet è accusato di aver anticipato in un libro i contorni del delitto, che poi avrebbe commesso. Ora l'aspirante romanziere torinese è latitante, non ha atteso le manette, ed è svanito nel nulla.

Deve scontare 25 anni di carcere, ma dal 3 luglio ha fatto perdere le sue tracce e le ricerche, fino ad ora, sono state senza esito. Il Piampaschet si è sempre dichiarato innocente per il delitto della ragazza nigeriana con cui ha avuto anche una breve relazione.

La ragazza fu trovata senza vita, con segni di numerose coltellate, il 26 febbraio 2012 sul greto del Po', nel torinese. Un particolare già scritto in precedenza da Daniele Ughetto nel suo romanzo, e mai pubblicato, 'La rosa e il leone'. Coincidenza inquietante, che aveva attirato su di lui i sospetti.

Daniele Ughetto Piampaschet
Ma non tutti negli anni lo hanno ritenuto colpevole, infatti la sua è stata una vera odissea giudiziaria. Fu assolto in primo grado, poi fu condannato in appello a 25 anni e 6 mesi per omicidio volontario, era il 2015. Nel 2016 la Cassazione aveva annullato la sentenza e rinviato il caso alla Corte d'assise d'Appello. Un via vai dalle aule fino allo scorso 2 giugno, quando è arrivata la condanna definitiva.

"L'attesa giudiziaria mi ha cambiato la vita. Ora vivo in campagna con la mia famiglia. Conduco una vita raccolta, sto ristrutturando un casolare e continuo a scrivere", aveva detto dopo uno dei tanti processi. Ma il carcere no, e quando i carabinieri si sono recati a Giaveno (Torino) per arrestarlo, lui non c'era. C'era però il padre che li ha aggrediti rimediando un arresto per resistenza a pubblico ufficiale.

Ora di Daniele Ughetto Piampaschet non si sa nulla, il telefono è staccato, e gli appelli degli investigatori e del suo avvocato difensore sono caduti nel vuoto. Chi lo conosce pensa si sia nascosto in qualche cascinale, magari per scrivere un altro capitolo della sua vita, cercando di evitare che siano i giudici a scriverlo per lui.

Lo scorso anni, dopo la condanna in secondo grado, il pubblico ministero aveva chiesto l'arresto ma il giudice non ritenne fondato "il pericolo di fuga" e il Piampashet rimase in libertà in attesa della sentenza definitiva. Una motivazione clamorosamente smentita dai fatti di questi giorni.
(Quotidiano.net)


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martedì 16 luglio 2019

Biafra, la Nigeria riconosce risarcimenti a 50 anni dalla guerra

La guerra che è costata la vita a oltre 1,2 milioni di persone pesa ancora oggi sul Biafra. Altri due milioni morirono di fame e malattie, la metà erano bambini. Alla fine del conflitto oltre 5 milioni di persone furono costrette ad abbandonare le loro terre per far posto ai pozzi petroliferi.


Se da una parte il governo di Abuja riconosce un risarcimento alle vittime e inizia a bonificare le aree infestate da ordigni abbandonati, dall'altra dichiara "terroristica" l'organizzazione che chiede l'indipendenza.

In uno dei rari tentativi di affrontare la questione della guerra del Biafra e di sanare le profonde cicatrici che ha lasciato su milioni di nigeriani, nei giorni scorsi il governo di Abuja ha accettato di risarcire con 139 milioni di dollari le vittime del confitto, concluso cinquant’anni fa. E oltre a versare l’indennizzo, saranno stanziati 105 milioni di dollari per bonificare dagli ordigni abbandonati, i territori che furono teatro degli aspri combattimenti tra il 1967 e il 1970.

Gli esperti governativi hanno riconosciuto lo status di reduci di guerra a 685 persone. A quasi 500 di esse, incluse quelle che avevano inizialmente citato in giudizio il governo, è stato anche accordato un risarcimento per essere stati vittime dell’esplosione di mine e bombe. La decisione della Nigeria è il risultato di una risoluzione extragiudiziale, che ha fatto seguito a un procedimento presentato contro il governo federale nel 2012.

Una lunga scia di violenza nel sud-est della Nigeria
Il provvedimento giunge dopo mesi di crescenti tensioni nel sud-est della Nigeria causate dalle rinnovate richieste di secessione avanzate dal movimento dei popoli indigeni del Biafra (IPOB), che dopo mezzo secolo continua a rivendicare l’indipendenza del Biafra.

La radicalizzazione violenta del confronto si era manifestata lo scorso 12 settembre, quando l’esercito nigeriano ha fatto irruzione nella casa del leader dell’Ipob, Nwannekaenyi “Nnamdi” Kenny Okwu Kanu, per arrestarlo. Nel conflitto a fuoco che ne è seguito sono morti 20 militanti del gruppo separatista.

Poi, lo scorso 15 settembre, le truppe nigeriane dispiegate nella regione hanno lanciato l’operazione Python Dance II nei cinque stati sud-orientali, Abia, Anambra, Ebonyi, Enugu e Imo, per porre fine alla campagna di secessione del movimento. Nel corso dell’operazione, terminata il 10 ottobre, sono morti quattro membri dell’IPOB, mentre il leader Nnamdi Kanu, da allora non è più comparso in pubblico.

Movimento per indipendenza Biafra definito “terrorista
Pochi giorni dopo, il ministro della Giustizia nigeriano, Abubakar Malami, ha emesso un provvedimento che bollava l’IPOB come un’organizzazione terroristica, per aver agito contro funzionari della sicurezza e cittadini nigeriani.

La decisione di classificare l’IPOB come un’organizzazione terroristica ha suscitato le critiche degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Inoltre, questa scelta stride col fatto che il gruppo indipendentista è ufficialmente riconosciuto a livello internazionale, da quando le Nazioni Unite l’hanno annesso nell’Ecosoc, l’organismo che raccoglie più di 3.200 ong internazionali.

Nel frattempo, il sentimento anti-nigeriano dei biafrani ha continuato a covare sotto le ceneri emergendo periodicamente e dando luogo a sanguinosi scontri fra i separatisti biafrani e l’esercito federale, sempre repressi con violenza dai militari nigeriani.

La guerra del Biafra oggi è ancora un tabù in Nigeria
Nel paese africano molti sperano che il risarcimento deciso dal governo serva a stemperare le tensioni degli ultimi mesi e sia un segnale della volontà di discutere la pluridecennale questione dell’eredità e delle divisioni lasciate dalla guerra, che dopo cinquant'anni in Nigeria è ancora considerata un argomento tabù.

Certo è che nell’immediato dopoguerra, le ritorsioni applicate dal governo federale nei confronti degli Igbo (l’etnia della popolazione biafrana) furono pesantissime, come la limitazione all’accesso ai conti correnti e le discriminazioni nell’impiego pubblico e privato. Mentre l’amministrazione di alcune delle città con forte presenza Igbo venne affidata a gruppi etnici rivali come gli Ijaw e Ikwerre.

Senza contare che il nome Biafra è stato cancellato da tutte le mappe geografiche della Nigeria e quello che per tre anni fu uno Stato indipendente, adesso è smembrato in nove entità territoriali diverse.

Senza dubbio, è troppo tardi per i programmi di riconciliazione, ma oltre ai risarcimenti, anche l’apertura di un dialogo tra governo e movimenti pro-Biafra può avere un ruolo importante nell'aiutare i molti nigeriani, che ancora portano le cicatrici di uno dei conflitti più devastanti del secolo scorso.

Fame e malattie. L’emergenza umanitaria del Biafra
Un conflitto che costò la vita a più di un milione e 200 mila persone e produsse un’emergenza umanitaria senza precedenti, che culminò in una drammatica carestia che provocò la morte di altri due milioni di uomini, donne e bambini.

Tutto questo, mentre i filmati in bianco e nero trasmessi dai telegiornali dell’epoca mandavano in onda le terribili immagini dei volti scavati di bambini biafrani sofferenti con l’addome gonfiato dal liquido ascitico.

La mobilitazione generale delle organizzazioni non governative internazionali fu così impressionante che sotto la guida del Comitato Internazionale della Croce Rossa (Icrc), Oxfam, Africa Concern, Catholic Relief Services, Caritas International, Quaker-Service-Nigeria e altre organizzazioni che operavano sotto il cappello della Joint Church Aid (Jca), diedero vita alla più importante operazione umanitaria della loro storia dopo i programmi di assistenza ai rifugiati della seconda guerra mondiale.



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