venerdì 30 marzo 2018

Si è aperto a Milano il processo contro l'ENI per l'inquinamento nel Delta del Niger

Il 5 marzo scorso si è aperto a Milano il processo per il caso OPL 245.


Il processo vede alla sbarra degli imputati le multinazionali Eni e Shell, i loro top manager, come l’attuale AD della società italiana, Claudio Descalzi, e il suo predecessore, Paolo Scaroni, e alcuni intermediari.

L’accusa per tutti i soggetti coinvolti nella vicenda è di corruzione internazionale legata all'acquisizione del maxi-giacimento di petrolio offshore in Nigeria.

Nella video-intervista, il commento di Lanre Suraju, presidente dell'organizzazione nigeriana Human and Environmental Development Agenda (HEDA).




L'accusa. Il grande giacimento di petrolio al largo della Nigeria, noto con la sigla Opl 245, è al centro di questa vicenda, uno scandalo finanziario che si svolge tra la Nigeria, il Regno Unito, i Paesi Bassi e ormai anche l’Italia. Si trova al limite meridionale del delta del fiume Niger, in mare, tra i 1.700 e i duemila metri di profondità. Racchiude circa nove miliardi di barili di petrolio greggio, abbastanza da farne il più grande giacimento noto in Africa.

Nel 2011 l’italiana ENI e l’anglo-olandese Royal Dutch Shell hanno acquistato la concessione dell’intero blocco pagandola 1,3 miliardi di dollari. Ma quei soldi non sono andati nelle casse dello stato nigeriano, se non in minima parte.

La storia della licenza Opl 245 rivela qualcosa su una delle industrie più opache al mondo, quella dell’estrazione petrolifera in Nigeria. Protagonisti sono un ex ministro del petrolio nigeriano, accusato di aver sottratto i soldi versati dalle compagnie petrolifere; una ditta di facciata, la Malabu oil and gas, dietro a cui si nasconde lo stesso ex ministro; alcuni intermediari di varie nazionalità, affaristi, un paio di ex agenti del controspionaggio britannico.


Un altro processo contro l'ENI è in arrivo. Questa volta l'accusa è "disastro ambientale"

Risarcimento per il disastro ambientale nel Delta del NigerL'Eni sarà giudicata in Italia, prima vittoria della comunità Ikebiri.

Eni sarà giudicata in Italia anche in merito al risarcimento per il disastro causato sette anni fa alla comunità nigeriana di Ikebiri dopo lo scoppio di una conduttura della controllata Nigerian Agip Oil Company e la fuoriuscita di petrolio che danneggiò fauna e vegetazione dell’area. Il 10 gennaio scorso il giudice ha respinto la richiesta della multinazionale italiana di fermare il processo per mancanza di giurisdizione, disponendo invece di procedere nel merito.

Se la comunità otterrà ciò che chiede, questo sarà il primo caso in cui una multinazionale italiana viene condannata dalla giustizia civile per un episodio di disastro ambientale avvenuto al di fuori dei confini nazionali.


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Articolo a cura di
Maris Davis

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giovedì 29 marzo 2018

Scoperta rete italiana di terroristi islamici. Cinque arresti tra Roma e Latina

Operazione Mosaico. Dalle intercettazioni "Taglieremo la testa e i genitali agli infedeli". Cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguite all'alba tra la rete dell'attentatore di Berlino Anis Amri. In manette anche un tunisino residente a Latina.


Si erano radicalizzate in Italia le 5 persone riconducibili ad Amri. I reati contestati: addestramento e attività con finalità di terrorismo internazionale. L’allarme del ministro Minniti: «Roma è nel mirino»

Ancora un blitz antiterrorismo delle forze dell’ordine, dopo quelli a Foggia e a Torino dei giorni scorsi. Questa volta gli investigatori della Digos di Roma e Latina hanno eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti soggetti vicini agli ambienti dell’estremismo islamico e in particolare considerati i fiancheggiatori di Anis Amri, il terrorista autore della strage di Natale a Berlino nel dicembre 2016.

I fiancheggiatori
Proprio questo personaggio, rimasto ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia alle porte di Milano, aveva contatti con connazionali tunisini non lontano da Roma. In passato la Digos della Capitale aveva smantellato una cellula composta da una decina di persone: i sospetti terroristi sono stati tutti espulsi. In questo caso invece giovedì mattina la polizia ha dato il via all'operazione Mosaico: proprio a Latina è stato arrestato un connazionale di Amri al quale avrebbe dovuto consegnare documenti falsi per fuggire all'estero dopo l’attentato in Germania.

I reati
I reati contestati a vario titolo ai cinque sono «addestramento e attività con finalità di terrorismo internazionale» e «associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione di documenti ed al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Perquisizioni locali nelle province di Latina, Roma, Caserta, Napoli, Matera e Viterbo.

Addestramento all'uso delle armi e acquisto di furgoni per attentati
In particolare i provvedimenti emessi dal gip Costantino Del Robbio su richiesta del PM Sergio Colaiocco riguardano Abdel Salem Napulsi, già detenuto a Regina Coeli, fermato a ottobre in provincia di Latina: si addestrava su internet - sono stati scoperti almeno sedici video - a utilizzare armi da fuoco anche da guerra, lanciarazzi e furgoni che voleva acquistare secondo l’accusa per compiere attentati. In manette anche Mohamed Baazoui, Dhiaddine Baazaoui, Akram Baazaoui e Rabie Baazoui, tutti residenti fra Lazio e Campania. Erano loro a fornire documenti falsi ad alcuni immigrati per raggiungere altri paesi europei. Ma avevano contatti con la rete jihadista.

Ritagli di giornale ritrovati durante le perquisizioni
Le intercettazioni
Le indagini sono scattate sulla base dei tabulati telefonici di Amri e dei suoi contatti italiani. Ad esempio un altro detenuto a Rebibbia, un palestinese, era collegato ad uno spacciatore di Latina, che a sua volta aveva legami con appartenenti allo Stato islamico. Le intercettazioni hanno rivelato, secondo chi indaga, la profonda radicalizzazione in atto di Napulsi. Solo nell’agosto scorso diceva al telefono riferendosi agli occidentali che «bisognerebbe tagliargli la testa e i genitali», critiche all’Italia perché «le donne girano semi nude» e alla Tunisia perché «non vige la Sharia e le donne non portano il velo»

Minniti: «Roma nel mirino»
«La minaccia del terrorismo islamico non solo è cogente e costante, ma ci accompagnerà per un periodo non breve. E sottolineo, non breve. Il quadro che abbiamo è cambiato. Da almeno quattro, cinque mesi, in Rete, è ripresa con forza la propaganda dell’Isis che invita a guardare Roma come obiettivo fortemente simbolico della campagna del terrore», queste le parole del ministro Minniti.

«Informazioni su armi cercate in modo compulsivo»
«Napulsi venne arrestato nell'autunno scorso quando abitava in un appartamento vicino viale Marconi», spiega il dirigente della Digos di Roma Giampietro Lionetti, «verosimilmente dovrebbe trattarsi di un soggetto tunisino, ma manca la certificazione ufficiale, anche se è abbastanza certo che il nome sia falso»

Operazione Mosaico, così è stata chiamata l'operazione anti-terrorismo che ha smantellato la rete di jihadisti

Dal tablet sequestrato nell'abitazione dove il trentenne dormiva in una stanza con un altro giovane, Napulsi avrebbe fatto diverse ricerche sul deep web cercando in mondo compulsivo e dettagliato schede tecniche di armi, da quelle di piccolo carico ai lanciarazzi, video tutorial per il loro uso e armerie in tutta Europa.

«Tutto parte dopo la strage di Berlino quando la Procura di Roma ha aperto l’indagine. Siamo riusciti a risalire al suo numero di telefono di Amri quando era in Italia e da lì abbiamo capito tutti i passaggi successivi a partire dallo sbarco a Lampedusa. In un primo momento abbiamo fatto delle espulsioni grazie ai decreti del ministro. I contatti diretti di Amri sono sono stati espulsi a gennaio e a marzo del 2017. Vivevano nell'hinterland di Latina e risultava fossero tra i contatti di Amri. Un altro era stato espulso precedentemente all'attentato di Berlino sempre con decreto del ministro»

«Gli arresti di oggi invece hanno collegamenti indiretti con l’attentatore di Berlino». Il collegamento fra Napulsi e Amri invece è solo quello di far parte dello stesso ambiente radicalizzato, ma da quanto si apprende non ci sono evidenze di alcun contatto con Amri. Sugli altri quattro soggetti arrestati per falsificazione di documenti non ci sono invece segni di radicalizzazione, «ma c'è il ragionevole sospetto che possano essere stati coloro che hanno fornito i documenti falsi ad Amri». E infine: «Non c’è alcun dato che possa nemmeno minimamente farci giungere alla conclusione che i soggetti per i quali sono stato disposte le misure cautelari abbiano aiutato Amri nella realizzazione dell’attentato a Berlino»
(Corriere della Sera)


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Giro di baby squillo a Torino. Coinvolti molti Vip e il figlio di un imprenditore

"100 euro per un rapporto in un locale, 250 in macchina, 600 per un pomeriggio"


Coinvolto il figlio di un noto imprenditore. Ragazze pagate per fare "immagine". Da spogliarelliste, poi, diventano fanciulle "con cui fare un privé"

Assunte come ragazze immagine nei locali e nei club, ma poi venivano fatte prostituire. La squadra mobile di Torino ha smantellato un giro di prostituzione di giovani e giovanissime gestito da quattro persone, già note alle forze dell'ordine, che si occupavano di procacciare i clienti. Devono rispondere di sfruttamento della prostituzione, anche minorile.

Tra gli indagati nell'inchiesta, nome in codice "Tacco 12", quattro persone tra cui Mario Gianatta, il figlio 36enne dell'imprenditore Roberto Gianatta, a capo della Bluetec, azienda del gruppo piemontese del settore automotive Metec Sola. Pesanti,le accuse che il pm di Torino Fabiola D'Errico ha mosso a suo carico. Il 36enne avrebbe fatto sesso con delle squillo minorenni, conosciute nel corso delle sue notti brave torinesi.

Il prezzo per un rapporto in un locale "ordinario" costava 100 euro, 250 euro era la tariffa per il "solo guardare" (all'interno di un'auto), mentre saliva a 600 euro il costo di un intero pomeriggio di sesso con il giovane imprenditore e altri clienti vip.

«Se vuoi iniziare a fare quello che faccio io, possiamo andare insieme a Montecarlo...per un week end in barca ci darebbero quattromila euro». Le cifre riportate nell'ordinanza richiesta dalla pm Fabiola D'Errico, che ha coordinato la polizia, variano a seconda del portafoglio del cliente: se un rapporto in un locale «ordinario» costa 100 euro, vale almeno 250 euro il «solo guardare» all'interno di un'auto. Ma per un mezzo pomeriggio passato nella villa di un imprenditore il prezzo sale almeno a 600 euro.

La baby squillo intercettata diceva: "Vado con un tipo ricco quasi come Agnelli, mi dà tanti soldi. Cambiamo vita". E conferma il weekend a Montecarlo.

È solo l'anticipo che precede l'offerta concreta: «Mi fa, sempre Felice – racconta la sedicenne con entusiasmo - io conosco una persona.... potremmo fare un giro, gli posso fare un "privalio" e praticamente ci faremmo un week-end a Montecarlo». «Mmmmh». «Su una barca, sarebbero 600 euro a ragazza...». «Io e te?», risponde incredula l'amica, che nel giro non è ancora mai entrata.

«Si...», è la risposta. E la ragazza più «esperta» di lei aggiunge: «Io a Felice ho detto subito di sì, perché tanto, ho pensato, se io e lei siamo insieme, siamo tranquille, possiamo andare». «Esatto», sussurra l'amica. Il racconto prosegue, con i dettagli del guadagno. «Gli faccio, sempre a Felice – prosegue la sedicenne – sì, sono 600 a testa, ma...e poi se si riesce a organizzare qualcosa...io e te riusciremo a portare... lui si fa i soldi eh... poi su di noi, per carità una parte prende lui, piccolina, ma se la prende lui», è la precisazione. «Così noi riusciremo a portarci a casa quattromila, tremila euro», è la conta totale.

Ai vertici dell'organizzazione c'era Enrico Marchesi, detto "The King", che selezionava le ragazze, quasi tutte trai 15 e i 17 anni con qualche "fuori quota" diciottenne. É finito in carcere insieme a Felice Iammola e Angela Tuffariello, gestori di locali, che avrebbero organizzato festini a sfondo sessuale anche in night club frequentati da scambisti.

Ai domiciliari, invece, è finita una quarta persona, ma la sua posizione sarebbe meno grave. Indagati anche i clienti, per ora quattro, che avrebbero fatto sesso a pagamento con le ragazzine. Tra loro c'è anche Mario Gianatta, che era già finito sotto inchiesta nel 2015, quando nel parco della villa di famiglia, all'interno della Mandria di Venaria, aveva ospitato due cuccioli di puma. In tribunale, il 36enne si era giustificato dicendo che riteneva fossero "due bei micioni"

Le immagini delle adolescenti, avvolte in vestiti aderenti di paillette rosa, occhi allungati con linee di eye-liner marcate, erano pubbliche. Esibite sui loro profili Facebook, mai nascosti a nessuno. E anche gli annunci per attirarle, come «ragazze immagine», non venivano celati.

Comparivano online e rimbalzavano sui social. Soltanto l'età veniva occultata. È sempre lui, uno dei testimoni principali, a confermare: «I documenti venivano falsificati, Marchesi sapeva benissimo quanti anni avevano». La più giovane ne aveva quindici, la più «anziana» diciotto. «Dove sei? Scendi, sono sotto da un quarto d'ora, pensavo fossi a scuola», è l'esortazione di Felice Iemmola, intercettato mentre attende una delle «sue» ragazze preferite davanti a un liceo linguistico di Torino.

Sempre nella villa di famiglia, secondo la squadra mobile, Gianatta Jr avrebbe portato le escort minorenni. Il compito di organizzare gli incontri, da quanto si legge nell'ordinanza di custodia cautelare, sarebbe stato affidato a Vincenzo Lillo (dipendente del giovane imprenditore anche lui indagato) che doveva anche curare "gli spostamenti delle minorenni" procurate dall'organizzazione. Lillo, secondo la Procura, aveva anche il compito di capire e interpretare i "gusti di Gianatta" in fatto di donne. Una terza persona, Ignazio D'Angelo, poi, "eseguiva i trasporti con un taxi". Il prezzo della corsa dal centro di Torino a Venaria era di 450 euro. Decisamente troppo per un tragitto di pochi chilometri.

Nessun dubbio, poi, sul fatto che i clienti sapessero che le ragazze non avevano ancora compiuto 18 anni. "I documenti venivano falsificati - ha fatto mettere a verbale un testimone - ma Marchesi sapeva benissimo quanti anni avevano"


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martedì 27 marzo 2018

Roma, violenze sessuali sui bambini dell'asilo. Arrestato un maestro

Gli abusi nella scuola nota nella Capitale per essere quella dei dipendenti di Bankitalia.

Abusava delle sue piccole alunne, bambine di età compresa tra i 3 e i 5 anni, durante le lezioni all'asilo. È finito in manette con l’accusa di violenza sessuale reiterata su minorenni un maestro di inglese della scuola «Casa dei bambini», nota nella Capitale per essere quella dei dipendenti di Bankitalia.

Le prove a carico del maestro, un ragazzo (italiano) di 25 anni, sono inequivocabili. È stato immortalato, in atteggiamenti intimi con le sue vittime, dalle telecamere messe nelle aule a seguito delle denunce dei genitori, preoccupati di quanto raccontavano le bimbe al rientro da scuola.

L’istituto, che utilizza il metodo di insegnamento «Montessori», attualmente ospita 150 alunni, figli di dipendenti della banca guidata da Ignazio Visco.

L’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale, coordinate dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dai PM Eleonora Fini e Francesca Passaniti, avrebbe portato alla luce una decina di casi di abusi sessuali.
(La Stampa)

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Si rafforza la presenza dell'Isis in Africa. Provocherà nuove ondate di migranti

Il trasferimento di jihadisti dell'Isis dal Medio Oriente può destabilizzare l'area del Sahel. Allarme del World Food Program.

Una minaccia seria. Il trasferimento di jihadisti dell'Isis dal Medio Oriente all'Africa potrebbe scatenare una nuova e massiccia crisi migratoria in Europa. A lanciare l'allarme è il numero uno dell'agenzia alimentare dell'Onu.

Il direttore esecutivo del World Food Program, David Beasley, ha spiegato che molti dei militanti fuggiti dalla Siria dopo il crollo del Califfato si stanno spostando nella regione del Sahel (che comprende Burkina Faso, Ciad, Niger, Nigeria, Mali e Mauritania), dove stanno collaborando con altri gruppi estremisti tra cui Al Qaida, Al Shabab e Boko Haram.

Beasley ha avvertito i leader europei che potrebbero affrontare una crisi migratoria molto più grande di quella causata dal conflitto siriano se non contribuiscono a portare cibo e stabilità nella regione.

"Il Sahel è una regione di 500 milioni di persone. La crisi siriana potrebbe essere una goccia nel mare rispetto a quello che sta per arrivare. Gli estremisti stanno entrando in un'area già fragile, si stanno infiltrando usando il cibo come arma di reclutamento, e in modo da causare una migrazione di massa in Europa"
(Globalist)




Articolo a cura di
Maris Davis

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sabato 24 marzo 2018

Nigeriana incinta e con un tumore, morta dopo essere stata respinta alla frontiera francese

Quando muore anche la pietà. Destiny, nigeriana 31enne, era incinta e con un linfoma in fase terminale era stata brutalmente respinta alla frontiera francese anziché essere soccorsa. Si salverà il bambino che aveva in grembo.

Ricoverata, malata di linfoma, da un mese al Sant'Anna di Torino, è stata tenuta in vita il più possibile per portare avanti la gravidanza. Il bimbo è nato: pesa 700 grammi. Morta dopo il parto. il papà del piccolo Israel: «Senza un aiuto mio figlio non dovrà chiedere l’elemosina»

«Ora voglio pensare a mio figlio. Voglio che abbia una vita migliore. Che non finisca a chiedere l’elemosina». Destiny è il marito di Beauty, la donna nigeriana respinta alla frontiera francese il 9 febbraio e morta la settimana scorsa all'ospedale Sant'Anna di Torino dopo aver dato alla luce il suo piccolo Israel a seguito di un linfoma arrivato in fase terminale.

Ora Destiny vuole pensare al suo bambino, Israel. «Ma non sono felice. Mi sento vuoto. Mia moglie era tutto per me». Lo racconta in una saletta del presidio ginecologico, al fianco del professor Enrico Bertino, direttore della Neonatologia universitaria che si sia occupando di suo figlio. Israel è nato di 29 settimane. Pesava 700 grammi, ora diventati 960, ma dovrà restare in ospedale almeno un paio di mesi. Intanto la Procura di Torino ha aperto un fascicolo e disposto accertamenti sul caso di Beauty.

"Lei era in regola. Avrebbe potuto andare in Francia, attraversare liberamente la frontiera, ma ha deciso di rimanere con me. Ci legava un grande amore e non ha voluto lasciarmi". Così Destiny, 33 anni, il marito della donna nigeriana incinta e con un grave linfoma, respinta alla frontiera di Bardonecchia dalle autorità francesi, morta all'ospedale Sant'Anna di Torino dopo il parto cesareo, ricorda dopo la tragedia.

Ma ora deve pensare al figlio. Lui ce l'ha fatta e la vita non si ferma. "Da quando ho perso mia moglie, ho perso parte della mia vita. Mi sento vuoto. Non sono felice", continua trattenendo a stento le lacrime. "Volevo andare in Francia perché non ho i documenti e non ho un lavoro. Qui non mi restava che chiedere l'elemosina". Ora Destiny vuole rimanere in Italia. "Voglio dare a mio figlio una vita felice. Mi serve un lavoro, in strada non c'è futuro". E aggiunge: "voglio ringraziare i medici per tutto quello che hanno fatto, soprattutto per mio figlio"

Il bambino
"Il bambino è nato il 15 marzo, prematuro di 29 settimane. Pesa circa 900 grammi e i segnali fanno ben sperare. Siamo cautamente ottimisti", spiega il dottor Enrico Bertino, direttore del reparto di neonatologia universitaria dell'Ospedale Sant'Anna. La sua condizione clinica è speciale. La mamma è arrivata in fase terminale, con un linfoma di estrema gravità, e l'unica speranza era quella di salvare il neonato.

Lei era cosciente, in rianimazione solo gli ultimi due giorni. Ha ricevuto il supporto e il sostegno di tutti gli operatori sanitari che l'hanno seguita non solo con tecnologie avanzatissime, ma soprattutto con un'assistenza multi-specialistica. La malattia materna avrebbe potuto compromettere le condizioni di salute e la crescita del feto. Il bimbo, ricoverato in terapia intensiva, si chiama Israel. "Abbiamo deciso di chiamarlo così perché siamo cristiani", spiega il papà.

La cronaca. Quando muore anche la pietà
Non si muore solo in mare, aggrappati a un gommone insicuro e stracarico. Ma a provocare la morte di migranti che tentano di raggiungere i paesi europei sono anche i muri. I muri che impediscono alle persone di proseguire il proprio viaggio in sicurezza e con mezzi adeguati. Anche in gravidanza. Ed è così che è morta Beauty., nigeriana di 31 anni. Morta per non aver avuto assistenza adeguata e per aver sottoposto il proprio corpo, ammalato e gravido di un figlio, a una sfinente traversata in mezzo alla neve. Finita, oltretutto, con il respingimento da parte dei gendarmi.

È successo sulle Alpi di Bardonecchia, al confine francese. Incinta di poche settimane e con un grave linfoma, la donna era stata respinta alla frontiera dalle autorità francesi un mese fa. Era poi stata soccorsa dai medici volontari di “Rainbow4Africa” e ricoverata al Sant'Anna di Torino. In condizioni disperate, è stata tenuta in vita il più possibile in modo da poter portare avanti la gravidanza. Dopo il parto cesareo, è morta all'ospedale.


Veniva dall’Africa, era approdata con chissà quale miserabile odissea di deserto e di mare in Europa, nella civile, tanto sognata Europa.

Aveva, che le cresceva in grembo, un bambino di pochi mesi; e, dentro, oltre al bambino un nemico, un grave linfoma, un tumore. La vita e la morte crescevano dunque insieme in Beauty, 31 anni, nigeriana.

Quanto deve sfinire una simile frontale battaglia. Ma lei, che immaginiamo ostinata, forte di speranza e di disperazione, non si arrendeva. Arrivata in Piemonte si era decisa per la traversata delle Alpi: in questi giorni di acerba fredda primavera, di neve ancora, di Burian che soffia, lassù, gelido e nemico. Oltre la catena di quelle vette candide e immense, le avevano detto, c’è la Francia. Forse aveva pensato che una simile barriera doveva proteggere un Paese meraviglioso. Dove sarebbe nato il suo bambino, dove, forse, l’avrebbero saputa anche curare. Certo, sapeva che i gendarmi bloccano i migranti e li risospingono indietro.

Ma magari pensava che per una donna gravida, in mano le carte che dimostravano che era molto malata, si sarebbe aperto uno spiraglio di pietà. Magari quel giorno il gendarme di turno sarebbe stato un padre, un brav'uomo, e non ce l’avrebbe fatta a dire di no. Lei, comunque, doveva tentare. Possiamo immaginarci la frontiera di Bardonecchia, a pochi metri dalla linea del sospirato confine. I migranti in attesa, nerissimi i volti sul bianco della neve; e i cuori, i battiti del cuore non si sentono, ma quanto rumore fanno, in certe ore. La giovane nigeriana forse era animata da una irrazionale speranza.

O forse, da ciò che credeva di aver capito in TV dell’Europa, non le sembrava un posto dove respingono le mamme incinte e malate di cancro. Il suo sorriso si deve essere spento al lento scrollare il capo di un funzionario: no, non esistono gli estremi, avrà detto quello, e poi avrà calato brusco un qualche timbro sui fogli, con un colpo secco che diceva: 'no'.

Soccorsa dai volontari di 'Rainbow4 Africa', la migrante è stata portata all'ospedale Sant'Anna di Torino. Ha partorito il suo bambino prematuro, piccolissimo, con il cesareo, e poi è morta. Il bambino pesa solo 700 grammi, ma è vivo: un miracolo. Forse ce la farà. E forse fra vent'anni potrà raccontare di come fu, che venne al mondo: da una mamma partita per miseria dal cuore dell’Africa, che traversando il deserto, e chissà se libera o costretta, una notte lo concepì.

Poi ci fu il mare, e il grande viaggio fra le onde, e quei due, madre e figlio, già stretti insieme. Inconsapevoli forse ancora, del nemico maligno che li incalzava. E infine l’Italia, il sollievo di un mondo libero, e cibo, e cure, finalmente. Ma Beauty doveva andare in Francia. La aspettavano, forse, laggiù. «Non passerai, ti manderanno indietro», le ripetevano i compagni di viaggio. E lei invece serena, lei pronta a ogni sfida, col coraggio che una donna trova, quando combatte per un figlio.

Ma, a fronte di questa impresa temeraria e infinita, alla frontiera francese solo quel funzionario che a stento la guardava in faccia (ai suoi occhi lei una dei tanti, una dei mille). Il ventre grosso, le carte dei medici che accertavano il tumore, quei due occhi neri piantati sul volto del gendarme. Una lieve scossa del capo, l’urto duro del timbro: 'respinta'.

Avanti un altro. Il grande, meraviglioso Paese dietro le catene innevate non si è aperto per Beauty e il suo bambino, né per la sua malattia.

La Legge, probabilmente, è salva. Ma quella madre è morta, e chissà se salva è anche la coscienza della Francia, e dell’Europa. E chissà, se stiamo zitti, se siamo salvi anche noi.

«Le autorità francesi sembrano avere dimenticato l'umanità» commenta Paolo Narcisi, presidente dell'associazione che da dicembre ha aiutato un migliaio di migranti nel tentativo di oltrepassare il confine francese.

La nascita del bimbo, 700 grammi, è un fatto straordinario ed è subito scattata una gara solidarietà per aiutarlo. Il neonato è ora ricoverato nella Terapia Neonatale del Sant'Anna, diretta dalla professoressa Enrica Bertino. Accanto al piccolo c'è il padre, anche lui respinto alla frontiera. La procura di Torino ha disposto degli accertamenti sul caso. Ad occuparsi della vicenda sarà la polizia.
(Avvenire)



Articolo a cura di
Maris Davis

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