sabato 29 ottobre 2016

Nigeria, duplice attentato di Boko Haram. Nove morti a Maiduguri

Maidugori, campo profughi di Bakassi
Duplice attacco di Boko Haram. Almeno 9 persone sono morte in seguito ad un duplice attentato avvenuto a Maiduguri ii capoluogo del Borno State, in Nigeria, un territorio a forte presenza degli integralisti islamici di Boko Haram.

Ancora ragazzine minorenni usate per compiere attentati. Il primo attacco è avvenuto quando due ragazze kamikaze hanno cercato di farsi largo in un campo che ospita 16mila profughi. Un testimone ha raccontato di aver visto almeno sei cadaveri portati fuori dal campo di Bakassi e decine di feriti "ricoperti di sangue".

Il secondo attacco è avvenuto mezz'ora dopo dal primo quando altri due kamikaze si sono fatti esplodere a bordo di un veicolo a tre ruote provocando molti feriti e almeno tre i morti.

Questo attacco si verifica dopo un relativo periodo di calma, dovuto alla pressione militare dell'esercito nigeriano che ha costretto il grosso delle milizie Boko Haram a ritirarsi nelle foresta di Sambisa, oppure a sconfinare in Camerun o in Niger, nella regione attorno al lago Ciad. Recentemente Boko Haram ha liberato 21 delle quasi 300 studentesse rapite a Chibok nel 2014, ma questo attentato dimostra la presenza "organizzata" di cellule integraliste che non esitano ad usare bambine per compiere attentati.
(Ansa)

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Premio Sakharov 2016 dell'Unione Europea a due donne yazide, ex schiave sessuali dell'Isis

Sono Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar, rapite e vendute a più riprese come schiave dai miliziani. Il premio del Parlamento europeo assegnato a chi si distingue nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Nadia Murad
Rapite e vendute a più riprese come schiave dai miliziani dell’Isis dopo aver assistito al massacro dei loro familiari, scappate dai territori dello Stato islamico e divenute simbolo tanto delle vittime della violenza sessuale dei terroristi del Daesh quanto del genocidio yazida.

Il premio Sakharov 2016 è assegnato ogni anno dal Parlamento europeo a persone o associazioni che si distinguono nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Originarie del villaggio di Kocho nel Sinjar, nel nord dell'Iraq, Nadia e Lamiya hanno raccontato il loro calvario: rapite dai jihadisti e rese schiave sessuali dai combattenti. Le due donne sono da tempo impegnate nella difesa della comunità yazida in Iraq e delle donne vittime di violenza sessuale delle milizie Isis.

Il loro villaggio, vicino a Sinjar, è stato distrutto dalle truppe dell'Isis nell'estate del 2014. Insieme a migliaia di altre ragazze yazide, furono rapite e costrette a subire ogni genere di vessazioni sessuali da parte dei miliziani del 'califfato'. Murad, che ha vinto anche il premio Vaclav Havel attribuito dal Consiglio d'Europa, sta lavorando affinché sia riconosciuto il genocidio degli Yazidi, una minoranza religiosa vittima dei fondamentalisti sunniti.

"Nadia e Lamiya sono un incoraggiamento ed un simbolo per noi a non aver paura dell’Isis e del terrorismo. Sono state testimoni di atrocità senza precedenti e hanno intrapreso un lungo cammino per ricevere la protezione dell’Europa. Ora noi siamo obbligati a sostenerle per garantire che la loro testimonianza eviti l’impunità"
(Martin Schulz, Presidente del Parlamento Europeo)

Nadia e Lamiya
3 agosto 2014. È questa la data in cui inizia l’incubo delle due ragazze yazide. Quel giorno, nella sua offensiva in Iraq, l’Isis occupa il loro villaggio, Kocho, vicino al confine con la Siria. Il 15 agosto i miliziani massacrano gli uomini e separano le donne, uccidono le anziane e riducono in schiavitù le altre. Nadia, allora 21enne, e Lamiya, 16enne, al pari delle loro sorelle vengono vendute a più riprese, obbligate a soddisfare i desideri sessuali dei soldati di Daesh.

Nadia, prigioniera a Mosul, viene anche forzata a fabbricare bombe e cinture esplosive. Poi, dopo 4 mesi di sequestro, riesce a scappare grazie all'aiuto dei vicini, raggiunge un campo per rifugiati nel nord del Iraq e quindi la Germania.

Per Lamiya la fuga è stata ancora più dura. Dopo diversi tentativi, la sua famiglia paga dei trafficanti e riesce a farla uscire dai territori controllati dall’Isis, ma mentre sta arrivando nel Kurdistan iracheno una mina anti-persona uccide due membri del suo gruppo e la ferisce agli occhi, rendendola quasi cieca. Riesce comunque a proseguire la fuga fino ad arrivare anche lei in Germania, dove viene curata e ritrova le sorelle e i fratelli scappati all'Isis.

Una volta liberate, le due yazide hanno imbracciato la via della testimonianza in prima persona delle atrocità dell’Isis. Il 16 dicembre 2015 Murad prende la parola durante la prima sessione del Consiglio di sicurezza dell’Onu dedicata alla tratta di esseri umani, racconta la sua esperienza per mobilitare la comunità internazionale nella salvezza del popolo yazida e nella liberazione delle schiave.


"Lo Stato islamico non è venuto solo per ucciderci, noi donne e ragazze, ma anche per prenderci come bottino di guerra e venderci al mercato per due lire, o anche gratis"

Nel settembre di quest’anno Nadia diventa la prima ambasciatrice dell’Onu per la lotta alla droga ed il crimine organizzato ed in ottobre riceve il Premio Vaclav Havel per i diritti umani del Consiglio d’Europa.

Dopo essersi rimessa dall'esplosione, anche Lamiya ha iniziato la sua attività di testimonianza a difesa del suo popolo e di sostegno ed aiuto alle donne ed ai bambini vittime della schiavitù e delle barbarie dell’Isis. Il 14 dicembre prossimo lei e Nadia riceveranno il Premio Sakharov durante una seduta solenne della plenaria del Parlamento a Strasburgo.
(La Stampa)

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mercoledì 26 ottobre 2016

Il razzismo di Goro e la vergognosa ipocrisia di chi giustifica la mancata accoglienza di 12 donne africane

Erano dell'Africa Sub-Sahariana con i loro bambini, una era incinta

Tre erano donne nigeriane in fuga dagli orrori di Boko Haram, almeno altrettante erano ragazzine (forse minorenni) anch'esse nigeriane, del sud della Nigeria, quasi certamente "trafficate" dalla mafia a grave rischio di sfruttamento sessuale. Le altre sei donne provenivano da Sierra Leone, Senegal e Gambia.

Né io né nessun altro può sapere le vere storie personali di queste donne e di questi bambini che dopo aver attraversato il Sahara e il mar Mediterraneo si sono viste sbarrare la strada da un paesino "idiota" nel ferrarese. Ieri alcuni giornalisti le hanno intervistate, ma che potevano dire nel vedere che un intero paese aveva alzato le barricate contro di loro. Qual'è l'Italia vera, quella accogliente di Lampedusa, o quella "razzista" che alza barricate a Goro, piccolo paese del ferrarese, nel delta del Po ??

Poverini questi "abitanti" di Goro, si sono giustificati che NON erano stati avvisati, certo il sistema dell'accoglienza non è perfetto, ma poi hanno anche detto che NON accetteranno MAI nessuno, nemmeno una donna africana, e nemmeno se è incinta, e affermazioni così "ignobili" valgono più di mille parole, e se questo NON è razzismo, allora cos'è il razzismo ??

E poi che ci facevano quei dirigenti "leghisti" che dal profondo nord si sono messi in macchina per dare manforte ai quel centinaio di manifestanti di Goro ??

Joy e le altre in fuga da Boko Haram, e ci cacciano dall'Italia

Chissà dove sono finiti i beoti che ad ogni problema rispondono con ruspe e manette. A Gorino, in provincia di Ferrara, paese di pescatori sul delta del Po, famoso per la produzione di vongole, la Lega Nord ha aizzato un pezzo di popolazione contro l'arrivo di "ben" 12 donne con i loro bambini.

Barricate con bancali di legno (niente mobili, quelli sono troppo preziosi), qualche neo-fascista bene in vista, mamme "italiane" con i loro figli in braccio. Il tutto in opposizione alla decisione del Prefetto, lo Stato, l'ordine, la polizia, di requisire temporaneamente un ostello per ospitare le madri in fuga da guerra e carestie.

Diciamolo subito, senza il protagonismo dei salviniani e dei fascisti, in stretto collegamento, ben difficilmente si mobiliterebbe qualcuno per questi motivi. Mugugni tanto, certo, frasi buttate lì a casaccio, ma solo l'idea di una "barricata" contro le forze dell'ordine che accompagnano una decina di madri è cosa così infame da non meritare né commento, né tantomeno una "promozione spontanea". Serve qualche "fascistello" con alle spalle un briciolo di organizzazione e copertura politica. Salvini, Forza Nuova e Casa Pound, spesso, stanno lì per questo.

In questo caso non è infatti nemmeno invocabile il pretesto "dell'uomo nero che dà fastidio alle nostre donne", visto che il gruppo dei profughi non ha presenze maschili (a meno di non voler considerare pericolosi i bambini solo perché maschietti di colore).

Il problema dei flussi migratori dal sud del mondo verso le metropoli del capitalismo avanzato è fenomeno epocale che richiede politiche di grande respiro, articolazione, visione di lungo periodo, e altrettanto impegno. Non si affronta con le ruspe, ma neanche soltanto con la "buona volontà" dei singoli (sussidiarietà stile Caritas, insomma) o di alcune comunità lungimiranti (che valgono in ogni caso come esempio positivo)

Il problema è lo Stato, certamente, ma anche i muri dell'Unione Europea, anche in questo caso. Perché da un lato in Italia c'è una struttura dell'accoglienza ormai dedita soltanto al contenimento del problema, senza alcuna capacità di programmazione né strutturazione di procedure e strutture per accoglienza e soprattutto integrazione (si rifiuta di fare politiche di sviluppo occupazionale per i giovani, figuriamoci se riesce a pensare ancora più in grande). Dall'altra c'è una tecnostruttura europea burocratica capace di strangolare economicamente anche più paesi alla volta, ma inadatta a formulare politiche in positivo.

Sull'immigrazione, come su altri temi altrettanto epocali, l'Europa si è già più volte rivelata indifferente, impotente, idiota


Articolo di
Maris Davis

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domenica 23 ottobre 2016

Riduzione in schiavitù, clan di nigeriani arrestati ad Agrigento

Le vittime. Almeno una decina di ragazze nigeriane da poco arrivate in Italia, sottoposte a riti "woodoo" venivano costrette a prostituirsi. Venivano "reclutate" direttamente nei centri di accoglienza.

Ragazze nigeriane in strada
La Procura di Palermo ha disposto il fermo di due nigeriani, Peter Egwuy, e Osas Edos, 29 e 24 anni, residenti ad Agrigento, per associazione a delinquere finalizzata alla tratta di persone, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, introduzione illecita in Italia di extracomunitari e minacce.

L'indagine, coordinata dall'aggiunto Maurizio Scalia e dal pm Gery Ferrara, è stata condotta dalla Guardia di Finanza. I due indagati, in concorso con altri connazionali già arrestati, reclutavano le connazionali sbarcate in Italia e ospiti dei centri di accoglienza (sia in Sicilia che in altre città italiane) per poi consegnarle alla "mamam" e avviarle alla prostituzione. Le vittime, sottoposte a riti "woodoo", venivano tenute in uno stato di soggezione psicologica erano costrette anche ad avere rapporti sessuali con i componenti della banda e i loro familiari.

Il procedimento nasce da un'indagine su una banda transnazionale di trafficanti di esseri umani che ha operato tra Nigeria, i paesi del Maghreb (soprattutto la Libia) e Italia (Lampedusa, Agrigento, Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Padova). L'inchiesta prese il via dalla denuncia di una delle vittime che, sbarcata a Lampedusa e ospite di un centro di permanenza temporaneo, riferì agli inquirenti le modalità di reclutamento delle giovani donne da avviare alla prostituzione e fece i nomi dei componenti della banda.

La ragazza, una nigeriana, raccontò di essersi fatta convincere a venire in Italia, e che il viaggio lo avrebbero pagato gli organizzatori. I trafficanti le avevano assicurato che, una volta arrivata, avrebbe trovato un lavoro regolare. In Nigeria aveva stipulato un contratto con un rito "woodoo", come garanzia per la restituzione della somma che sarebbe stata necessaria per compiere il viaggio.

In seguito era stata condotta attraverso il deserto in Libia, tenuta prigioniera in una casa con altre donne. Una volta arrivata in Italia le hanno detto che doveva restituire i 30mila euro necessari a pagare il viaggio dalla Nigeria, e che l'unico modo era quello di prostituirsi, e con il denaro guadagnato avrebbe dovuto ripagare il debito contratto.

A capo dell'associazione c'era una donna, che è stata arrestata nei mesi scorsi. All'appello, erano finiti in carcere diversi componenti dell'associazione. Mancavano i due nigeriani fermati qualche giorno fa. Il racconto della ragazza, confermato da altre vittime sue connazionali, aveva particolari raccapriccianti. Le nigeriane venivano costrette a dare oggetti personali come le mutandine, e peli pubici a un santone perché potesse usarli per riti woodoo che le riducevano in uno stato di totale asservimento. I trafficanti le minacciavano dicendo che, se non avessero consegnato i soldi guadagnati con la prostituzione, avrebbero ucciso loro e i loro familiari rimasti in Nigeria.
(Nuovo Sud Sicilia)

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venerdì 14 ottobre 2016

Nigeria, liberate 21 ragazze di Chibok. Molte sono incinta e con bambini

Il rilascio frutto dei negoziati tra governo e fondamentalisti islamici con la mediazione di Croce Rossa e governo svizzero. L’esecutivo nigeriano smentisce che siano stati scarcerati 4 islamisti in cambio.

Foto della liberazione
Dopo oltre due anni e mezzo di prigionia sono libere ventuno delle oltre 200 ragazze rapite da militanti di Boko Haram in Nigeria, a Chibok. Alcune di loro hanno anche bambini al seguito, come mostrano foto pubblicate in esclusiva dalla Cnn. E molte (almeno 18) sarebbero incinta. Il segno evidente delle violenze subite.

La conferma del governo nigeriano sulla loro liberazione è arrivata dopo le anticipazioni fornite giovedì mattina dalla BBC. Un portavoce del presidente ha spiegato che il rilascio sarebbe il risultato dei negoziati tra il governo e il gruppo fondamentalista con la mediazione della Croce Rossa e quella del governo svizzero.

"Scambio di prigionieri" .. Le giovani sarebbero state liberate in cambio della liberazione di 4 combattenti Boko Haram, ma il portavoce del governo, in una conferenza stampa, ha smentito la notizia. "Questo non è uno scambio. È un rilascio, frutto di negoziati estenuanti e della fiducia maturata da entrambe le parti"

Le ragazze sarebbero state recuperate dai militari in elicottero a Banki , area dello stato del Borno, nel Nordest del Paese, dove la Croce Rossa, che ha fatto da intermediario per la logistica, le avrebbero lasciate poco prima dopo averle recuperate dalle mani dei jihadisti. Le giovani sarebbero state portate prima a Kaduna, e da qui, nelle mani dei servizi di sicurezza nigeriani, a Maiduguri. Proprio nella capitale del Borno, storica roccaforte degli islamisti, il presidente Buhari l’anno scorso ha trasferito il quartier generale dei militari, proprio marcare l’impegno al contrasto ai terroristi.

Proprio in queste settimane l'esercito nigeriano starebbe conducendo un'offensiva su vasta scala nella foresta di Sambisa, dove si nascondono i miliziani.

Terrorismo .. Il rilascio delle 21 ragazze arriva mentre il presidente nigeriano è in partenza per la Germania proprio per chiedere assistenza per la ricostruzione del Nordest della Nigeria, terra devastata dalla violenza del gruppo islamista e dalle rappresaglie dell’esercito nigeriano. Proprio ieri un attentato condotto da una kamikaze ha fatto a Maiduguri almeno una decine di vittime.

Amina .. Fino ad oggi solo una delle ragazze, Amina Ali Nkekiera, è riuscita a liberarsi dalla prigionia. In maggio un gruppo di vigilantes l'avevano trovata ai margini della foresta, vicino al confine con il Camerun in compagnia di un militante del gruppo e con una bambina di pochi mesi. Fu lei a rivelare che delle 218 studentesse ancora nelle mani dei rapitori "6 sono morte". Dopo il rilascio di oggi, sarebbero ancora 191 le giovani che mancano all'appello.

I video .. Il primo video con le ragazze di Chibok era stato diramato nel maggio 2014, un mese dopo il rapimento. Un video nel quale il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, annunciava che le studentesse si erano convertite all'Islam e minacciava di venderle come schiave o darle in spose ai miliziani.

Poi due anni di silenzio, finché lo scorso aprile, un nuovo filmato dell'organizzazione mostrava 15 delle 276 studentesse prelevate dal dormitorio della scuola, vive. In quell'occasione, si parlò di un riscatto di 44 milioni di euro chiesto dai jihadisti per il rilascio. Il 14 agosto in un terzo filmato diffuso dai carcerieri sul web la sedicenne Dorcas che prendeva la parola a nome delle decine di compagne velate tenute in ostaggio e visibili accanto a lei, costretta a dettare le condizioni del rilascio: stop ai raid contro Boko Haram e trattative per la liberazione delle studentesse in cambio della scarcerazione di jihadisti.

La fuga .. Una cinquantina di ragazze riuscirono a scappare da sole, subito dopo il sequestro, saltando giù dai furgoni in movimento o riuscendo a fuggire dagli accampamenti. Un mese dopo, il primo video dei miliziani, con la minaccia di venderle come schiave o di darle in spose agli uomini dell'organizzazione.
(Fonte CNN)
I nomi delle 21 ragazze liberate

Le foto della liberazione

La nostra pubblicazione


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giovedì 13 ottobre 2016

"Ius Soli". Basta ritardi, il Senato approvi la legge

"Ad un anno esatto dall'approvazione alla Camera, il disegno di legge è ancora fermo in Senato, bloccato da una valanga di emendamenti della destra, e quasi un milione di ragazzi e ragazze restano cittadini di serie B, in attesa di veder riconosciuti i loro diritti"

I nuovi italiani
È passato esattamente un anno da quando la Camera approvò le nuove norme sull'accesso alla cittadinanza italiana per i figli di genitori stranieri nati in Italia o cresciuti fin da piccoli nel nostro Paese. La parte migliore dell'Italia celebrò quel risultato come una storica conquista civile, che finalmente adeguava le nostre leggi alla mutata realtà sociale rappresentando un passo avanti concreto per la vita di tante famiglie, per i diritti e la coesione delle nostre comunità.

Ma dopo un anno tutto questo è solo "carta straccia" perché il disegno di legge è ancora fermo in Senato, bloccato da una valanga di emendamenti della destra, e quasi un milione di ragazzi e ragazze restano cittadini di serie B, in attesa di vedersi riconosciuti i propri diritti. Non possiamo tradire le attese di quei giovani. Le forze politiche di maggioranza devono affrontare con determinazione la questione e garantire una rapida approvazione della legge. In gioco non c’è solo la tutela di una minoranza ma il futuro di una società migliore e più giusta.

Sta riscuotendo successo tra i media la pagina Facebook “Italiani senza cittadinanza”, creata da una quindicina di figli di immigrati che non hanno la cittadinanza italiana, pur avendo vissuto da sempre in Italia ed avendo frequentato regolarmente le scuole. Tra i promotori anche il 23enne triestino Chouaib Bel Mouden "Siamo un gruppo di giovani immigrati tra i 20 ed i 25 anni che hanno sempre vissuto in Italia, frequentando le scuole italiane"

Circa un milione sono i minorenni, figli di genitori stranieri residenti regolarmente in Italia, nati in Italia, italiani in tutto e per tutto, ma non per la legge

Infatti la legge n. 91 del 1992 che regola la cittadinanza italiana, non riconosce l'acquisizione della cittadinanza per lo "Ius Soli" (sei cittadino italiano se nasci in Italia), perché in Italia prevale lo "Ius Sanguinis" (acquisisci la cittadinanza dei tuoi genitori anche se nasci in Italia).

Attualmente, questi minorenni nati in Italia da genitori stranieri potranno chiedere la cittadinanza italiana solo al compimento del 18° anno di età attraverso un complicato e costoso iter burocratico, dimostrando di aver vissuto ed essere sempre rimasti residenti in Italia ininterrottamente, fino ad allora devono rinnovare il permesso di soggiorno assieme ai genitori. Sono bambini e ragazzi che "rischiano" di perdere il diritto alla cittadinanza italiana solo per una gita scolastica fatta all'estero.

Se i loro genitori, per qualsiasi motivo dovessero perdere il permesso di soggiorno per qualsiasi motivo o intoppo, rischierebbero di essere espulsi verso un paese straniero che non conoscono e nel quale non ci sono mai stati.

Sono bambini e ragazzi che parlano italiano, anche con inflessioni dialettali, sono integrati, partecipano alla vita sociale dei luoghi in cui vivono, vanno a scuola esattamente come i loro coetanei "italiani". Ma loro, nati in Italia non sono italiani solo perché i loro genitori sono "stranieri". Ecco queste sono le seconde generazioni di migranti.

Secondo un sondaggio ISPSOS il 64% degli italiani è "molto favorevole" allo Ius Soli, e a questa percentuale si aggiunge anche un ulteriore 15% "abbastanza favorevole". Una percentuale decisamente alta, una realtà del tutto diversa da quella che certi razzisti e pseudo-razzisti vorrebbero farci credere.

Siamo duri, durissimi, con i figli degli immigrati "regolari" nati in Italia e morbidi, troppo morbidi, con i clandestini che arrivano irregolarmente in Italia.

La legislazione italiana attualmente in vigore sulla cittadinanza è quella più rigida tra tutti i paesi europei. Una legislazione che non permette il diritto di cittadinanza nemmeno ai maggiorenni che hanno frequentato regolarmente le scuole italiane. Una legislazione al limite della violazione dei diritti umani.

La proposta di uno "Ius Soli temperato", si può diventare cittadini italiani dopo aver frequentato almeno un ciclo scolastico, ci è sembrato un buon punto di mediazione, ed è quello che prevede il disegno di legge approvato esattamente un anno fa alla Camera, ma ancora fermo al Senato

Il 13 ottobre 2015 la Camera dei Deputati ha approvato con 310 sì, 66 no e 83 astenuti il disegno di legge "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza" .. "Ius Soli temperato"

Attualmente la legge è ferma al Senato impantanata tra veti incrociati e ostruzionismo delle opposizioni che non vogliono l'approvazione della riforma sulla cittadinanza.

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Articolo a cura di
Maris Davis


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martedì 11 ottobre 2016

Nel mondo oltre 700 milioni di "Spose Bambine"

Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze. Ogni anno 16 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni mettono al mondo un figlio, mentre sono oltre un milione le ragazze che diventano madri prima di compiere i 15 anni.

"Oggi nel mondo ci sono oltre 700 milioni di donne che si sono sposate in età minorile e che hanno dovuto rinunciare ad avere una crescita normale, fisica e mentale. Ogni anno 15 milioni di matrimoni hanno per protagonista una minorenne. Una volta su tre si tratta di una bambina con meno di 15 anni. Hanno dovuto spesso affrontare gravidanze precoci e violenze domestiche"

"L`Unicef da molti anni si batte per prevenire il fenomeno delle spose bambine e promuove l'istruzione delle bambine come l`investimento più potente che una nazione possa fare, perché accelera la lotta contro la povertà, le malattie, la disuguaglianza e la discriminazione di genere"

L'Unicef elenca alcuni dati sui diritti negati delle bambine e delle ragazze.
  • Almeno 70.000 ragazze tra i 15 e i 19 anni muoiono a causa di complicazioni durante la gravidanza e il parto. Le bambine sotto i 15 anni hanno 5 volte più probabilità di morire durante la gravidanza e il parto rispetto alle donne tra i 20 e i 29 anni.
  • Le bambine tra i 5 e i 14 anni sono occupate il 40% in più del tempo, circa 160 milioni in più di ore al giorno, in lavori domestici non pagati e nel raccogliere acqua e legna rispetto ai bambini della stessa fascia di età. Le ragazze tra i 10 e i 14 anni in Asia Meridionale, Medio Oriente e Nord Africa sono occupate circa il doppio del tempo in faccende domestiche rispetto ai ragazzi. I paesi in cui le ragazze tra i 10 e i 14 anni subiscono in maniera sproporzionata il peso delle faccende domestiche rispetto ai ragazzi sono: Burkina Faso, Yemen e Somalia.
  • Un bambino che nasce da una madre minorenne ha il 60% delle probabilità in più di morire in età neonatale, rispetto a un bambino che nasce da una donna di età superiore a 19 anni. E anche quando sopravvive, sono molto più alte le possibilità che possa soffrire di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici.
  • Le donne rappresentano la metà della popolazione, ma costituiscono il 70% dei poveri. Si stima che un aumento del 10% di ragazze che frequentano la scuola, farebbe aumentare il PIL del 3%.
  • Solo 1 ragazza ogni 3 maschi frequenta la scuola secondaria. Ogni anno di scuola secondaria aggiuntivo aumenta la retribuzione futura della ragazza del 15-25%.



Every Last Girl: Free to live, free to learn, free from harm, il rapporto di Save the Children. Ogni sette secondi, nel mondo, una ragazza con meno di 15 anni si sposa, spesso con un uomo molto più grande di lei, a causa della povertà e di norme e pratiche sociali discriminatorie. È quanto emerge dal rapporto "Every Last Girl: Free to live, free to learn, free from harm", lanciato oggi da Save the Children, l'Organizzazione internazionale dedicata dal 1919 a salvare i bambini in pericolo e a promuoverne i diritti, in occasione della Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze. Il rapporto sottolinea come tra le principali barriere che impediscono alle bambine e alle ragazze di accedere a servizi e opportunità nella loro vita figurano i matrimoni precoci.

La comunità internazionale si è impegnata a mettere fine alla pratica dei matrimoni precoci entro il 2030, tuttavia se il numero di spose bambine nel mondo crescerà ai ritmi attuali nel 2030 avremo 950 milioni di donne sposate giovanissime e 1,2 miliardi nel 2050.

L'India è il Paese con il più alto numero di spose bambine, con il 47% delle ragazze, più di 24,5 milioni, sposate prima di aver compiuto i 18 anni. In India, del resto, così come in Afghanistan, Yemen e Somalia, sono numerosi i casi di spose bambine che hanno meno di 10 anni e che si legano a uomini molto più grandi di loro. Dal rapporto emerge inoltre come le ragazze che vivono in famiglie povere abbiano molte più probabilità di sposarsi molto giovani rispetto alle proprie coetanee con alle spalle famiglie benestanti. In Nigeria, per esempio, il 40% delle ragazze povere si sposa prima di aver compiuto i 15 anni, una percentuale che si abbassa al 3% per le ragazze più ricche.

Anche guerre e crisi umanitarie contribuiscono ad alimentare il fenomeno dei matrimoni precoci. Molte ragazze siriane vengono costrette dalle proprie famiglie a sposarsi in tenerissima età, nella convinzione che questo sia l'unico modo per metterle al riparo da violenze e stupri e per assicurare loro risorse e mezzi di sostentamento che spesso le stesse famiglie non sono più in grado di garantire. Tra le ragazze siriane rifugiate in Giordania, nel 2013, una su quattro di età compresa tra i 15 e i 17 anni risultava già sposata.

"I matrimoni precoci rappresentano l'inizio di un ciclo di ostacoli e svantaggi che negano a bambine e ragazze i loro diritti fondamentali, tra cui i diritti alla salute e all'istruzione, e impediscono loro di vivere la propria infanzia, di realizzare i propri sogni e di costruirsi un futuro ricco di opportunità. Le bambine e le ragazze che si sposano troppo presto sono spesso costrette ad abbandonare la scuola e sono le prime a rischiare di subire violenze domestiche, abusi e stupri. Rischiano inoltre di incorrere in gravidanze precoci, con conseguenze molto gravi sulla loro salute e su quella dei loro bambini, e risultano particolarmente esposte al rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili come l'Hiv"

Ogni anno, secondo il rapporto, 16 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni mettono al mondo un figlio, mentre sono oltre un milione le ragazze che diventano madri prima di compiere i 15 anni. Le complicazioni durante la gravidanza e il parto rappresentano, dopo i suicidi, la seconda causa di morte per le ragazze tra i 15 e i 19 anni, con circa 70.000 ragazze che perdono la vita ogni anno. I bambini che nascono da madri adolescenti, inoltre, hanno il 50% d probabilità in più di morire nei primi giorni dopo il parto, rispetto ai figli di donne tra i 20 e i 35 anni di età.

Barriere amministrative e legali e pratiche socio-culturali e religiose rappresentano ostacoli spesso decisivi che impediscono in molti Paesi a bambine e ragazze di accedere a servizi di salute sessuale e riproduttiva, tra cui test dell'Hiv e metodi contraccettivi. In Yemen, dove il 32% delle ragazze si sono sposate prima dei 18 anni, non esiste un limite minimo di età per contrarre matrimonio, mentre nel mondo 30 milioni di ragazze rischiano di subire mutilazioni genitali femminili nel prossimo decennio. Oltre un terzo delle giovani donne nei Paesi in via di sviluppo, emerge inoltre dal rapporto, è fuori sia dal circuito scolastico che da quello del lavoro formale.

"L'educazione riveste un ruolo centrale nella protezione di bambine e ragazze dalle conseguenze drammatiche dei matrimoni precoci. È quindi quanto mai necessario che governi e donatori rafforzino il proprio impegno per offrire a bambine e ragazze un futuro ricco di opportunità e per mettere fine a matrimoni precoci e alle discriminazioni nei loro confronti"

In molti Paesi al mondo, infine, le ragazze continuano a non potersi esprimere liberamente e a non essere coinvolte nei processi decisionali pubblici e privati. A livello globale solo il 23% dei seggi parlamentari è occupato da donne le quali, peraltro, presiedono le Camere dei Parlamenti solo nel 18% dei casi. La più alta percentuale di donne in Parlamento si registra in Rwanda (64%), mentre le donne parlamentari sono solo il 9% in Mali, il 6% in Nigeria e il 2% in Egitto. Qatar e lo Stato insulare di Vanuatu, invece, non hanno alcuna donna in Parlamento.

Save the Children, che in molte parti del mondo realizza programmi che supportano le bambine e le ragazze più svantaggiate, chiede in particolare ai governi di impegnarsi a raggiungere tre garanzie per tutte le bambine e le ragazze al mondo. Una finanza equa che permetta loro di accedere ai servizi di base, l'eliminazione di discriminazioni economiche e sociali, meccanismi di trasparenza che garantiscano che la voce delle ragazze sia ascoltata e considerata decisiva nei processi decisionali pubblici e privati.

Every Last Girl: Free to live, free to learn, free from harm

Il Niger è il posto peggiore al mondo dove essere una bambina o una ragazza, la Svezia il migliore. Altri due Paesi scandinavi, Finlandia e Norvegia, occupano rispettivamente il secondo e il terzo posto in classifica, mentre l’Italia si piazza in decima posizione, davanti a Spagna e Germania.

In coda alla classifica, prima del Niger, troviamo altri Paesi africani quali Ciad, Repubblica Centrafricana, Mali e Somalia, che si caratterizzano per numeri molto alti di spose bambine. Gli Stati Uniti non vanno invece oltre la 32esima posizione, in virtù di tassi di mortalità materna e numero di bambini nati da madri adolescenti più alti di quelli di altri Paesi ad alto reddito.

L'Italia presenta gli stessi ottimi risultati della Svezia, prima classificata, per quanto riguarda il numero di figli per madri adolescenti (6 su 1.000) e tasso di mortalità materna (4 su 100.000 nascite), mentre ha una percentuale minore di donne che siedono in Parlamento (31% contro 44%).


Articolo a cura di
Maris Davis

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lunedì 10 ottobre 2016

Giornata Internazionale contro la Pena di morte

10 ottobre, Giornata Internazionale contro la Pena di  morte per dire NO alle esecuzioni capitali in tutto il mondo.

No alla Pena di morte
Ci opponiamo incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudele, disumana e degradante ormai superata, abolita nella legge o nella pratica, da più della metà dei paesi nel mondo. La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione.

Nel 1977, i paesi abolizionisti erano appena 16. Oggi, più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica.

La tendenza mondiale verso l'abolizione della pena di morte ha conosciuto negli anni '90 una decisa accelerazione, sostenuta dai principali organi internazionali come la Commissione sui diritti umani dell'Onu e Amnesty International. A partire dal 2007 fino al 2014, l'Assembla generale delle Nazioni Unite ha approvato diverse risoluzioni che chiedono una moratoria sulle esecuzioni e impegna il Segretario generale dell'Onu a riferirne l'effettiva implementazione e a riportare tale verifica nelle successive sessioni dell'Assemblea. Tali risoluzioni, sebbene non vincolanti, portano con sé un considerevole peso politico e morale e costituiscono uno strumento efficace nel persuadere i paesi ad abbandonare l'uso della pena di morte.

Rapporto Amnesty International sulla Pena di morte nel 2015 - Download Rapporto - Nel 2015 almeno 1.634 persone sono state messe a morte in tutto il mondo rispetto alle 1.061 del 2014, un aumento di oltre il 50%. Questa cifra rappresenta il più alto numero di esecuzioni registrate da Amnesty International dal 1989. Il totale non include il dato relativo alla Cina, dove la pena di morte è classificata come segreto di stato. Amnesty International ritiene che le esecuzioni avvenute in Cina siano state migliaia, sebbene ci siano indicazioni che il numero sia in diminuzione.

Anche il numero dei paesi esecutori è aumentato, da 22 nel 2014 a 25 nel 2015. Almeno sei paesi che non avevano eseguito sentenze capitali nel 2014 hanno messo a morte detenuti nel 2015, tra cui il Ciad, che ha ripreso le uccisioni dopo un lungo periodo di astensione (dal 2003). Nel 2015 il Pakistan ha continuato le esecuzioni a un ritmo senza precedenti, dopo la revoca della moratoria avvenuta a dicembre 2014 in seguito al massacro nella scuola di Peshawar.

Durante l'anno in Pakistan sono state messe a morte più di 320 persone, il numero più alto che Amnesty International abbia mai registrato nel paese. Le esecuzioni in Iran sono aumentate dalle almeno 743 nel 2014 alle almeno 977 nel 2015. La maggior parte delle persone uccise sono state messe a morte per reati legati alla droga. In Arabia Saudita le esecuzioni sono aumentate del 76%, dalle almeno 90 del 2014 alle almeno 158 del 2015, il numero più alto registrato nel paese dal 1995. Escludendo la Cina, Arabia Saudita, Iran e Pakistan insieme hanno eseguito circa il 90% delle condanne a morte registrate da Amnesty International in tutto il mondo nel corso dell'anno.

Rispetto al 2014, Amnesty International ha registrato un aumento delle esecuzioni anche in Egitto e in Somalia, rispettivamente del 47% e del 79%. L'aumento delle esecuzioni è particolarmente allarmante, i governi che continuano a utilizzare la pena di morte devono fermare subito questo massacro e rendersi conto che sono dalla parte sbagliata della storia.

Commutazioni o provvedimenti di grazia nei confronti di condannati a morte sono stati registrati in 34 paesi. Almeno 71 condanne a morte sono state annullate in sei paesi, Cina (1), Egitto (1), Nigeria (41), Pakistan (almeno 21), Taiwan (1) e Usa (6). Nel 2015 sono state registrate almeno 1998 condanne a morte in 61 paesi, in diminuzione rispetto alle almeno 2466 condanne a morte in 55 paesi del 2014. Alla fine del 2015, si trovavano nei bracci della morte in attesa di esecuzione almeno 20.292 prigionieri.

I paesi che hanno abolito, per legge o nella prassi, la pena di morte sono 140. Nel 2015 quattro paesi (Figi, Madagascar, Repubblica del Congo e Suriname) hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, portando il totale dei paesi completamente abolizionisti a 102. La Mongolia ha adottato un nuovo codice penale, che non prevede più la pena di morte e che entrerà in vigore entro il 2016.



Paesi abolizionisti e Paesi abolitori. Più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena di morte per legge o nella pratica. Al 31 dicembre 2015 i paesi erano così suddivisi:
  • 102 paesi hanno abolito la pena di morte per ogni reato.
  • 6 paesi l’hanno abolita salvo che per reati eccezionali, quali quelli commessi in tempo di guerra o in circostanze eccezionali.
  • 32 paesi sono abolizionisti de facto poiché non vi si registrano esecuzioni da almeno dieci anni oppure hanno stabilito una prassi o hanno assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte.
  • In totale 140 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica.
  • 58 paesi mantengono in vigore la pena capitale, ma il numero di quelli dove le condanne a morte sono eseguite è molto più basso.

Nonostante i passi indietro del 2015, il mondo continua a marciare in direzione dell'abolizione della pena di morte. Alcuni sviluppi dello scorso anno hanno dato speranza e mostrato che i paesi che ancora si aggrappano alla pena di morte sono una isolata minoranza.

Quattro paesi, Figi, Madagascar, Repubblica del Congo e Suriname, hanno abolito la pena di morte per tutti i reati mentre in Mongolia è stato adottato un nuovo codice penale abolizionista che entrerà in vigore nel corso del 2016.

Per la prima volta la maggioranza dei paesi del mondo, 102, è completamente abolizionista.


Paesi totalmente abolizionisti: 102
sono quei paesi che hanno abolito la pena di morte per tutti i reati:
Albania, Andorra, Angola, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Bhutan, Bolivia, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Burundi, Cambogia, Canada, Capo Verde, Cipro, Città del Vaticano, Colombia, Congo (Repubblica del), Costa Rica, Costa d'Avorio, Croazia, Danimarca, Ecuador, Estonia, Filippine, Finlandia, Figi, Francia, Gabon, Georgia, Germania, Gibuti, Grecia, Guinea Bissau, Haiti, Honduras, Irlanda, Islanda, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Salomone, Italia, Kirghizistan, Kiribati, Liechtenstein, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Madagascar, Malta, Mauritius, Messico, Micronesia, Moldavia, Monaco, Montenegro, Mozambico, Namibia, Nepal, Nicaragua, Niue, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Palau, Panama, Paraguay, Polonia, Portogallo, Regno Unito , Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana, Repubblica Slovacca, Romania, Ruanda, Samoa, San Marino, Sao Tomè e Principe, Senegal, Serbia (incluso il Kosovo), Seychelles, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Suriname, Svezia, Svizzera, Timor Est, Togo, Turchia, Turkmenistan, Tuvalu, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Uzbekistan, Vanuatu, Venezuela.

Paesi abolizionisti per reati comuni: 6
sono quei paesi che hanno abolito la pena di morte per i reati comuni, ma la mantengono per casi eccezionali quali, ad esempio, i reati commessi in tempo di guerra:
Brasile, Cile, El Salvador, Israele, Kazakistan, Perù.

Paesi abolizionisti de facto: 32
sono quei paesi che mantengono in vigore la pena di morte, ma nei quali le esecuzioni non hanno luogo da almeno dieci anni, oppure sono paesi che hanno introdotto delle moratorie sulle esecuzioni.
Algeria, Benin, Brunei, Burkina Faso, Camerun, Corea del Sud, Eritrea, Federazione Russa, Ghana, Grenada, Kenya, Laos, Liberia, Malawi, Maldive, Mali, Mauritania, Marocco, Myanmar, Mongolia, Nauru, Niger, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Sri Lanka, Swaziland, Tagikistan, Tanzania, Tonga, Tunisia, Zambia.

Paesi mantenitori: 58
sono quei paesi che mantengono in vigore la pena di morte:
Afghanistan*, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita*, Bahamas, Bahrain, Bangladesh*, Barbados, Belize, Bielorussia, Botswana, Ciad*, Cina*, Comore, Corea del Nord*, Cuba, Dominica, Egitto*, Emirati Arabi Uniti*, Etiopia, Gambia, Giamaica, Giappone*, Giordania*, Guatemala, Guinea, Guinea Equatoriale, Guyana, India*, Indonesia*, Iran*, Iraq*, Kuwait, Lesotho, Libano, Libia, Malesia*, Nigeria, Oman*, Palestina (Stato di), Pakistan*, Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Singapore*, Siria, Somalia*, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Stati Uniti d'America*, Sudan*, Sudan del Sud*, Thailandia, Taiwan*, Trinidad e Tobago, Uganda, Vietnam*, Yemen*, Zimbabwe.
* paesi che hanno eseguito condanne a morte nel 2015.
(Fonti e dati Amnesty International)

Rapporto Amnesty International sulla Pena di morte nel 2015
- Download -



Articolo a cura di
Maris Davis

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