lunedì 28 marzo 2016

Fermata in Camerun una delle ragazze rapite da Boko Haram a Chibok due anni fa

"Sono una delle ragazze rapite da Boko Haram". La ragazza, oggi 15enne, costretta dai miliziani islamici a diventare una donna kamikaze avrebbe detto di essere una delle quasi 300 ragazze rapite a Chibok nell'aprile 2014.

La 15enne è stata arrestata in Camerun mentre stava trasportando esplosivi assieme ad un'altra giovane ragazza nigeriana. Sono in corso le verifiche per capire se, una o entrambe, siano state tra le 270 ragazze rapite due anni fa dai jihadisti. La speranza dei genitori.

Le autorità del Camerun stanno investigando sull'identità di una aspirante kamikaze, una 15enne arrestata nell'estremo nord del Paese, afferma di essere una delle 270 giovani rapite due anni fa fondamentalisti islamici nigeriani Boko Haram a Chibok. Se confermato, si tratterebbe dunque di una delle ragazze per cui il mondo si è mobilitato con la campagna #BringBackOurGirls nell'aprile del 2014. Una cinquantina di loro riuscirono a scappare qualche giorno dopo, mentre altre 219 risultano ancora "scomparse"

La collaborazione Nigeria-Camerun. Da tempo Boko Haram, gruppo jihadista affilato a Isis, utilizza giovani donne per i suoi attacchi terroristici - leggi -. Gli inquirenti invitano alla prudenza e lavorano di concerto con le autorità nigeriane per verificare o smentire tali affermazioni. Una portavoce del governo nigeriano ha fatto sapere che è stato aperto un canale con le autorità del Camerun.

Secondo il Guardian, le forze della sicurezza hanno preso la giovane, insieme ad un’altra ragazza, nella località camerunense di Limani, non distante dal confine con la Nigeria. "Quanto affermato dalla ragazza va preso con dovuta prudenza, le sue dichiarazioni vanno confrontate con i dati in possesso dalle autorità nigeriane"

L’attesa dei genitori. "La ragazza stanca, malnutrita e psicologicamente torturata, non ha saputo dare ulteriori dettagli sulla sua permanenza nella foresta (di Sambisa), né su come lei e le altre prigioniere siano state trattate". I genitori di alcune ragazze che fanno anche parte dell’associazione Chibok Abducted Girls Movement, sono partiti verso il Camerun per aiutare nell'identificazione.

L’età della ragazza e la sua fisionomia, secondo un portavoce dell’associazione, potrebbe corrispondere a quello di una 13enne che era tra le più giovani del gruppo di rapite.
(The Gardian)



Scandalo Facebook, il social rifiuta di chiudere pagine jihadiste

Scandalo Facebook, il social rifiuta di chiudere pagine jihadiste, ma "blocca" me per 30 giorni perché ho scritto il mio "disprezzo" per chi uccide in nome di Allah.

Facebook è quotato in borsa, e da allora nessuno sa chi sia il "vero" proprietario del Social Network, quello che si sa di sicuro è che almeno un terzo delle azioni è nelle mani di fondi di investimento arabi. NON è certo che, ad oggi, sia ancora Mark Zuckerberg il vero proprietario di Facebook.

Sapere che Facebook potrebbe essere in mani "arabe" ci fa schifo, ci sentiamo traditi tutti noi che pensavamo che "Facebook" fosse un luogo LIBERO. Un Facebook nelle mani dello sterco islamico ci fa orrore. Solo immaginare che un pezzetto di "Facebook" sia stato acquistato da potentati mussulmani ci rende soldati che nell'anima hanno l'odio di chi sta per affrontare un "traditore".

Il social network rifiuta di chiudere la pagina con le minacce jihadiste alla giornalista Benedetta Salsi. Scontro senza precedenti col giudice di Reggio Emilia.

Da oggi i cittadini sono meno difesi da minacce e insulti sui social network. Con un decisione che ha dell’incredibile, nei giorni scorsi la direzione di Facebook ha definitivamente rifiutato di eseguire l’ordinanza con cui il giudice Angela Baraldi di Reggio Emilia ha disposto l’oscuramento della bacheca "Musulmani d’Italia – comunità" sui cui erano comparse le minacce e le affermazioni diffamatorie contro la cronista del Carlino Reggio Benedetta Salsi, con la promessa di "severe punizioni".

La giornalista era stata presa di mira dagli estremisti islamici dopo aver pubblicato un articolo sulle severe misure cautelari a cui è stato sottoposto Luca Aleotti, 32 anni, reggiano convertito all’Islam a seguito di un’inchiesta a suo carico per apologia di reato con l’aggravante del terrorismo.

Poi è risultato che lo stesso Aleotti era amministratore della pagina FB che ha diffuso le minacce nei confronti di Benedetta Salsi. L’8 marzo il GIP Baraldi aveva ordinato l’oscuramento della bacheca incriminata, ma dopo 17 giorni di tira e molla, e dopo ben quattro richiami da parte del magistrato, la stupefacente dichiarazione del social network, "Rejected" cioè respinto, senza altre spiegazioni.

In sostanza, aveva anticipato la direttrice di FB Italia, in quanto giornalista e perciò personaggio pubblico, Benedetta Salsi non può godere delle stesse garanzie di policy assicurate a ogni altro cittadino. Ma se queste sono le regole interne, il rifiuto di ottemperare a una decisione del giudice non ha precedenti.

La conferma che Facebook si ritiene un mondo a sé, che può sfuggire alla giustizia dei singoli paesi e dove le leggi dei singoli Stati possono essere tranquillamente stracciate, naturalmente a seconda in base alle preferenze di chi governa il social e di chi ha il potere di decidere sui controlli.

Il caso è diventato di rilevanza globale. Reggio Report lo aveva anticipato a seguito di un intervento della stessa Salsi a un corso di formazione per i giornalisti. Ieri il clamoroso "Rejected" di Facebook e la decisione del QN Resto del Carlino di lanciare una campagna nazionale. Il quotidiano ha aperto la prima pagina con la vicenda, emblematica di quanto di fronte ai Moloch del mondo globalizzato, le leggi valgano poco o nulla.

Il QN ha dedicato, oltre al titolone di prima pagina, le prime due pagine del fascicolo nazionale con l’intera storia raccontata dalla giornalista al centro delle minacce, un commento di Ugo Ruffolo e un’intervista all'ex magistrato Stefano Dambruoso, oggi deputato, secondo cui quella pagina Facebook dei "Musulmani d’Italia -Comunità" va chiusa con la forza. Vedremo se il mondo politico e la stessa categoria dei giornalisti sapranno reagire come impone la gravità della vicenda.
(Maris Davis)
#NoIslam
Angelino Alfano avverte i giganti del web
"Non potete diventare zona franca"
- leggi -

Sito Islamista minaccia la nostra cronista
Resto del Carlino Reggio Emilia
- leggi -

sabato 26 marzo 2016

Nigeria, liberati 829 ostaggi che erano nelle mani di Boko Haram

Abubakar Shekau, leader di Boko Haram
Liberati dall'esercito nigeriano 829 ostaggi che erano nelle mani di Boko Haram mentre il loro leader annuncia la resa. Abubakar Shekau, leader indiscusso di Boko Haram, in un video diffuso su youtube, appare molto stanco e indebolito.

Un messaggio di 7 minuti, un po' in lingua hausa e un po' in arabo, è rivolto ai seguaci del movimento terroristico islamista Boko Haram, di fatto divenuto la costola Isis dell’Africa occidentale. Il sedicente califfo Abubakar Shekau appare provato, emaciato, con barba incolta. Voce e postura del corpo precarie, bandiera nera del califfato alle spalle, Shekau pronuncia una frase significativa: "Per me è giunta la fine", seguita da un’altra altrettanto carica di enfasi: "Che Allah ci protegga dal male, ringrazio il mio creatore"

Le interpretazioni .. Il video, di pessima qualità e diffuso su youtube, ha immediatamente scatenato diverse reazioni e interpretazioni. Secondo una lettura ottimistica, le immagini farebbero presagire che per il leader di Boko Haram, dato più volte per morto, la fine sia ormai vicina e che in questo messaggio di commiato egli voglia in qualche modo invitare i propri miliziani alla resa.

A suffragare questa tesi, si sostiene che quando Shekau evoca Gwoza, la città dello Stato di Borno (Nord-Est della Nigeria, cuore del territorio controllato dall’organizzazione) presa da Boko Haram a metà del 2014 e diventata poi la sede del suo "califfato", una Raqqa africana, utilizzerebbe una sorta di passato remoto.

La città è stata riconquistata da parte dell’esercito regolare nigeriano in una contro-offensiva che negli ultimi mesi del 2015 ha registrato significative conquiste territoriali a danno dell’organizzazione terrorista che sarebbe ormai provata dalla mancanza di rifornimenti, strategicamente impediti dalle truppe nigeriane che hanno tagliato le linee logistiche.

Ci sono report che parlano addirittura di miliziani che si sono arresi perché rimasti senza viveri. Negli ultimi mesi, inoltre, si erano più volte rincorse le voci su una sua presunta morte o su un suo stato di salute precario. Shekau, in passato, sarebbe anche sopravvissuto a uno scontro a fuoco avuto con le forze militari nigeriane, che nel 2009 avrebbero cercato di eliminarlo.

C’è anche chi, però, sarebbe meno definitivo nel proclamare l’imminente fine di Boko Haram: il video potrebbe rappresentare un commiato del leader ma, anche, annunciare tra le pieghe nuovi avvicendamenti nella leadership del gruppo.

Ostaggi liberati
L’esercito nigeriano libera 829 ostaggi .. Sono tutte donne, ragazze e bambini. Al di là delle interpretazioni del video, è confermata la notizia di un importante successo ottenuto dalle truppe dell’esercito nigeriano. I soldati hanno liberato 829 ostaggi che erano in mano a Boko Haram e hanno messo in fuga gli islamisti da varie località nel Nord-Est del Paese.

Tutti gli ostaggi sono stati salvati nello Stato del Borno: 520 nel solo villaggio di Kusumma. Ma la bella notizia è stata in parte rovinata da un’altra giunta nelle stesse ore. Boko Haram ha rapito 16 ragazze, tra cui due bambine, nello Stato nigeriano di Adamawa, nel distretto di Madagali. È ancora presto, purtroppo, per dire se l’evento è uno degli ultimi sussulti di un’organizzazione morente o un’altra operazione nel programma jihadista dei miliziani.

Dopo diversi anni, un dato ormai certo è che, dal 2009, la violenza di Boko Haram ha causato almeno 20 mila morti nel nord della Nigeria, causato almeno due milioni e mezzo di profughi molti dei quali non potranno mai più tornare a casa perché i loro villaggi sono stati completamente distrutti.

Video nel quale il leader di Boko Haram Abubakar Shekau annuncia la resa






mercoledì 23 marzo 2016

Decisione storica della Corte dell'Aja contro lo "Stupro di Guerra"

Jean-Pierre Bemba
La corte dell’Aja ha riconosciuto per prima volta lo stupro come arma di guerra nel processo a Jean-Pierre Bemba, ex vicepresidente della Repubblica Democratica del Congo, per le violenze commesse dalle sue milizie nel 2002 e nel 2003 nella Repubblica Centrafricana.

È la prima volta che la Corte Penale Internazionale condanna un imputato per il ruolo avuto in quanto comandante militare di un esercito. Ed è anche la prima volta che la Corte focalizza una sentenza sugli stupri di massa usati come arma di guerra in un conflitto.

Più di 5.200 vittime sono state autorizzate dalla Corte a testimoniare nel processo, apertosi nel 2010, attestando di essere state assalite sessualmente o di aver subito danni e saccheggi di vario tipo. "La maggior parte degli stupri e dei saccheggi venivano perpetrati collettivamente e in pubblico, a volte in presenza dei parenti delle vittime. Era una politica seguita per terrorizzare la popolazione"

Bemba, 53 anni, arrestato mentre era in esilio in Belgio nel 2008, è la personalità di maggior prestigio finora condannato dalla CPI (Corte Penale Internazionale). In qualità di capo del Movimento per la Liberazione del Congo è stato giudicato colpevole di crimini contro l’umanità, tra cui lo stupro e il saccheggio.

Tra il 2002 e il 2003 le milizie ai suoi ordini, circa 1.500 soldati, furono trasportate al di là della frontiera del Congo nella Repubblica Centrafricana a sostegno del presidente Ange-Feliz Patassé, attaccato dai ribelli di Francois Bozize. Nonostante l’intervento di Bemba, i ribelli riuscirono a rovesciare Patassé. La pena sarà fissata in un’udienza successiva.

"Si tratta di una decisione storica con cui la Corte penale internazionale lancia un messaggio importante, che sollecita tutta la comunità internazionale e ogni singolo Stato affinché ci sia un impegno deciso contro le violenze sessuali che, è bene ricordarlo, sono gravi violazioni dei diritti umani e della legge internazionale umanitaria", scrive in una nota la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli (Pd), che nel 2013 fu prima firmataria di una specifica mozione per impegnare il Governo a mettere in atto tutti i provvedimenti necessari a prevenire e reprimere questa forma di violenza.

"I passi compiuti in avanti dalla politica e dalle istituzioni cominciano a segnare risultati concreti, nel solco della risoluzione 1820 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha riconosciuto la violenza sessuale come tattica di guerra e minaccia alla pace e alla sicurezza globali, e ha sancito che lo stupro e altre forme di violenza sessuale possono rappresentare crimini di guerra, crimini contro l’umanità e/o atti di genocidio. Mi auguro che questa nuova decisione sia un monito per tutti gli Stati ad agire ancora più concretamente contro questi crimini, che colpiscono principalmente donne e bambine e vengono perpetrati per seminare il terrore tra la popolazione civile in zone di guerra, disgregare famiglie, distruggere comunità, nonché, in alcuni casi, modificarne la composizione etnica"
(Maris Davis)

domenica 20 marzo 2016

Continua lo sbarco in Sicilia di ragazzine nigeriane, moltissime le minorenni

Sulla rotta libica "oscurata" dai governanti europei e dal governo italiano, si continua a morire, e i salvataggi si ripetono ora dopo ora

A Palermo lo sbarco delle ragazzine nigeriane, mentre Frontex si limita a sorvegliare le operazioni di sbarco ed a interrogare i migranti ancora tramortiti dal freddo.

Nel weekend oltre 1800 migranti soccorsi, occorre prendere atto che la rotta dalla Libia si è riaperta, dopo mesi di relativo rallentamento delle partenze. Ed occorre non dimenticare la situazione militare sempre più conflittuale tra le diverse fazioni che si contendono la Libia, dopo la bocciatura del governo di "unità nazionale" sostenuto dalle Nazioni Unite, ma osteggiato dalle autorità di Tripoli e di Tobruk.

Riprendono gli sbarchi anche a Palermo, questa volta è arrivata una nave norvegese dell'operazione Triton di Frontex, con un carico di oltre 700 persone, 598 uomini, 51 donne, ben 63 minori stranieri non accompagnati, in gran parte giovani ragazze nigeriane chiaramente vittime di tratta già in Libia, alcune delle quali anche incinte.

Tra le prime persone sbarcate, decine di giovani nigeriane, molte minorenni, qualcuna visibilmente bambina, al massimo avranno 14 anni, che erano frutto di una prima selezione che evidentemente era già avvenuta a bordo della nave norvegese che appartiene alla missione Triton di Frontex, a bordo della quale erano sicuramente presenti operatori di polizia appartenenti all'Agenzia.

Intanto qualcuno in Europa, come il leader inglese Cameron torna ad evocare i respingimenti in Libia, quei respingimenti collettivi ordinati da Maroni nel 2009, che sono già costati una condanna all'Italia da parte della Corte Europea per i diritti dell'Uomo. Ma i diritti umani per questa Europa di governanti meschini ed impotenti valgono sempre meno (vedi accordo Turchia - Unione Europa)
ed ecco cosa ne penso
(Vedi accordo Turchia-UE, ecco cosa ne penso)
Posted by Maris Davis Joseph (Chantal B. Dana) on Saturday, March 19, 2016

Non appena portata a terra, ciascuna ragazzina nigeriana aveva un suo percorso tra i diversi gazebo, accompagnata da operatori e mediatori di organizzazioni umanitarie in stretta collaborazione con le autorità di polizia, in particolare la guardia di finanza. Gli operatori umanitari delle organizzazioni non convenzionate erano invece relegate ai ruoli di prima assistenza e di fornitura di beni di prima necessità.

Dalle modalità di accompagnamento e dalla durata dei primi colloqui, si ricavava l'impressione che, rispetto al passato, un numero maggiore di ragazze viene individuato come "potenziale vittima" di tratta e dunque accompagnate in centri di accoglienza specializzati, anziché venire trasferite con i numerosi autobus, dai quali si verifica, già nel corso del viaggio, un elevato numero di allontanamenti.

Molte ragazze hanno infatti in tasca numeri telefonici di loro connazionali che le "prendono" già nelle piazzole autostradali nelle quali rimangono dopo essere scese dagli autobus, per finire nei circuiti della prostituzione.

Si tratta di garantire un corretto equilibrio nell'applicazione della nuova normativa anti-tratta e delle norme in materia di protezione internazionale, anche a fronte della circostanza, oggettivamente verificabili, che molte commissioni territoriali negano sistematicamente il diritto alla protezione (anche umanitaria) a minori non accompagnati e a persone maggiorenni ma ad evidente rischio di essere sfruttate dai trafficanti.

La presenza di un numero così elevato di giovani nigeriane, alcune tanto visibilmente minori da sembrare quasi bambine, ed i recenti arresti di una banda di nigeriani che gestiva il traffico a Catania, fa comprendere la potenza organizzatrice che le mafie nigeriane hanno pienamente recuperato anche in Libia, una capacità organizzativa ed un potenziale di intimidazione che stanno rapidamente aumentando anche in Italia, e in Sicilia in particolare.

La presenta della mafia nigeriana è particolarmente capillare in Campania, motivo per il quale i bus in partenza dai porti siciliani non dovrebbero MAI portare giovani migranti nigeriane in quella regione, come purtroppo continua ad accadere. Magari proprio verso i centri di accoglienza ubicati nei pressi di Castelvolturno, consegnando così le ragazze proprio nelle mani dei loro sfruttatori.

Di fronte a questo fenomeno va data immediata attuazione al piano nazionale anti-tratta recentemente approvato, superando la logica premiale che ha finora improntato l'operato delle forze di polizia che offrono protezione solo a chi collabora nelle indagini facendo nomi e dando indirizzi. Il permesso di soggiorno per protezione sociale come previsto dall'art. 18 del T.U. (legge Bossi-Fini) può prescindere dalla collaborazione nelle indagini e va riconosciuto a tutti e tutte coloro che risultino bisognose di protezione rispetto al grave sfruttamento a scopo lavorativo o sessuale.

Non sarà facile che questa diversa impostazione modifichi nel breve periodo l'operato delle forze di polizia, anche a fronte della chiusura, registrata anche in recenti incontri ufficiali, da parte delle autorità di governo, nei confronti delle associazioni indipendenti e dei cittadini solidali.

venerdì 18 marzo 2016

Dorina, minorenne nigeriana, ha fatto arrestare i suoi sfruttatori. Era da poco arrivata in Italia

Venivano reclutate in Nigeria, le giovani ragazze, anche minorenni, venivano sottoposte a un rito "JuJu" (woodoo) e poi portate in Libia per il viaggio della speranza, e dalla Libia, dopo un'attesa anche di qualche mese, con i gommoni fatte arrivare in Italia.

Una volta a destinazione venivano costrette a prostituirsi per ripagare il loro debito. A gestire il traffico umano, secondo la Procura di Catania, sei nigeriani arrestati per associazione per delinquere, tratta di persone, favoreggiamento della prostituzione anche minorile, con l'aggravante della trans-nazionalità, e riduzione in schiavitù.

Secondo le indagini il gruppo criminale con base a Catania era attivo nel centro e nel nord Italia. Qui facevano arrivare le giovanissime ragazze nigeriane dalla Libia, condotte in Italia a bordo di gommoni e poi costrette a prostituirsi per restituire ai loro aguzzini i soldi del "viaggio della speranza".

Le indagini che hanno portato ai fermi, tra Catania, Roma e Genova, di sei nigeriani accusati di aver fatto arrivare in Italia dalla Libia giovani connazionali, anche minorenni, da avviare alla prostituzione, sono cominciate nel settembre del 2015.

All'epoca lungo la Strada Statale 417 Catania-Gela fu trovata una minorenne nigeriana (nome di fantasia Dorina) che, dopo essere stata collocata in una comunità, raccontò di essere partita dal suo Paese alla volta dell'Italia dopo avere contratto un debito di decine di migliaia di euro con una mamam "Mummy" che l'aveva sottoposta al rito woodoo "JuJu", in forza del quale in caso di inadempimento, lei ed i suoi familiari sarebbero stati colpiti da disgrazie di ogni genere.

Dorina, seguendo le istruzioni di un "boga" (responsabile del trasferimento) aveva intrapreso un viaggio in più tappe dalla Nigeria alla Libia, dove si era fermata per diverse settimane controllata a vista da persone armate. Successivamente si era imbarcata su un gommone con il quale aveva raggiunto la Sicilia nell'agosto del 2015.

All'arrivo in Italia era stata collocata in una comunità nel nord Italia e da lì era stata "presa in consegna" e condotta a Catania, dove la attendeva la sua "mamam", che l'aveva immediatamente costretta a prostituirsi.

Oltre a Dorina, la ragazza che ha denunciato i suoi sfruttatori e che ha fatto partire le indagini, sono state sottratte all'organizzazione altre otto nigeriane, tra cui due minorenni. Tutte le ragazze erano costrette a prostituirsi tra Catania, Roma e Genova. Le ragazze impaurite psicologicamente sia dai riti woodoo a cui sono sottoposte, sia da minacce di morte verso familiari rimasti in Nigeria.

In una telefonata "intercettata" si sente la stessa mamma di una delle ragazze pregare la figlia in Italia di fare tutto quello che dicono gli sfruttatori finché non ha finito di pagare il debito.
(Il Messaggero)

Il Burkina Faso si impegna a contrastare il fenomeno delle "Spose Bambine"

Ogni giorno nel mondo 37.000 bambine sono costrette a sposare uomini molto più grandi di loro

Secondo le stime delle Nazioni Unite, ogni anno 13 milioni e mezzo di ragazze sono costrette a sposarsi prima dei 18 anni con uomini molto più vecchi di loro, una media di 37.000 matrimoni forzati e precoci al giorno.

I matrimoni forzati e precoci sono una gravissima violazione dei diritti umani. Isolate, tagliate fuori da famiglia, istruzione e sostegno, le spose bambine perdono la loro infanzia e la loro libertà e sono sottoposte a vessazioni e violenze. Molte di loro rimangono immediatamente incinte, a un età in cui il loro corpo non è pronto per una gravidanza. La correlazione tra matrimoni forzati e precoci e mortalità materna è tremenda.

Il Burkina Faso, recentemente colpito dall'instabilità politica e dal terrorismo, è uno dei paesi africani in cui i matrimoni forzati e precoci sono maggiormente diffusi. La differenza di età tra una ragazza e il suo futuro coniuge arriva fino a 50 anni. Ma proprio dal paese africano arrivano, a seguito di una campagna di Amnesty International, segnali incoraggianti.

Alla fine del 2015 è stato eletto il nuovo presidente che ha preso importanti impegni proprio per debellare la piaga dei "matrimoni combinati e precoci". Il ministero per l’Azione sociale e la solidarietà nazionale ha adottato la Strategia nazionale 2016-2025 e un piano triennale d’azione (2016-2018) per far cessare e prevenire il fenomeno delle spose bambine.

Dal canto suo la settimana scorsa il ministro della Giustizia, dei diritti umani e della promozione civica ha affermato l’impegno del governo nella medesima direzione, attraverso l’innalzamento a 18 anni dell’età minima delle donne per il matrimonio e l’introduzione del reato di matrimonio forzato nel codice penale.

Di tutto questo ha parlato a Roma la settimana scorsa Hortence Lougué, attivista burkinabé per i diritti delle donne. La sua organizzazione, Association d’appui et d’eveil PUGSADA, opera su questioni riguardanti la violenza di genere, l’istruzione e i diritti umani. Lavora con le ragazze e le donne che sono state costrette al matrimonio forzato e precoce anche in giovanissima età e lotta contro la pratica delle mutilazioni dei genitali femminili.

La sua organizzazione ha attualmente in corso progetti per sostenere l’istruzione delle ragazze che affrontano il matrimonio forzato e precoce.

Hortence Lougé è da molto tempo anche partner di Amnesty International Burkina Faso, con cui collabora per la formazione degli attivisti sul problema del matrimonio forzato e precoce in Burkina Faso.

Il matrimonio precoce e forzato è una violazione dei diritti umani. È illegale secondo il diritto internazionale, e anche se è vietato in molti dei paesi in cui è presente, le leggi esistenti spesso non vengono applicate oppure forniscono eccezioni per ottenere il consenso dei genitori o per le pratiche tradizionali.

In Burkina Faso, i matrimoni forzati sono un fenomeno estremamente diffuso, soprattutto nelle aree rurali. Nonostante siano vietati dalla legge, le autorità non fanno abbastanza per fermarli.

Un fiore per le bambine del Burkina Faso .. Per tutte le bambine e le ragazze costrette a perdere in questo modo così violento la propria infanzia, Amnesty International Italia chiede si firmare l'appello per chiedere al Burkina Faso di vietare al più presto i matrimoni combinati e precoci - firma qui -
#maipiùsposebambine
Condividi la nostra Campagna per dire
"No alle Spose Bambine"
- clicca qui -

giovedì 17 marzo 2016

Nigeria, attentato di Boko Haram. Ancora due ragazzine kamikaze

Attentato suicida compiuto da due ragazzine in un luogo di culto alla periferia di Maiduguri, roccaforte dei fondamentalisti, nel nord-est del paese, 25 i morti.

Ancora sangue in Nigeria dove, nonostante il rinnovato impegno del presidente Muhammadu Buhari, le milizie di Boko Haram continuano a colpire e a uccidere. Almeno 25 persone sono morte in un attentato suicida compiuto da due ragazze in un luogo di culto cristiano alla periferia di Maiduguri, roccaforte dei fondamentalisti, nel nord-est della Nigeria, almeno altre 17 persone sono rimaste ferite.

Una delle due attentatrici si è fatta saltare in aria dentro la chiesa mentre l’altra ha fatto deflagrare l’esplosivo davanti all'edificio mentre i fedeli cercavano di fuggire. Il luogo di culto si trova a Umarari, alla periferia di Maiduguri, che oggi è il centro di comando dei militari nella guerra contro gli estremisti di Boko Haram. Diversi attentatori suicidi si sono fatti esplodere negli ultimi mesi ai posti di blocco nella città presidiata dalle forze di sicurezza.

Le bambine kamikaze di Boko Haram
Il presidente Buhari ha fatto della lotta a Boko Haram uno dei pilastri della campagna elettorale che lo ha portato l’anno scorso a diventare capo dello Stato della Nigeria. Ha sostituito molti vertici militari e ha promosso, insieme a Camerun, Niger, Benin e Ciad, una coalizione militare portando la guerra soprattutto nello Stato del Borno, nord-est del Paese, storicamente il cuore del territorio sotto controllo delle milizie islamiste.

Ma, nonostante i successi militari, la battaglia non sembra destina a concludersi rapidamente. Più probabile, invece, che Boko Haram sia in fase di riorganizzazione e, comunque, quel che è certo è ancora in grado ancora di compiere stragi. Infatti, il gruppo terrorista sta tornando all'antico nelle tecniche di guerriglia.

Invece di conquistare nuovi territori, semina sangue con gli attentati. Dal giugno del 2014 Boko Haram ha utilizzato per i suoi attacchi suicidi un centinaio di donne: ma non si tratta di una novità per la Nigeria. Anche molte bambine sono costrette a compiere attentati suicidi.

lunedì 14 marzo 2016

Repubblica Democratica del Congo, autorizzato il rientro di 66 bambini adottati in Italia

La Repubblica Democratica del Congo autorizza il ricongiungimento di 66 bambini con le loro famiglie in Italia. Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni, si è detto "molto soddisfatto" del risultato e auspica che i piccoli possano abbracciare presto i loro genitori adottivi.

La notizia resa nota dalla Farnesina riprende l'annuncio dell'ambasciata italiana a Kinshasa. Il ricongiungimento di questo nuovo gruppo di bambini si aggiunge a quello di altri 14 già autorizzato a metà febbraio.

Il ministro Gentiloni confida che "la buona cooperazione in corso con le autorità congolesi possa proseguire nella sollecita azione della Commissione Adozioni Internazionali affinché le procedure vengano completate e i bambini possano presto abbracciare le famiglie adottive"

Alcune famiglie adottive italiane con i loro bambini congolesi
L'autorizzazione del ricongiungimento rappresenta un autentico traguardo per i rapporti diplomatici tra Repubblica Democratica del Congo e Italia messi a dura prova nel 2013 per presunti casi di violenze su bambini e di adozioni da parte di coppie omosessuali, vietate sia in Congo che in Italia. Allora fu una scusa per mascherare gravi mancanze e veri e propri "brogli" nel sistema di concessione delle autorizzazioni nello stesso stato africano - leggi -

All'epoca Kinshasa sospese le adozioni internazionali. Il "braccio di ferro" fra i due Stati è giunto al termine nel maggio 2014, quando un aereo proveniente da Kinshasa portò a Roma 31 bambini congolesi adottati da famiglie italiane.

Situazione geo-politica della Repubblica Democratica del Congo. Ventennale ormai la crisi umanitaria delle regioni minerarie del Nord e Sud Kivu dove si registrano infiltrazioni di bande armate dai confinanti Rwanda e Uganda. Nella regione pur essendo presente una missione di pace delle Nazioni Unite si registrano violenze continue ai danni della popolazione e il più alto numero di stupri al mondo.

Come se non bastasse il presidente Joseph Kabila, in carica dal 2001, ha chiesto e ottenuto la candidatura per un quarto mandato provocando proteste di popolo. Già le precedenti elezioni, quelle del 2011, furono svolte in un grave clima di tensione e con forti ombre sulla loro regolarità.

È in questo quadro critico che si sta sviluppando anche il problema delle adozioni con l'Italia.
(Maris)

Doppio attentato in Costa d'Avorio e in Turchia. Il paese africano colpito per la prima volta dall'integralismo islamico

Costa d'Avorio, attacco ai resort dei turisti occidentali: 16 morti. Rivendicazione jihadista. Uomini armati hanno sparato sulle persone in spiaggia nella località di Grand-Bassam.

Testimoni riferiscono che gli assalitori gridavano e facevano urlare "Allah Akhbar". Il governo: "Uccisi sei terroristi". Movimenti Al Murabitun e Al-Qaeda nel Maghreb islamico rivendicano attentato. Tra le vittime 4 europei, di cui un francese e un tedesco. Non ci sarebbero italiani coinvolti.

Sale a 16 morti, di cui 14 civili e 2 soldati, il bilancio dell'assalto alla spiaggia della località turistica Grand-Bassam, in Costa d'Avorio, a circa 40 km dalla capitale Abidjan, e molto frequentata dagli occidentali, che è stata attaccata da alcuni uomini col volto coperto e armati di kalashnikov e granate, arrivati sulla spiaggia dal mare.

Spiaggia di Grand-Bassan
Il presidente ivoriano Alassane Ouattara ha comunicato che le forze di sicurezza hanno "ucciso sei terroristi che hanno attaccato tre hotel". Secondo fonti della sicurezza, riportate da AfrikaTv, l'attentato è stato rivendicato dal movimento jihadista dell'Africa Occidentale Al Murabitun, lo stesso che aveva rivendicato l'attacco in Mali di pochi mesi fa. A quanto riporta Site, l'organizzazione americana che monitora i siti internet jihadisti, anche Al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) ha rivendicato l'attentato.

Alcuni testimoni avevano riferito che gli assalitori, forse arrivati dal mare con una barca, gridavano "Allah Akhbar" (Dio è grande).

Quattro delle vittime sono europee e tra loro ci sono un francese e un tedesco. "È un attentato vigliacco" ha affermato in un comunicato il presidente francese François Hollande, che ha assicurato "pieno sostegno al governo ivoriano nella ricerca degli aggressori e nella lotta al terrorismo". Una trentina di persone sono rimaste ferite, tra cui un bambino. Dieci sono in gravi condizioni e sono state portate via su un mezzo militare.

Attentato con auto-bomba ad Ankara
Turchia, autobomba a fermata dei bus nel centro di Ankara: 34 morti. Quasi contemporaneamente all'attentato in Costa d'Avorio nuovo terrore per le strade di Ankara, in Turchia. Un'autobomba con due kamikaze a bordo è esplosa vicino a una fermata dei bus nel centro della capitale: almeno 34 morti (tra cui due kamikaze) e 125 feriti, secondo fonti della sicurezza: "La deflagrazione è stata causata da un veicolo imbottito d'esplosivo vicino a piazza Kizilay". Delle vittime, 30 sono morte sul luogo dell'attacco e altre 4 mentre venivano trasportate in ospedale. Dopo lo scoppio, avvenuto alle 18:45, sono stati uditi spari, riferiscono fonti ufficiali della sicurezza.

Sospetti su PKK e sull'Isis. Il ministro degli Interni turco Ekfan Ala ha detto che le indagini sono in corso e alcune prove su presunte responsabilità sono già emerse. Poi ha assicurato: "Credo che le indagini si chiuderanno domani e riveleremmo il nome dell'organizzazione responsabile"

In pieno centro. L'espolsione è avvenuta tra il parco Guven e la piazza di Kizilay, a poca distanza anche da due fermate della metro, in una zona centralissima della capitale turca. Numerose macchine che si trovavano nei pressi del luogo dell'esplosione sono in fiamme. La zona è stata evacuata nel timore di un secondo attacco.
(la Repubblica)