Una conferenza internazionale ad Amburgo, interamente auto-organizzata dai rifugiati di mezza Europa, provenienti dall'Africa. Non solo crisi migratoria, ma veri interlocutori. Noi siamo qui perché voi siete lì con la guerra.
C'è un' importante lezione da imparare dall'ondata di migrazioni che interessano l'Europa in questi ultimi anni. Era davvero una bugia colossale, quella alla quale ci hanno fatto credere negli anni più giovani della nostra vita, ossia che esistano due mondi separati, quello della pace e del benessere, da una parte, e quello della povertà e delle guerre civili, dall'altra. Con presunzione osservavamo sullo schermo eventi lontani, ci mostravano immagini di morte di gente sconosciuta, diversa da noi.
Inorriditi inveivamo contro i massacri di bambini, donne, uomini per poi passare a finire di compilare la nostra lista della spesa. Ma potevamo forse immaginare che quel mondo potesse riversarsi nelle nostre vite quotidiane, presentarsi sotto casa per chiedere il conto? Può darsi. In un giorno lontano. Non oggi. Eppure quel giorno è arrivato. E quel mondo è qui e chiede il conto. E chiede di prendere in mano il proprio futuro.
"We are here" è il motto ufficioso principale delle giornate intense che hanno visto l'incontro internazionale dei rifugiati e migranti ad Amburgo dal 26 al 28 Febbraio negli spazi messi a disposizione dalla fabbrica-teatro Kampnagel. A organizzarlo sono gli stessi rifugiati attraverso associazioni internazionali come Lampedusa in Hamburg, CISPM (International Coalition of Sans-Papiers Migrants and Refugees), Voix des Migrantes, Refugee Movement Berlin, Refugee Protestcamp Hannover.
A incontrarsi sono migranti, rifugiati, attivisti da Amburgo, Berlino, Hannover, da Francia, Italia, Olanda, ecc. Il titolo ufficiale della conferenza è "The Struggles of Refugees. How to go on?" ("Le lotte dei rifugiati. Come andare avanti?"). Si vuole discutere, scambiare esperienze, mettere in atto nuovi reti di interazione.
La situazione ai confini dell'Europa, le condizioni nei campi di accoglienza, le difficoltà nei paesi di origine e l'inasprimento delle leggi sul diritto d'asilo sono i temi più importanti.
Si è giunti ad una risoluzione comune, un piano d'azione per contrastare l'emarginazione, fermare i rimpatri, migliorare le condizioni di vita nei campi di accoglienza. Di fatto il primo e più importante traguardo è stato raggiunto: essere riusciti a dare vita a uno dei più grandi incontri mai organizzati dagli stessi rifugiati, dove stavolta a parlare sono gli stessi protagonisti della "crisi europea dei migranti" che riempie le cronache di questi mesi.
È un incontro scandito da ritmi africani. Suonatori di djembe ti accolgono all' ingresso. Si parla inglese, francese, tedesco. Vengono distribuite cuffie dove si traduce in 7 lingue, tra le quali Farsi, Tigrino, rom e linguaggio dei segni. Per essere una Babele, ci si capisce benissimo.
Si sviluppano diverse discussioni plenarie e 30 workshop. Il tutto è frutto dell'auto-organizzazione e i finanziamenti (più di 17mila euro) provengono da una campagna di crowdfunding lanciata su una piattaforma di Amburgo. Oltre 1.600 le persone iscritte, ma saranno presenti almeno duemila.
Nei diversi workshop, dislocati nel complesso del teatro, si discute di razzismo, sessismo, di colonizzazione, di violenza alle porte dell'Europa, si fanno giochi di ruolo, si scambiano opinioni, le donne ricevono un proprio spazio dietro l'edificio centrale per incontrarsi e discutere tematiche specifiche.
Un centinaio di donne irromperà sul palco della sala centrale il secondo giorno della conferenza, occupandolo per protesta al grido di "women space is everywhere", chiedono di non essere messe in disparte, vogliono fare sentire le loro voci, raccontare le loro esperienze, dare valore alla loro presenza. È infatti sulla pedana della sala centrale che si accende il dibattito più vivo sui temi che stanno maggiormente a cuore, si raccolgono i racconti di chi ha vissuto la fuga, si mostrano le immagini delle vicende che accadono poco fuori dalle nostre città.
A raccontare sono eritrei, nigeriani. marocchini, tunisini, e poi afghani, curdi, siriani. C'è la storia dell'Africa. Che è poi la nostra storia. Storia di guerra, di terrore, di lotta e di emarginazione. È il racconto della lotta nei paesi di origine, dei pericoli della fuga, dello scontro con la chiusura delle porte della fortezza Europa, con le dure leggi del diritto d'asilo.
Ci sono le immagini delle condizioni catastrofiche dei campi di accoglienza descritti come "psychological prisons", la denuncia dell'impossibilità di fare sentire la propria voce, di muoversi liberamente.
La cultura dell'accoglienza. Si discute anche sugli eventi della notte di Capodanno a Colonia, e di come le destre europee abbiano strumentalizzato i fatti per inasprire il clima di paura tra i rifugiati. Una cosa è chiara, le responsabilità individuali non possono essere scaricate su un intero popolo.
La critica principale è alla politica di asilo tedesca, ovvero la lentezza delle procedure per ottenere un permesso di soggiorno, la mancanza di programmi di integrazione, l'impossibilità di spostarsi dalle aree di prima accoglienza, di inserirsi nel mondo del lavoro, di prendere contatti con la società.
Illegali, legali, "tollerati", o con permesso di soggiorno stabile. I partecipanti sono tutti diversi sul piano giuridico. Ma "siamo tutti umani", è il messaggio comune a tutti "We are here", noi siamo qui. Noi siamo qui e desideriamo far sentire la nostra voce, siamo qui e vogliamo esercitare diritti, siamo qui e non vogliamo stare ai margini delle vostre città. "We are here to stay" (siamo qui per restare).
Ma soprattutto "we are here, because you are there". Noi ci troviamo qui poiché voi siete là, con le vostre armi, i vostri interessi e distruggete i nostri paesi. La stessa Germania deve porre fine alle esportazioni di armi nelle aree di crisi e smettere in questo modo di alimentare i conflitti che sono la causa principale della fuga. Le bombe saudite che creano gli sfollati in Yemen sono fabbricate da aziende tedesche in Sardegna. Viva la globalizzazione.
Parola chiave è auto-organizzazione, e unità. Bisogna essere solidali per agire insieme. Se all'interno del sistema legale non vi è spazio per fare sentire la propria voce, si tratta di andare al di là della legge. Creare reti di aiuto e sostegno, attivare movimenti all'interno della società civile, documentare gli atti di violenza, manifestare insieme per fare sentire la propria presenza. Si portano a conoscenza gli esempi migliori di cooperazione.
Si tratta di intervenire contro l'ideologia della Fortezza Europa e i guardiani dei suoi confini: questi, è evidente, non sono più in grado di fermare i movimenti che spingono alle porte.
Si tratta di documentare gli atti di violenza, di fare sentire la propria protesta contro la situazione di emergenza dei profughi che aspettano di poter attraversare i confini nei Balcani, delle migliaia di migranti che vivono in condizioni catastrofiche in campi come quello di Calais, di quei rifugiati che vengono rimpatriati in paesi come l'Afghanistan, che sono ben lontani dall'essere sicuri.
Alla fine della Conferenza le organizzazioni si danno nuovi appuntamenti. Centinaia di manifestazioni sono previste in diverse città europee. L'appuntamento principale è però quello per l'anno prossimo a Berlino, per un nuovo incontro internazionale nella speranza di poter scambiare esperienze sulla base di successi raggiunti.
È un movimento di giustizia sociale che cresce e non può essere governato con le vecchie regole. È la società civile che si organizza e i confini giuridici non bastano a descriverla. È il mondo che chiede di cambiare. Perché il mondo è uno. E il passato non è passato. Che si voglia riconoscere in queste migrazioni un'opportunità o che vi si veda una minaccia per il proprio "benessere".
(Globalist, da un articolo di Nina Lepori)
Foundation for Africa plaude all'iniziativa della conferenza internazionale di migranti e plaude per aver evidenziato le varie criticità sull'accoglienza in Europa, ma critica fortemente l'idea che tutti i migranti sono uguali, come sembra essere l'immagine uscita da questa tre giorni auto-organizzata.
Premesso che la maggior parte del flusso migratorio proviene dal medio-oriente, Siria in particolare, e che l'80% dei migranti arrivati in Europa è di fede mussulmana.
Fermo restando il fatto che nella stragrande maggioranza dei paesi di provenienza dei flussi migratori i cristiani sono minoranze perseguitate. Nella stessa nostra Nigeria i cristiani hanno subito negli ultimi anni ogni sorta di persecuzione e orrore.
Stiamo assistendo ad una vera e propria invasione islamica dell'Europa, e in questo vediamo un vero e proprio disegno globale per destabilizzare la stessa Europa e ci chiediamo come mai i migranti provenienti dal medio oriente NON vengano accolti da altri paesi arabi, come per esempio l'Arabia Saudita, la Giordania e la stessa Turchia.
Stiamo assistendo inorriditi al "perverso" doppio-gioco della Turchia che da un lato riceve miliardi di euro dall'Europa "compiacente" e dall'altro non fa nulla per fermare la massiccia migrazione verso la Grecia, e anzi la favorisce. Una Turchia sempre più perversa che da un lato dice di perseguire l'ISIS e il suo integralismo, dall'altro favorisce l'attraversamento delle sue frontiere dei "foreign-fighters".
Le ragazze nigeriane perseguitate da Boko Haram vengono respinte mentre i siriani vengono accolti tutti |
Non possiamo tacere per il diverso trattamento dei migranti. Da un lato quelli siriani che l'Europa accoglie (vedi la stessa Germania) senza se e senza ma, anche se i siriani fuggono da una guerra civile che loro stessi hanno provocato, che l'Islam ha provocato, e dall'altro vediamo respingere sempre con maggiore cinismo i migranti cristiani provenienti dalla nostra Nigeria che invece fuggono dagli orrori di Boko Haram e dalla "mafia nigeriana". Una disparità inaccettabile di trattamento che si giustifica con il fatto che la Nigeria NON è un paese in guerra.
Siamo contro i muri e i fili spinati, ma siamo davvero critici verso questa Europa che respinge con troppa facilità i migranti dell'Africa Sub-Sahariana, luoghi che la stessa Europa sta sfruttando e ha sfruttato per secoli, soprattutto se cristiani perseguitati, ma accoglie anche senza troppi controlli per esempio i siriani, afghani, pakistani, ecc..
Siamo davvero arrabbiati verso questa Europa che si lascia "invadere" da questo Islam che prima perseguita i cristiani nel mondo, distrugge le loro chiese, rapisce e violenta le loro ragazze, e poi arriva qui in Europa e, piangendo, chiede (e spesso pretende) accoglienza.
Siamo davvero arrabbiati verso questa Europa che si lascia "invadere" da questo Islam che prima perseguita i cristiani nel mondo, distrugge le loro chiese, rapisce e violenta le loro ragazze, e poi arriva qui in Europa e, piangendo, chiede (e spesso pretende) accoglienza.
(Maris)
Questa Europa sull'accoglienza sta davvero sbagliando su tutti i fronti
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