venerdì 29 maggio 2015

Burkina Faso, far pace col passato per proiettarsi nel futuro

Thomas Sankara
È arrivata l'ora far piena luce sulla morte violenta di Thomas Sankara. Sono stati avviati i lavori per l’esumazione delle spoglie dell’icona ed ex Presidente burkinabè Thomas Sankara. Un passo fondamentale per scoprire cosa avvenne quell'ottobre del 1987 quando venne assassinato. Ma anche decisivo per dar slancio al cambiamento che il paese tanto desidera.

A piccoli passi il "Paese degli Uomini Integri" (così lo chiamò Thomas Sankara nel 1984) continua il proprio cammino verso le presidenziali del prossimo 11 ottobre. Dopo il ritorno in patria della vedova Sankara e la sua comparsa davanti al giudice istruttore una decina di giorni fa, lunedì scorso sono iniziati i lavori di esumazione delle spoglie del Capitano e dei 12 compagni caduti con lui quel lontano 15 ottobre 1987. Il processo sull'assassinio dell’ex Presidente burkinabè entra in una fase cruciale, dopo 18 anni d’attesa.

Lunedì il cimitero Dagnoen, a est di Ouagadougou, era gremito da una folla silenziosa, tenuta fuori dal campo santo dalla Gendarmeria. Sentimenti contrastanti, un po’ come il cielo sopra la città che ha minacciato tutto il giorno con nuvoloni fuori stagione. Il team d’esperti, nominato dal giudice e composto da due medici burkinabè e un francese, ha cominciato a lavorare sulle tombe di due compagni di Thomas Sankara.

Dagnoen, luogo dove si presume siano sepolti i resti
di Sankara e dei suoi 12 compagni assassinati con lui
Il giorno seguente, martedì, è invece stato aperto il mausoleo contenente le "presunte" spoglie di Thomas Sankara. La gente, accalcata sui muri di cinta e fuori dal cimitero, ha accompagnato le casse contenenti i resti (qualche osso e dei frammenti di vestiti) dell’ex presidente intonando l’inno nazionale, come durante l’assalto all'Assemblea Generale il 30 ottobre scorso (manifestazioni per la destituzione di Blaise Campaoré). Mariam Sankara, che si è rifiutata di presenziare all'esumazione, ha dichiarato "Non è facile per certe famiglie. Là c’è un clima di morte. È come andare all'obitorio".

La famiglia Sankara non è mai stata informata ufficialmente su dove fosse sepolto il Thomas né ha mai potuto vederne il corpo esanime. Ricostruzioni, testimonianze e voci hanno poi trasformato 13 anonime tombe del cimitero Dagnoen nel mausoleo di Thom Sank e dei martiri del 15 ottobre 1987, anche se la famiglia non ha mai creduto che lui riposasse davvero in quel luogo. L’analisi del DNA sui resti ritrovati nelle tombe in questi giorni potrebbero finalmente dare una risposta a Mariam e al popolo burkinabè segnando una svolta che potrebbe velocizzare il processo sull'omicidio dell’ex Presidente e altri dossier politici dell’era Compaoré (come quello di Norbert Zongo, giornalista burkinabè assassinato nel 1998 perché voleva far luce proprio sulla morte di Sankara) che fremono sulla scrivania del giudice.

Mariam Sankara al suo arrivo i Burkina Faso
Come ricorda Bénéwendé Stanislas Sankara, capo del pool di avvocati della famiglia "Sono ormai 18 anni di procedura legale, 18 anni che lottiamo contro tutte le giurisdizioni. Siamo stati perfino davanti alla commissione dei diritti dell'uomo dell'Onu che, nel 2006, ha condannato lo Stato del Burkina Faso intimandogli di riprendere l'inchiesta. Ma ci sono voluti anni di ping-pong fra le diverse procedure giudiziarie nazionali. Il presidente Compaoré, ovviamente, non aveva nessun interesse a fare luce sulla faccenda, visto che era lui ad aver tratto beneficio da tale crimine che ogni giurisdizione burkinabè sotto il suo regime si è dichiarata incompetente a giudicare".

Stanislas, recentemente nominato candidato unico del fronte sankarista (formato da 10 partiti e diversi movimenti) alle presidenziali, si dice comunque fiducioso rispetto allo svolgimento del processo "Con il cambio di regime e sotto lo sguardo vigile del popolo burkinabè che tiene particolarmente a questo dossier, gli errori non sono più accettabili. Bisogna andare fino in fondo. Dobbiamo rispettare le procedure e i diritti della difesa per arrivare a scoprire gli autori di tale assassinio e a punirli davanti alla legge. Se abbiamo resistito per 18 anni ora siamo disposti ad aspettare ancora quel poco che manca per raggiungere la verità".

Una verità fortemente cercata anche dalla campagna internazionale "Giustizia per Thomas Sankara. Giustizia per l’Africa" nata il 21 dicembre 2009 e che, recentemente riproposta sui "Social Network", ha superato le 13mila adesioni in tutto il mondo. Parallelamente il 5 maggio è stato lanciato da 26 deputati burkinabè del CNT (Consiglio Nazionale della Transizione) un appello al governo francese per l’apertura di un’inchiesta parlamentare sulle circostanze dell’assassinio dell’ex Presidente del Burkina Faso, chiedendo anche di rendere pubblici documenti e archivi rimasti coperti dal segreto di Stato.

La lettera dei deputati burkinabè è stata indirizzata direttamente a Claude Bartolone, presidente del Parlamento francese nato a Tunisi da madre maltese e padre siciliano, un bracciante agricolo scappato in Tunisia durante il fascismo. La petizione è già stata firmata da oltre 2000 persone, fra cui molti italiani grazie all’impegno di personalità del mondo dello spettacolo come Fiorella Mannoia e giornalisti come Silvestro Montanaro.

Firma la Petizione anche tu - clicca qui -

L’attenzione con cui viene seguito questo processo, in Burkina Faso, in Africa e non solo, rivela una volta di più quanto il vento di cambiamento e la lotta per maggiori diritti e dignità del Burkina di oggi sia legato a doppio filo con le ferite aperte del passato e con gli ideali sankaristi di cui questa terra è ancora piena.
(News da Nigrizia)

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mercoledì 27 maggio 2015

Nigeria, liberate altre venti ragazze

In un'operazione nella foresta di Sambisa l'esercito nigeriano ha ucciso decine di militanti di Boko Haram e liberato 20 ragazze e alcuni bambini. La foresta di Sambisa si trova nel nord-est del paese ed è considerata l'ultimo covo rimasto del gruppo estremista islamico nigeriano.

In una dichiarazione il portavoce militare, Generale Chris Olukolade, ha raccontato che durante l'operazione un soldato è stato ucciso a causa dell'esplosione di una mina e circa altri 10 sono rimasti feriti. L'operazione militare sarebbe avvenuta lo scorso venerdì.

"Le truppe hanno bruciato le tappe grazie all'offensiva messa in atto. Un totale di 20 donne e bambini sono stati salvati". Il portavoce dell'esercito ha poi aggiunto che nella foresta di Sambisa sono ancora in corso altre operazioni per "stanare" i covi di Boko Haram. Operazioni effettuate anche in collaborazione con gli eserciti dei paesi vicini (Camerun, Ciad, Niger).

La foresta Sambisa copre una vasta area in una parte remota del nord-est della Nigeria, il che rende anche difficile verificare le affermazioni dell'esercito.

Dalla fine di aprile ad oggi l'esercito nigeriano ha liberato più di 700 donne e ragazze che sono state rapite da Boko Haram, ma nessuna di loro fa parte del gruppo delle oltre 200 ragazze rapite a Chibok nell'aprile del 2014, un caso che fece molto scalpore a livello internazionale.

Molte delle donne liberate sono rimaste prigioniere dei miliziani islamici per moltissimi mesi, più di 200 ragazze sono risultate incinta, violentate dai Boko Haram affinché partoriscano i futuri figli dell'Islam.


Aiuti italiani per i profughi nigeriani di Boko Haram rifugiati in Camerun. Allarme bambine kamikaze

In fuga da Boko Haram. Rifugiati nigeriani in Camerun
Kit d'emergenza e beni di prima necessità sono stati inviati dall'Italia per aiutare migliaia di persone fuggite in seguito alle rappresaglie dei terroristi nigeriani. L'organizzazione Intersos provvederà a distribuire il materiale che aiuterà più di duemila famiglie.

È arrivato a Matoua, nel nord del Camerun il volo partito dal Ghana che grazie all'impegno della cooperazione italiana porterà beni di prima necessità agli sfollati fuggiti in seguito alle rappresaglie di Boko Haram in Nigeria. Grazie all'impegno italiano l'ONG Intersos che da anni opera sul campo potrà distribuire prodotti preziosi a migliaia di famiglie intrappolate in una vita di stenti e difficoltà.

Una goccia nell'oceano. Il valore del cargo si aggira intorno ai 120 mila euro cui vanno aggiunti i 350mila che gli Affari esteri e la cooperazione internazionale hanno messo a disposizione dell'organizzazione internazionale per le migrazioni. Il carico consiste in 12 tonnellate di aiuti e beni di prima necessità destinati a 2505 famiglie sfollate e 380 comunità ospitanti all'interno del distretto di Mayo Sava. "Le famiglie sfollate sono fuggite senza poter portare nulla con loro, vivono accampate nei villaggi che le ospitano sotto ripari precari, donne, bambini, anziani esposti al freddo della notte, alla sabbia, al rischio di malaria".

Aiuti preziosi ma non risolutivi. Zanzariere, sistemi di distribuzione e conservazione dell'acqua potabile, materiali igienici sono solo alcuni dei prodotti distribuiti dall'organizzazione. Un aiuto prezioso, ma non risolutivo per le migliaia di persone che vivono ogni giorno il dramma di aver perso tutto. "Sono migliaia le persone che non hanno accesso ai servizi vitali, l'acqua inizia a scarseggiare sia per la popolazione locale che per gli sfollati. Le devastazioni prodotte dalle incursioni delle milizie di Boko Haram impediscono le attività agricole e commerciali e stanno privando queste famiglie dei mezzi di sostentamento. Con l'arrivo della stagione delle piogge questa situazione non potrà che peggiorare".

L'avanzata non si ferma. Dopo aver seminato terrore e distruzione in Nigeria, il gruppo terroristico Boko Haram è arrivato anche nel nord del Camerun. Il dilagare di attentati e rappresaglie costringe sempre più persone ad abbandonare le proprie case e fuggire. Secondo le Nazioni Unite nel nord del Camerun tra sfollati interni e profughi nigeriani più di 74 mila persone hanno bisogno d'aiuto. Mentre i governi dell'area continuano a rispondere inadeguatamente all'emergenza, l'escalation di violenza sembra inarrestabile. Stupri, rapimenti e attentati continuano a far tremare la popolazione intrappolata in una delle emergenze umanitarie peggiori al mondo.

Unicef, allarme bambine kamikaze. Miliziani di Boko Haram hanno ucciso una quarantina di persone e distrutto più di 400 edifici in un assalto avvenuto sabato nella città di Gubio nello Stato di Borno, nel nord-est della Nigeria. Quest''ultimo attacco, secondo una fonte militare ha coinvolto circa 50 membri del gruppo estremista islamico ed è durato circa cinque ore nel pomeriggio di sabato. Si è venuto a sapere dell'attacco solo ieri a causa delle difficili reti di telecomunicazioni nella regione nord-orientale della Nigeria.

"Sono arrivati sparando e minacciando di uccidere tutti. Hanno dato fuoco a molte case, bruciato auto e moto. I terroristi hanno ucciso decine di persone, tra cui due ragazzi". Gli edifici che sono stati bruciati dai miliziani Boko Haram includono otto moschee, quattro scuole e un edificio governativo locale.

Boko Haram è stato cacciato da quasi tutto il territorio che aveva conquistato grazie alle offensive condotte dalle forze armate della Nigeria sostenuti dai soldati dagli stati confinanti del Ciad, Niger e Camerun negli ultimi mesi. La minaccia comunque non sembra essere finita.

Fonti militari ritengono che la maggior parte dei militanti di Boko Haram si siano ritirati nella foresta di Sambisa nel nord-est del paese. Una serie di operazioni militari nella foresta hanno portato alla liberazione di molte donne bambini ostaggi del gruppo.

Nei primi cinque mesi del 2015 un maggior numero di donne e bambine sono state usate per attacchi suicidi nella Nigeria nordorientale. Nell'intero 2014 vi sono stati 26 attacchi suicidi e già 27 nei primi mesi del 2015, in quasi tutti sono state coinvolte donne e bambine kamikaze.

Secondo l'Unicef "Le bambine sono le prime vittime, non le responsabili. Le bambine non decidono gli attacchi suicidi ma vengono sfruttate dagli adulti nel modo più terribile possibile".
(Fonti Intersos e BBC)


martedì 26 maggio 2015

Nigeria. Paese ricco di petrolio ma povero di benzina

La Nigeria senza carburante. La più grande economia dell'Africa è in grossa difficoltà per le proteste di benzinai e fornitori, le principali aziende hanno tagliato i servizi.

La scarsità di petrolio ha portato a una situazione di paralisi in tutto il paese, visto che la rete elettrica non è efficiente, i prezzi della benzina al mercato nero sono aumentati molto velocemente e hanno raggiunto prezzi altissimi. Inoltre sono state colpite molte aziende dei settori più ampi e hanno annunciato tagli e disservizi: si va dalle società di telecomunicazioni come MTM, che ha 50 milioni di abbonati, a quelle di telefonia (spesso le torri di rete locali, così come la maggior parte delle abitazioni private, sono alimentate da generatori a diesel). Le banche che hanno chiuso filiali o ridotto gli orari di apertura, le aziende di trasporti e le principali compagnie aeree del paese (come Arik Air e Aero Contractors) sono state costrette a cancellare diversi voli. I voli internazionali sono inoltre costretti a atterrare nei paesi vicini per fare rifornimento.

Da un mese i distributori sono in sciopero per protestare contro il prezzo fisso del carburante imposto dal governo, in un paese, che pur essendo il più grande produttore di petrolio d'Africa (2,5 milioni di barili di greggio al giorno), dipende in larga parte dai prodotti petroliferi raffinati all'estero a causa della mancanza strutturale di raffinerie locali.

Per calmierare i prezzi alla vendita il governo ha stabilito un prezzo fisso di 0,44 dollari al litro. Tuttavia i rivenditori di carburante e i gestori delle pompe di benzina devono acquistare dall'estero i prodotti petroliferi a prezzo di mercato, per questo accusano il governo di aver contratto un debito con loro di circa un miliardo di dollari, l’equivalente delle perdite riportate a causa della differenza tra il prezzo fisso imposto dallo stato e il costo delle importazioni.

La Nigeria è uno dei principali produttori di petrolio dell’Africa. Nonostante questo, però, dipende dalle importazioni di prodotti raffinati poiché sul suo territorio non ci sono raffinerie. Le proteste e le interruzioni delle forniture sono cominciate circa un mese fa, contro la decisione del governo di imporre un prezzo fisso del carburante (87 naira al litro, corrispondenti a 0,44 dollari).

I rivenditori e i gestori delle pompe di benzina devono però acquistare all’estero i prodotti petroliferi a prezzo di mercato e accusano il governo di aver accumulato con loro un debito di quasi un miliardo di dollari, calcolato come differenza tra il prezzo fisso imposto dallo Stato e il costo delle importazioni.

La crisi arriva in un momento molto delicato per la Nigeria. Il prossimo 29 maggio si insedierà ufficialmente il nuovo governo del presidente Muhammadu Buhari e si attende l’arrivo di circa 50 leader politici e capi di Stato da tutto il mondo. Il partito del nuovo presidente ha accusato il governo uscente di "sabotaggio" per non essersi occupato della crisi.
(Fonte Ansa)

Africa Libera
Via dall'Africa chi "ruba" all'Africa .. Sono stanca del "razzismo" degli italiani, ho cercato di capire, ho cercato di comprendere, ma adesso basta. L'impoverimento dell'Africa è colpa dell'Europa, quella stessa Europa che "rifiuta" di accogliere i miei fratelli africani. Ogni giorno sopporto l'odio di "troppi" italiani, è ora che l'ENI, e tutte le altre compagnie e multinazionali che stanno sfruttando l'Africa .. SE NE VADANO VIA DALL'AFRICA.



sabato 23 maggio 2015

23 maggio 1992 La strage di Capaci, il ricordo per dire No alla mafia

Giovanni Falcone e la moglie
Strage di Capaci, l’attentato mafioso portato a termine il 23 maggio 1992 a pochi chilometri da Palermo, vicino allo svincolo di Capaci dell’autostrada A29, che provocò la morte del giudice antimafia Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo (sua moglie), e di tre agenti della sua scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Sopravvissero all'attentato gli agenti Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Paolo Capuzzo, oltre a Giuseppe Costanza, l’autista giudiziario che nell'occasione si trovava sul sedile posteriore dell’auto di Falcone.

I responsabili della strage. Tra gli esecutori materiali dell’attentato (in tutto almeno cinque persone) ci sono anche Giovanni Brusca (colui che azionò il telecomando al passaggio della macchina del magistrato) e Pietro Rampulla (colui che realizzò e collocò l’esplosivo). Tra i mandanti, invece, ci sono (secondo la sentenza della prima sezione penale della Cassazione arrivata nel 2008) Carlo Greco, Mariano Agate, Salvatore Buscemi, Salvatore Montalto, Pietro Aglieri, Giuseppe Farinella, Giuseppe Madonia e Benedetto Santapaola.

I minuti precedenti. Il delitto compiuto dai mafiosi è studiato nei minimi particolari. Sotto l’autostrada A29, nel tratto che collega Palermo e l’aeroporto di Punta Raisi, viene scavata una galleria in cui vengono posizionati cinque quintali di tritolo. Quando rimane vittima dell’attentato, Giovanni Falcone sta tornando, come di consueto nei week-end, da Roma. Dopo essere partito dall'aeroporto di Ciampino con un jet di servizio alle 16.45, atterra in Sicilia dopo poco meno di un’ora di viaggio.

A Punta Raisi lo aspettano tre vetture (tre Fiat Croma blindate), insieme alla scorta guidata da Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo. Una volta sceso dall'aereo, Falcone decide di mettersi alla guida, facendo sedere sul sedile posteriore l’autista Costanza. Falcone si trova su una Croma bianca, di fianco a lui c’è la moglie Francesca.

Davanti a loro, invece, su una Croma marrone si trovano Vito Schifani, alla guida, Antonio Montinaro, agente scelto seduto di fianco a Schifani, e Rocco Dicilio, seduto dietro; chiude la scorta, infine, una Croma azzurra con a bordo Cervello, Corbo e Capuzzo. Quando le tre vetture partono dall'aeroporto, i sicari che hanno posizionato il tritolo vengono avvisati via telefono. Le tre Croma imboccano l’autostrada verso Palermo senza accendere le sirene. Gli spostamenti delle auto vengono seguite da un’auto su una strada parallela, per segnalarne la posizione ai sicari.

Strage di Capaci
L’esplosione. Alle 17.58, in corrispondenza del chilometro 5 dell’autostrada, Giovanni Brusca aziona con un telecomando la carica di tritolo. Pochi secondi prima dello scoppio, Falcone rallenta improvvisamente dopo essersi piegato leggermente verso il cruscotto per prendere un mazzo di chiavi, Brusca, sorpreso, preme in anticipo il pulsante. Di conseguenza, a essere investita in pieno dall'esplosione è solo la prima Croma, i suoi resti vengono scaraventati oltre la corsia opposta, e gli agenti muoiono sul colpo.

La Croma bianca a bordo della quale si trova Falcone, invece, si schianta contro i detriti e il muro di cemento innalzatosi a causa dello scoppio. Sia il giudice che sua moglie Francesca non hanno le cinture di sicurezza allacciate, e vengono scagliati conto il parabrezza.

In apparenza le ferite di Falcone non sono gravi, e in effetti il magistrato viene portato in ospedale quando è ancora vivo. Morirà più tardi, a causa di diverse emorragie interne. Gli agenti a bordo della Croma azzurra, infine, si salvano, così come le altre persone (circa venti) che passano nel punto dell’attentato al momento dello scoppio. Sulla strada si apre una voragine immensa, mentre i residenti delle abitazioni vicine all'autostrada immediatamente avvisano le autorità, scendendo in strada per prestare i primi soccorsi.

La morte di Falcone. Giovanni Falcone viene trasportato all'Ospedale Civico di Palermo, scortato da un elicottero dei carabinieri. Alle 19.05, però, muore nonostante i tentativi di rianimazione. Fatali sono le lesioni interne e il trauma cranico. Tre ore più tardi, intorno alle 22, morirà anche la moglie Francesca Morvillo.

Le reazioni. La strage provoca i festeggiamenti da parte dei mafiosi rinchiusi nel carcere dell'Ucciardone, ma anche una profonda reazione di sconcerto da parte dell’opinione pubblica italiana ed internazionale.

Data simbolo. Da quel 23 maggio del 1992, nel ricordare la morte di Giovanni Falcone, della moglie e della sua scorta, la data rimane un simbolo della lotta alla mafia.

La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.
(Giovanni Falcone)



venerdì 22 maggio 2015

Sud Sudan, i ribelli attaccano i pozzi petroliferi nell'Upper Nile

Campo profughi Sud Sudan
Circa 400 tecnici cinesi dell’industria petrolifera sono stati evacuati dai giacimenti di greggio dove lavoravano nello Stato di Upper Nile (Alto Nilo). La decisione, annunciata dall'emittente di Pechino CCTV è stata motivata con un’avanzata dei ribelli dell’ex vice-presidente Riek Machar.

I tecnici sono dipendenti della China National Petroleum Corporation (CNPC) e lavoravano negli impianti di Paloch, un’area situata circa 200 chilometri a nord di Malakal, città strappata solo pochi giorni fa alle truppe governative. Un portavoce dei ribelli ha riferito di un’offensiva da più direzioni che avrebbe come obiettivo proprio la conquista dei pozzi, tra i più importanti del paese, tuttora sotto il controllo delle forze governative fedeli al presidente Salva Kiir.

Zona dove sono ubicati i pozzi petroliferi
Il conflitto civile cominciato in Sud Sudan nel 2013 ha ridotto in modo drastico la produzione di greggio, la principale risorsa economica del paese. Titolari delle concessioni principali sono la Cnpc, la malese Petronas e l’indiana Oil and Natural Gas Corporation (Ongc).

La ricchezza, quella del petrolio, che è alla base di un conflitto che solo apparentemente è iniziato per motivi etnici.

Negli ultimi giorni combattimenti si sono verificati anche in altre zone dell’Upper Nile. Proprio ieri un portavoce dei ribelli ha riferito di "un ripiegamento tattico" da Mulut, cittadina lungo la riva del Nilo Bianco occupata martedì. Nell'assalto le forze di Machar avevano anche bombardato una base della missione dell'ONU, uccidendo quattro persone.

Gravissima la situazione umanitaria in Sud Sudan, decine di migliaia, forse 200.000, le persone fuggite dai luoghi di conflitto e ospitati nelle decine di campi di fortuna allestiti dalle Nazioni Unite e dalle varie associazioni umanitarie presenti sul posto, e l'avvicinarsi della stagione delle piogge di certo non aiuta a migliorare la situazione. Secondo l'UNHCR almeno la metà dei profughi sono bambini non accompagnati.

Medici Senza Frontiere e Unicef denunciano violenze, villaggi bruciati, uccisioni indiscriminate, feriti abbandonati e stupri di massa.
(Fonte Reuters)


Nigeria, cinquecento militari dell'esercito a processo per indisciplina

Esercito nigeriano
In Nigeria, due corti marziali hanno dato inizio, un paio di settimane fa, al processo di oltre 500 soldati dell'esercito nigeriano. Le accuse su di loro sono legate al comportamento indisciplinato, e insubordinazione. Alcuni di loro rischiano seriamente la pena di morte.

Questi processi sono iniziati molto discretamente tra fine aprile e inizio maggio, e per lo più si sono svolti a porte chiuse. Oltre 400 soldati saranno processati ad Abuja, capitale federale, e poco più di 100 a Lagos, megalopoli della Nigeria.

Per tutti si tratta essenzialmente di casi di indisciplina come l'ammutinamento, la disobbedienza e l'insubordinazione. Reati gravi quasi certamente legati alla lotta contro Boko Haram, in diversi casi interi battaglioni dell'esercito sono fuggiti di fronte all'avanzata di Boko Haram permettendo così ai miliziani islamici la conquista di città e villaggi. L'esercito ufficialmente ha però rifiutato di entrare nei dettagli o specificare quali sono le accuse.

Esercito nigeriano
Alla fine dell'anno scorso, 54 soldati vennero infatti condannati a morte per ammutinamento. La loro colpa era appunto quella di aver rifiutato di prendere parte alla offensiva contro gli islamisti per riprendere tre cittadine che Boko Haram aveva conquistato nell'agosto 2014.

A quel tempo, molti soldati inviati nel nord-est del paese, si erano lamentati per le condizioni sul campo, come la mancanza di armi e il mancato pagamento degli stipendi.

Diverse città vennero facilmente conquistate dai combattenti di Boko Haram meglio attrezzati rispetto ai soldati nigeriani che a volte abbandonavano le loro armi e fuggivano. Il caso fece sollevare molte critiche nei confronti dell'allora presidente Goodluck Jonathan, che l'aprile scorso ha perso le elezioni contro lo sfidante Muhammadu Buhari.
(Fonte RFI France)


martedì 19 maggio 2015

Nigeria, il Senato approva la legge che vieta le mutilazioni genitali femminili

In Nigeria il Senato federale ha approvato il "Violence against Persons (Prohibition) Bill", ovvero la legge che vieta la mutilazione genitale femminile e la considera una violenza.


Con questa legge vengono vietati anche l'abbandono della coniuge o dei figli senza fornire il mantenimento adeguato. La legge contro la mutilazione genitale femminile è tesa ad eliminare la violenza domestica e pubblica verso le donne, ad accogliere coloro che hanno subito abusi di qualunque natura, e a condannare, invece, coloro che l'hanno commessa.

Ike Ekweremadu, vicepresidente del Senato, durante il suo intervento ha sostenuto che la legge contro la mutilazione genitale ha anche l'obiettivo di tutelare le donne che hanno bisogno di protezione e di punire coloro che se ne approfittano.

Speriamo che adesso questa importantissima legge per la Nigeria venga anche messa in pratica. Le mutilazioni genitali femminili in Nigeria sono diffuse soprattutto nel nord tra le popolazioni islamiche, ma anche al sud dove sono ancora forti i culti animisti e delle antiche tradizioni.

Le Nazioni Unite riportano che oggi più di 140 milioni di donne e bambine di tutto il mondo hanno subito una forma di mutilazione genitale. Se non si farà nulla per fermare questo fenomeno, entro il 2030 altre 86 milioni di bambine saranno sottoposte a una qualche forma di mutilazione genitale.

Anche l'Italia non è immune da questa pratica dove si stima che siano 40mila le donne vittime, ed è il dato più alto registrato in Europa dove si contano all'incirca 500mila casi. In Europa le mutilazioni genitali sono praticate quasi sempre all'interno di comunità di immigrati. La mutilazione genitale è un reato penale in tutti gli Stati europei. In Italia tale pratica viene regolamentata dall'art. 583 bis del Codice Penale.
(Fonte Naij Nigeria)


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"No alle Mutilazioni Genitali Femminili"
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Nigeria, donne pronte a farsi esplodere per Boko Haram

Sarebbero centinaia, addirittura 600, le donne kamikaze pronte a farsi esplodere per Boko Haram, e stanno per attaccare Maiduguri, la capitale dello Stato di Borno. Le donne, secondo la ricostruzione dell'intelligence, avrebbero iniziato la marcia verso la città già la scorsa settimana con istruzioni di provocare una serie di attacchi a catena.

Tre giorni fa una "bambina" kamikaze si è fatta esplodere in una stazione degli autobus a Damaturu città nello Stato di Yobe dove nelle ultime settimane gli attacchi sono quasi quotidiani. L'attentato ha provocato 8 vittime e almeno 33 feriti, alcuni in gravi condizioni.

Un testimone dell'esplosione ha riferito che "Era una ragazzina talmente piccola che nessuno avrebbe pensato che venisse utilizzata per una atto così crudele. Gli agenti della sicurezza hanno lasciato entrare la piccola che indossava il tradizionale hijab, e una volta passati i controlli la giovane si è fatta saltare in aria".

Non è la prima volta che Boko Haram usa bambine. Lo aveva già fatto con una di dieci anni a Maidugori tempo fa ma in quell'occasione un adulto, probabilmente un miliziano aveva fatto detonare l’esplosivo. In questo caso pare invece che sia stata proprio la bambina stessa a farsi saltare in aria mentre si avvicinava ai cancelli della stazione.

Il governatore dello Stato di Borno, Zannah Mustapha, ha ammesso che Marte, importante città al confine nord-orierntale, è nuovamente finita sotto il controllo dei militanti di Boko Haram. "E stata una grande battuta d'arresto nella lotta ai terroristi". Marte era stata liberata dal controllo di Boko Haram il 14 febbraio scorso.

Boko Haram ha tentato di attaccare di nuovo Maiduguri anche in questo fine settimana, ma è stato respinto dai militari nigeriani. Nell'ambito di questa offensiva, il gruppo ribelle ha ucciso più di 50 persone in due luoghi vicino alla città.

In poche tempo Boko Haram è tornata, almeno mediaticamente, ad essere la setta sanguinaria, potente e paurosa che fino a poco prima delle elezioni nigeriane aveva terrorizzato i quattro paesi intorno al lago Ciad. I miliziani islamici nelle ultime settimane avevano subito una serie di sconfitte militari da parte dei quattro eserciti (Ciad, Niger, Nigeria e Camerun), costretti a rifugiarsi all'interno della foresta di Sambisa.

Si è capito invece che questo gruppo ha ripreso l'iniziativa e lo ha fatto a suo modo. Intanto ha ripreso il controllo di una cittadina strategica di Marte nello stato di Borno. Ora ci provavano con la capitale Maiduguri, in realtà ci stanno provando da un anno. La rilevanza strategica della città, con il suo 1,2 milione di abitanti, deriva dal fatto che è situata sulla principale arteria commerciale della regione, e la sua caduta sarebbe un disastro per tutta la Nigeria.

Insomma Boko Haram è tutt'altro che finito, anzi di fronte a queste notizie sembrerebbe pronto ad una nuova offensiva. In Nigeria oggi c’è un nuovo presidente, Muhammadu Buhari, che ha vinto contro il suo rivale, il presidente uscente Goodluck Jonathan, accusandolo ripetutamente di non avere saputo affrontare Boko Haram.

Speriamo che il nuovo presidente saprà fare di più, sia sul piano militare che su quello dei finanziamenti e degli appoggi che sicuramente Boko Haram riceve da sempre anche dall'interno della Nigeria.
(Fonte Avvenire)





lunedì 18 maggio 2015

Nigeria, l'esercito distrugge dieci campi di Boko Haram

Campo di Boko Haram distrutto
L'esercito nigeriano ha annunciato ieri di aver distrutto 10 accampamenti del gruppo estremista islamico Boko Haram nel nord-est del paese, grazie alla forte offensiva portata avanti contro i terroristi islamici che li ha confinati in un ultimo nascondiglio nella foresta di Sambisa.

Secondo il comunicato militare le truppe nigeriane avrebbero ucciso molti militanti di Boko Haram nella foresta di Sambisa e catturato diversi veicoli blindati e cannoni antiaerei. Un soldato nigeriano sarebbe morto a causa di una mina.

Migliaia di persone sono state uccise e diversi milioni sono sfollati durante i sei anni di insurrezione di Boko Haram che al culmine della sua avanzata aveva sotto il suo controllo un'area delle dimensioni del Belgio.

Dopo l'intervento della coalizione degli stati confinanti con la Nigeria che erano anch'essi interessati dalla minaccia del gruppo terroristico, Ciad, Niger e Camerun, quest'anno è stato riconquistato quasi del tutto il territorio occupato, e i militanti sono stati respinti fino alla foresta di Sambisa.

Gli esperti mettono comunque in guardia contro ogni proclamazione prematura di vittoria, avvertendo che le radici del conflitto, in particolare l'esclusione economica e sociale che colpisce la popolazione della regione, devono ancora essere risolti. Inoltre, gli islamisti possono ancora effettuare alcuni attentati con esplosivi che provocano molti morti.

Sabato ad esempio, sette persone sono state uccise e una trentina sono rimaste ferite in un attacco suicida in una stazione degli autobus a Damataru, capitale dello Stato di Yobe, regolarmente colpita dall'inizio della rivolta.

Un alto responsabile dello stato di Borno ha inoltre annunciato la settimana scorsa che Boko Haram aveva preso la città strategica di Marte, vicino al lago Ciad. E almeno 55 persone sono morte sempre la scorsa settimana in raid su due villaggi nei pressi di Maiduguri.

Questi attacchi dimostrano la capacità dei ribelli di colpire obiettivi non protetti e il pericolo costante che rappresentano per i civili, nonostante i recenti guadagni territoriali rivendicati dai militari.
(Fonte Reuters)

Viareggio. Ennesima ragazza nigeriana uccisa, l'assassino l'ha torturata con un coltello

Eunice Itua
Eunice Itua, così si chiamava, aveva 23 anni, nigeriana, ed era costretta a prostituirsi tra Vecchiano e Torre del Lago. L'assassino ha infierito su lei con ferocia e brutalità. Eunice era ospite della sua "mamam" in un appartamento di Empoli, e ogni giorno per arrivare sulla statale Aurelia, il suo luogo di lavoro, doveva prendere due autobus.

Quel giorno Eunice era stata vista arrivare verso le 11 dalle amiche con cui condivideva vita e bordo strada. Era arrivata come sempre in pullman da Pisa per poi scendere a una fermata distante qualche centinaio di metri. Quindi aveva preso come sempre la sua sedia di plastica bianca e si era sistemata nella piazzola ricavata tra gli alberi. In attesa di clienti.

Un omicidio consumato subito dopo il suo arrivo sul posto di "lavoro", tra le 11 e le 12,30 di martedì 31 marzo, nella boscaglia a una ventina di metri dalla via Aurelia Sud, a Vecchiano. Tra rovi e sterpaglie in quel giaciglio circondato da rifiuti usato per per consumare i rapporti con i clienti. Forse era il suo primo cliente di giornata, o più probabilmente erano i killer della mafia nigeriana che l'aspettavano e hanno voluto punire un suo "sgarro".

Ad oltre un mese dall'accaduto identificata la vittima ma non l'autore (o gli autori) del brutale assassinio. Le indagini, pur non escludendo alcuna pista, privilegiano quella di un'esecuzione maturata negli ambienti della mafia nigeriana.

Le "amiche" della ragazza hanno fatto trapelare che Eunice voleva cambiare vita, forse aveva trovato un "fidanzato italiano" che l'avrebbe aiutata con i documenti. Gli inquirenti stanno passando al setaccio i numeri trovati nella rubrica telefonica del suo cellulare.

Solo pochi giorni fa avevamo raccontato di Antonia, uccisa da tre giovani balordi nel napoletano, e di quell'altra ragazza nigeriana stuprata nel torinese da un connazionale, quasi certamente un avvertimento dei suoi "protettori".

"Erano mie sorelle"
Invitiamo caldamente associazioni, istituzioni, enti ed esponenti politici, sociali, sindacali e culturali ad impegnarsi concretamente contro la tratta di ragazze nigeriane in Italia. Oltre 200 assassinate, migliaia di stupri, bambine buttate in strada e nessuna possibilità di dire no o di dire basta, un debito esorbitante da pagare! Questa la verità della tratta. Ed è in questa verità, complessa e terribile, che Eunice e Antonia sono state uccise. Ognuno dovrebbe dire "erano mie sorelle".

"Lettera aperta" .. Eunice e Antonia, la tratta, la prostituzione, i clienti, i rom. Questa Italia è ingiusta e razzista e il razzismo ci rende insicuri.

Noi "Ex-Ragazze di Benin City" diciamo Basta! L’emergenza non è avere una legge sulla prostituzione, decidere di punire i clienti, riaprire le case chiuse e offrire alle straniere clandestine "quel" lavoro da svolgere con la tutela dello Stato, invece che sotto il controllo del racket.

No, non adesso, non oggi, non ditemi, oggi che Eunice, Antonia e almeno duecento altre ragazze nigeriane sono state assassinate in questi anni, che l’emergenza è la legge sulla prostituzione, e non venite neppure a propormi discussioni sul fatto che forse alcune sono libere e solo alcune schiave e, anzi, forse le schiave non esistono.

Avremmo voluto accompagnare le nostre "sorelle" al cimitero, nigeriane assassinate per i loro NO e per i loro tentativi di sottrarsi ad una vita che non volevano più fare.

Non possiamo dare neppure l'ultimo saluto a Eunice perché era clandestina e nessun parente reclamerà il suo "corpicino" martoriato da decine di coltellate.

Qualcuno ha detto che, nel definire che "le ragazze nigeriane sono vittime della tratta", io sarei ipocrita e porterei acqua ad un mio mulino. Il mio mulino è chiedere, con il mio impegno volontario e non retribuito, che le schiave siano liberate e che nel nome di Eunice e delle altre 200, circa, uccise in pochi anni.

Non si commetta l’ingiustizia di catalogare tutte le ragazze immigrate come prostitute che bisogna liberare dai trafficanti per consentire loro che si possano prostituire liberamente.

Con il mio stesso nome da ex-schiava, un'altra giovane nigeriana uccisa. Gli ipocriti, i razzisti, e tutti coloro che vogliono rinchiudere queste ragazze in "case chiuse" o in "quartieri a luci rosse", vengano a dirlo davanti ai centri dove sono ospitate le trafficate minorenni, poco più che bambine, completamente succubi dei trafficanti e assolutamente nell'impossibilità di poter riporre la minima fiducia in coloro che si prestano per tentare qualcosa a loro favore o nei centri psichiatrici dove tante sono "ospiti". Diventate pazze per il dolore e per le insopportabili torture a cui sono state sottoposte.

I servizi anti-tratta lavorano bene, ma lavorerebbero meglio se non fossero al servizio di leggi sbagliate. Anche le forze dell’ordine lavorerebbero meglio se le leggi fossero migliori. Il nostro No alla Bossi-Fini.

Non provateci neppure, allora, a raccogliere la mia opinione sulla prostituzione perché questo o è un falso problema o non riguarda le vittime della tratta. Chiedetemi dei rom, allora, cittadini italiani che gli italiani trasformano in clandestini e delinquenti. Se l’Italia tratta così le proprie minoranze, come possiamo aspettarci che tratti meglio gli stranieri? È il razzismo a creare insicurezze.
(Maris, Ex-Ragazza di Benin City)


Storie Vere (Il Libro)