lunedì 30 ottobre 2017

Kenya, caos elettorale e 100 morti nella contea di Kisumu

L’appello alla calma del governatore Nyong’o, padre dell’attrice nera più in voga di Hollywood, non ferma l’ondata di violenza nella contea di Kisumu.

L'attrice Lupita Nyong'o e il padre, governatore della contea di Kisumu

Un anno fa il problema erano le scimmie, «che rubano i manghi dal frutteto di Lupita». Adesso sono i proiettili della polizia, «che spara per disperdere i dimostranti». Come è cambiata la vita di Peter Anyang Nyong’o, fresco governatore della contea di Kisumu diventata simbolo della crisi del Kenya.

Video
Fino a ieri era solo il padre di Lupita Nyong’o, l’attrice nera più in voga di Hollywood. In un video recente è lei stessa a presentare la tenuta di famiglia, arrampicandosi con il papà sugli alberi di guava e preparando l’ugali con la madre Dorothy. Adesso tutto è cambiato per gli abitanti della terza città del Kenya, sulle sponde del Lago Vittoria, nella terra dove è cresciuto anche il padre di Obama (e molti bambini si chiamano Barack).

Kisumu è la roccaforte dell’etnia Luo e di Raila Odinga, il leader dell’opposizione che ha chiamato i suoi al boicottaggio delle elezioni presidenziali. Se giovedì scorso l’affluenza complessiva s’è fermata al 34%, a Kisumu non ha votato quasi nessuno. La gente ha bloccato i seggi, i poliziotti fedeli al presidente Uhuru Kenyatta hanno risposto con i mitra. Ha denunciato il governatore Nyong’o: «Non potevano usare i cannoni ad acqua?»

Massaggiatrice
La ricerca di una via di uscita incruenta dev’essere un pallino di famiglia. In fondo anche Lupita, denunciando le molestie di Harvey Weinstein che le proponeva uno dei suoi famigerati massaggi, ha raccontato di aver ribattuto offrendosi lei stessa come massaggiatrice. Un modo per mantenere il controllo della situazione e delle vie di fuga (la porta dell’hotel).

Ragazzi uccisi
Le immagini che arrivano dalla sua terra devono farle male: feriti all'ospedale, ragazzi uccisi, veicoli in fiamme, morte e distruzione. Pur essendo nata in Messico quando per i suoi era meglio stare alla larga dagli sgherri del presidente Arap Moi, la star che ha vinto l’Oscar per «12 anni schiavo» non dimentica l’Africa. Si batte per gli elefanti, finanzia una Ong che si occupa di salute materna. Dà una mano al padre-professore (master all’università di Chicago): questa estate via Facebook, dalla sua casa di Brooklyn, l’attrice ha fatto campagna online, prendendosi pure della bugiarda snob dalla figlia del candidato rivale. Ha gioito per la vittoria del padre: «Ci ha insegnato i valori della vita civile, la sua guida sarà di grande aiuto alla comunità»

Nuove elezioni
Lupita resta in silenzio mentre il Kenya è in bilico. Odinga chiede nuove elezioni, il rieletto Kenyatta accusa l’opposizione di soffiare sulla guerra civile. Si riaprono le faglie etniche (la principale vede Kykuyo contro Luo) che già dopo il voto del 2007 portarono all'uccisione di oltre mille persone.

Quest’anno le vittime «elettorali» sono circa un centinaio, meno di una decina negli ultimi giorni. Mentre i leader nazionali alzano i toni, sul terreno qualcuno dà prova di saggezza: sabato il governatore Nyong’o e il collega della vicina Kericho, il primo pro-Odinga il secondo pro-Kenyatta, hanno fatto un giro insieme tra le strade-barricate delle due contee chiedendo alla gente di non combattere più. Una via di uscita, Lupita’s way.
(Corriere della Sera)

L'opposizione incita ai disordini


In Kenya, dopo la ripetizione pochi giorni fa delle annullate elezioni presidenziali di agosto, l'opposizione e il suo leader Raila Odinga stanno aizzando i loro sostenitori con discorsi "infuocati" che incitando alla violenza. Lo ha dichiarato Martin Kimani, membro del governo del presidente uscente Uhuru Kenyatta con delega al terrorismo.

Kimani ha invece negato che la polizia stia prendendo di mira con azioni violente esponenti dell'opposizione. Odinga oggi ha chiesto che le elezioni vengano ripetute per la seconda volta entro 90 giorni dato che, secondo lui, sono state una "farsa". E ha concluso affermando che il Paese è in "serio pericolo"

Odinga vuole nuove elezioni entro 90 giorni

L'oppositore keniano definisce una "farsa" il voto del 26 ottobre e dice: "i keniani non permetteranno a Kenyatta di governare con le armi"



Raila Odinga vuole elezioni entro 90 giorni in Kenya e lancia un appello alla calma. L’oppositore keniano ha visitato Kawangware, quartiere alla periferia di Nairobi teatro di scontri fra i suoi sostenitori e la polizia.

Riferendosi al presidente uscente, Odinga ha affermato: “Uhuru Kenyatta non può governare con le armi, i keniani non lo permetteranno”. Una cinquantina, in gran parte manifestanti dell’opposizione, le persone rimaste uccise dalle elezioni di agosto, invalidate dalla Corte Suprema. Il voto si è ripetuto giovedì scorso.

Le elezioni sono state una farsa, è la migliore descrizione”, ha detto Odinga. “Credo non siano state affatto delle elezioni. L’affluenza è di tre milioni e mezzo ma lui parla di 7,2 milioni e per questo si possono definire una farsa o perlomeno elezioni caotiche

Human Rights Watch e Amnesty International hanno denunciato i metodi brutali della polizia nei confronti dei manifestanti come l’uso di pallottole vere e proprie contro i dimostranti in fuga. L’opposizione aveva esortato a boicottare le elezioni, in quattro regioni dell’ovest il voto non si è svolto. L’affluenza sarebbe del 35%, mentre ad agosto era stata dell’80%.

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mercoledì 25 ottobre 2017

La Nigeria e il terrorismo di Boko Haram

La Nigeria è un Paese dell’Africa occidentale che possiede l’economia più prosperosa di tutta l’Africa ed è una delle nazioni più influenti della regione. Oltre a essere la principale produttrice di petrolio del continente africano, è la quarta esportatrice di gas naturale al mondo.

Miliziani Boko Haram

Nonostante ciò, il Paese è dilaniato dalla furia dei jihadisti di Boko Haram, gruppo fondamentalista nigeriano che dal 2009 sparge terrore in tutto il Paese, soprattutto nel nord-est, e nei vicini Camerun, Ciad e Niger. Dal 2009 a oggi, più di 25.000 persone sono state uccise nella sola Nigeria, e quasi 3 milioni di cittadini sono stati costretti ad abbandonare le proprie case e causando una grave crisi umanitaria.

Nella zona del lago Ciad e nel nord-est del paese l’UNICEF sta mettendo in atto una serie di iniziative volte a promuovere la tolleranza religiosa e la reintegrazione. Tuttavia, la furia dei jihadisti ha raggiunto anche gli Stati vicini, come il Ciad, il Niger e il Camerun, dove più di 2.000 scuole sono state chiuse.

Le violenze, gli stupri e i sequestri perpetrati dal gruppo nel corso degli ultimi anni sono innumerevoli. In particolare, i jihadisti utilizzano soprattutto donne e bambine che, dopo essere state rapite, sono poi costrette dai miliziani a diventare kamikaze venendo fatte saltare in aria nei pressi di mercati e luoghi affollati.

Il 23 agosto 2017, l’UNICEF ha reso noto che il numero di bambini e bambine kamikaze utilizzati da Boko Haram è quadruplicato dall'inizio dell’anno a oggi, rispetto ai dati del 2016. Secondo le stime dell’organizzazione umanitaria, dal primo gennaio 2017, 83 minori sono stati obbligati a farsi saltare in aria nel nord-est della Nigeria. Di questi, 55 erano bambine, spesso al di sotto dell’età di 15 anni, 27 erano maschi e uno era un neonato, che è stato fatto esplodere mentre era in braccio a una ragazzina.

Il 2016 si era concluso con l’annuncio, il 25 dicembre, del presidente nigeriano, Muhammadu Buhari, in carica dal 29 maggio 2015, riguardo all'eliminazione dell’ultima base di Boko Haram, nello Stato del Borno. Tuttavia, il primo gennaio 2017, il gruppo terroristico ha smentito la propria sconfitta attraverso la pubblicazione di un video e, da allora, gli attentati hanno continuato a susseguirsi. L’ultimo si è verificato il 18 settembre, quando due donne si sono fatte esplodere nel villaggio di Mashalari, nell’area di Kodunga, a circa 40 chilometri da Maiduguri, uccidendo almeno 15 persone e ferendone altre 43.

Per quanto riguarda l’anno statistico 2016, il governo americano rende noto che la Nigeria ha continuato ad aumentare gli sforzi contro il gruppo terroristico, collaborando a stretto contatto con gli Stati vicini colpiti dalla furia dei jihadisti, nell’ambito della Multi-National Joint Task Force (MNJTF).

Nonostante ciò, il governo nigeriano non è stato capace di effettuare le riparazioni necessarie in termini di ricostruzione delle infrastrutture civili nelle aree più colpite dai terroristi, riuscendo tuttavia a liberare 21 donne che erano state precedentemente rapite da Boko Haram.

Le autorità di Abuja hanno aumentato gli sforzi per cercare di migliorare le condizioni dei cittadini nigeriani sfollati, reinserendoli in comunità e cercando di farli tornare nelle proprie case. Tutto ciò si è svolto in un ambiente particolarmente rischioso, in cui i livelli di sicurezza sono stati bassi. Nel corso del 2016 non è stato adottato alcun piano per accrescere la difesa dei civili nei territori liberati dai terroristi, ma il governo nigeriano, grazie all'aiuto di donatori internazionali, ha dato il via ad una serie di iniziative volte a ricostruire le aree che precedentemente erano state sotto il controllo di Boko Haram.

La legislazione anti-terrorismo della Nigeria non ha subito alcuna variazione nel 2016, anche se numerosi Paesi stranieri, come il Regno Unito, hanno continuato a collaborare a stretto contatto con il Ministero della Giustizia locale per assistere i funzionari nigeriani nelle indagini e nelle prosecuzioni dei casi di terrorismo.

L’esercito nigeriano è stato impegnato soprattutto nel nord-est del Paese, area più colpita da Boko Haram, mentre il resto del territorio nazionale è stato monitorato dal Department of State Security (DSS), dalla polizia e dal Ministero della Giustizia. Le attività di queste agenzie sono state coordinate con l’Office of National Security Advisor (ONSA), seppur con limiti a livello dei meccanismi di condivisione delle informazioni.

Il governo nigeriano ha partecipato a diversi programmi di addestramento e formazione offerti dagli Stati Uniti, sotto la guida del Department of State’s Antiterrorism Assistance (ATA), grazie al quale gli ufficiali locali hanno imparato a gestire e a rispondere in maniera più efficace a eventuali nuovi attacchi. Le autorità di Abuja hanno altresì collaborato con l’FBI per compiere indagini su questioni relative al terrorismo.

I controlli ai confini sono stati effettuati grazie alla coordinazione della polizia nazionale e il Dipartimento per la sicurezza dello Stato. Grazie al programma ATA, gli ufficiali nigeriani hanno partecipato alle Rural Border Patrol Operations, corsi volti ad accrescere le capacità delle forze di sicurezza nel monitoraggio dei confini del Paese.

I principali attacchi terroristici del 2016 hanno colpito maggiormente l’esercito e gli agenti nigeriani, ma hanno coinvolto anche i civili. Si ricordano i seguenti attentati:
  • Il 28 gennaio, 6 donne si sono fatte esplodere a Chibok, uccidendo 16 persone.
  • Il 30 gennaio, 3 attentatrici suicide, insieme ad altri militanti armati, hanno ucciso almeno 85 persone a Dalori.
  • Il 9 febbraio, due kamikaze si sono fatte esplodere presso il campo profughi di Dikwa, causando la morte di almeno 58 individui, e ferendone altri 78.
  • Il 12 luglio una bambina alla guida di un’autobomba si è scagliata contro un negozio di videogiochi a Waza, a 8 chilometri dal confine nigeriano, uccidendo 16 civili e ferendone almeno 34.
  • Il 20 settembre, un convoglio militare è stato attaccato nella città di Malam Fatoru, nello Stato del Borno. Sono morti 40 uomini, mentre altre decine sono rimasti feriti.
  • Il 16 ottobre, l’esercito nigeriano è stato attaccato presso il villaggio di Gashagar, sempre nello Stato del Borno, dove sono morti 24 soldati.
  • Infine, il 9 dicembre, due attentatrici suicide sono esplose presso il mercato di Madagali, nello Stato di Adamawa, uccidendo più di 30 persone e ferendone almeno un centinaio.
In materia di contrasto al finanziamento del terrorismo, la Nigeria è un membro dell’Inter-Governmental Action Group contro il riciclaggio di denaro nell'Africa occidentale, e fa parte della Financial Action Task Force, un organo regionale. Le autorità nigeriane hanno fatto piccoli progressi nel cercare di adottare una serie di norme volte a contrastare il finanziamento da parte di istituzioni o individui alle attività terroristiche, e a migliorare i controlli sul riciclaggio di denaro.

Un Chiesa distrutta da Boko Haram
Il Department of State Security è l’organo responsabile di indagare sui casi di finanziamento al terrorismo, ma ha gravi limiti, dal momento che non condivide le informazioni con altre agenzie che compiono attività simili. Il governo nigeriano ha il potere di congelare e confiscare gli asset sospettati di essere legati ad attività terroristiche, in linea con il regime di sanzioni dell'Onu contro al-Qaeda e l’ISIS.

Per quanto riguarda le attività di contrasto alla diffusione dell’estremismo violento, il National Counter Terrorism Center del governo nigeriano ha adottato una strategia per migliorare le proprie attività. In particolare, Abuja ha iniziato ad addestrare il personale nello Stato del Gombe per mettere in atto un programma di reinserimento e reintegrazione per gli individui che hanno compiuto un processo di de radicalizzazione, chiamata Operation Safe Corridor.

Nel tentativo di equipaggiare le comunità nel contrasto dell’estremismo, la Nigeria è stata la nazione guida nell'ambito della Global Community Engagement and Resilience Fund (GCERF), il quale richiede ai Paesi membri di stabilire meccanismi di supporto che riuniscano le agenzie governative, le organizzazioni della società civile e del settore privato, per sviluppare programmi di contrasto all'estremismo islamico.

A livello di cooperazione regionale e internazionale, nel 2016, la Nigeria ha partecipato ad una serie di conferenze anti-terrorismo, tra cui il 26esimo summit dell'African Union Heads of Satte and Government, avvenuto in Etiopia. Abuja è uno dei membri fondatori del Global Counterterrorism Forum (GCTF), ricoprendo un ruolo guida nel migliorare il dialogo tra gli Stati della regione.
(Sicurezza Internazionale Luiss)

Boko Haram. Tra Nigeria e Camerun quasi 400 morti nei mesi da aprile a settembre 2017

Il gruppo terroristico nigeriano, Boko Haram, dal primo aprile al 5 settembre 2017, ha causato la morte di 400 persone nella regione del lago Ciad, tra la Nigeria e il Camerun.

È quanto emerge da un’analisi condotta da Amnesty International, in cui viene reso noto che l’aumento degli attacchi suicidi, spesso commessi da ragazze e bambine, evidenzia la necessità di assistenza e protezione da parte di un numero sempre maggiore di civili. Per questo motivo, secondo l’organizzazione umanitaria, i governi della Nigeria e del Camerun dovrebbero prendere provvedimenti per far fronte alla situazione e contrastare la campagna terroristica.

Secondo le stime di Amnesty International, 223 civili sono morti in territorio nigeriano nell'arco dei quattro mesi passati, di cui 100 soltanto ad agosto. Nel vicino Camerun, invece, ad aprile sono stati uccisi 158 cittadini.

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lunedì 23 ottobre 2017

Le Strade del Sesso. La Litoranea da Salerno a Capaccio, un vero "paradiso" per chi "compra" sesso

Da Salerno a Capaccio i luoghi di incontro più frequentati da chi cerca "divertimento", e non solo.


Da sempre la Litoranea che collega Salerno con il Cilento è meta di pellegrinaggio di coloro che cercano svago e divertimento. Non solo nei numerosi locali che animano la zona a sud del capoluogo di provincia, ma anche e soprattutto di coloro che desiderano dare sfogo alle proprie pulsioni sessuali in strada, a prezzi "scontati".

Così la Litoranea si trasforma in una vera e propria alcova, ma se prima era solo per incontri di sesso a pagamento ora è diventata anche punto di ritrovo per scambisti e per coloro che si mettono in mostra per il semplice esibizionismo.

La sera, ma il fenomeno è presente anche se in maniera più ridotta di giorno. Così se si imbocca la Litoranea a partire dalla zona industriale di Salerno la mappa è presto delineata. Si ritrovano prima giovani donne dell'est per lo più rumene, bulgare ma anche polacche che mettono in mostra le loro grazie nella loro bellezza con abiti succinti dinanzi ad auto di grosso calibro.

Andando più avanti un altro punto di ritrovo è una pompa di benzina che si trova nel Comune di Pontecagnano e dove ci sono ragazze ucraine e dell'est.

Basta fare pochi chilometri e arrivare a Eboli per scoprire che il mondo variegato ed eterogeno delle giovani su strada si trasforma. In quella zona le protagoniste sono le giovani nigeriane che, quasi nude, attraverso il richiamo di piccoli fuochi che sembrano luci ardenti nella notte, attirano verso di loro i clienti.

Si arriva nel territorio del Comune di Capaccio e qui basta svoltare in una delle tante stradine che danno accesso al mare che si trovano numerose auto parcheggiate con dentro uomini che cercano altri uomini o anche coppie, non mercenarie, che mettono in mostra le loro peripezie sessuali.

La mappa è completata dai numerosi "club privée" più o meno autorizzati che sorgono lungo la Litoranea e che offrono un posto "sicuro" alle coppie che desiderano praticare lo scambismo.

L'80% delle ragazze che si prostituisco nella litoranea sono vittime di sfruttamento

I controlli delle forze dell'ordine per arginare il fenomeno non mancano di certo, ma si tratta di un settore in continuo mutamento in un luogo da sempre degradato e che non ha trovato mai una seria politica di sviluppo. Una zona dove la mafia della "prostituzione" e dello "sfruttamento" imperversa perché, al di là dei casi di scambisti e donne italiane che lo fanno per puro piacere o per semplice esibizionismo, l'80% delle ragazze, in particolare le ragazze dell'est Europa, albanesi e nigeriane, sono vittime di sfruttamento sessuale.

In Italia la prostituzione in se non è reato, vengono puniti solo sfruttamento e induzione, ma sono reati molto difficili da dimostrare senza la collaborazione delle ragazze sfruttate. Allo stato delle cose le forze dell'ordine hanno pochi mezzi "giuridici" per tenere sotto controllo zone degradate come la "litoranea" Salerno-Capaccio.

Una soluzione ci sarebbe, punire tutti coloro che acquistano prestazioni sessuali, ovvero i clienti delle prostitute, così come proposto dall'Unione Europea e già in vigore in Svezia e in Francia ma la proposta di legge in tal senso è ferma in Parlamento da quasi due anni nell'indifferenza delle forze politiche.

Prostituzione. Punire, legalizzare o scoraggiare
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Presentata la proposta di legge per punire i clienti delle prostitute
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Articolo a cura di
Maris Davis

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giovedì 19 ottobre 2017

I diritti negati delle bambine africane

Nell'Africa sub-sahariana quasi 18 milioni di bambine sono escluse dalla scuola primaria, spesso perché costrette a matrimoni precoci.


Africa e diritti
Due parole che si abbracciano raramente. Tra dittature e amministrazioni corrotte i diritti umani sono spesso, troppo spesso, parole vuote che rimangono esclusivamente sulla carta di qualche trattato e inascoltate dagli Stati. E a farne le spese sono per lo più le bambine.

Molto si deve fare affinché i diritti fondamentali delle bambine siano rispettati e che abbiano le stesse opportunità riservate ai maschi. E proprio in Africa si concentra la maggioranza dei 200 milioni di donne e ragazze che hanno subito una mutilazione genitale, con il Corno d’Africa in testa. Quasi 18 milioni di bambine dell’Africa sub-sahariana sono escluse dalla scuola primaria e più di 13 milioni da quella secondaria.

Il loro destino è spesso segnato da un matrimonio che arriva quando si affacciano all'adolescenza. Il Niger è il paese con il maggior tasso di matrimoni precoci del mondo, il 76% delle ragazze si sposano prima dei 18 anni, il 28% prima dei quindici, e generano bimbi quando il loro corpo non è ancora pronto a metterli al mondo. Numeri agghiaccianti e a renderli noti è un Dossier della campagna “Indifesa” di Terre des Hommes.

Quei quindici milioni di ragazze che si sposano troppo presto
Il dossier punta i riflettori sul deprecabile fenomeno dei matrimoni precoci, che coinvolge ogni anno almeno 15 milioni di bambine e adolescenti, in tutto il mondo.

Ogni due secondi una bambina o ragazza con meno di 18 anni diventa una baby sposa, vedendo così finire i suoi sogni e le sue speranze, costrette a sposare uomini più grandi di loro, con gravi conseguenze per la loro salute e il loro sviluppo.

Oltre a portare enormi sofferenze alle vittime, questa pratica nuoce all'intera comunità in cui vivono. Secondo un recente studio della Banca Mondiale, la scomparsa dei matrimoni precoci si potrebbe tradurre in un risparmio pari a 566 miliardi di dollari (dato riferito al 2030) dovuto alla riduzione delle spese per il welfare dei singoli Stati.

Da baby spose a baby mamme il passo è breve.
Nel 2016 sono state registrate 21 milioni di gravidanze tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni che vivono nei Paesi in via di sviluppo e nel 49% dei casi si tratta di gravidanze non cercate. E circa 70mila ragazze muoiono a causa del parto e delle complicanze legate alla gravidanza.

Tra le violazioni dei diritti delle bambine ci sono anche quelle legate a conflitti e trafficking: sono circa 100mila le bambine soldato, mentre delle 2,4 milioni di persone vittime di tratta, le bambine rappresentano il 20 per cento.

È indispensabile la promozione dei diritti delle bambine nel mondo, impegnandosi a difendere il loro diritto alla vita, alla libertà, all'istruzione, all'uguaglianza e alla protezione. Tutto ciò a partire da interventi sul campo volti a dare risultati concreti per rompere il ciclo della povertà e offrire migliori opportunità di vita a migliaia di bambine e ragazze nel mondo.

E non c’è dubbio che un mondo migliore passa attraverso il destino delle ragazze di 10 anni. “Non c’è altro modo per prevenire e contrastare le molteplici facce di un fenomeno così complesso e articolato quale è la violenza sulle bambine, che avere a disposizione dei dati fondati sull'esperienza di quanti, ogni giorno, cercano di comprenderlo per poter affinare gli strumenti volti al rispetto dei diritti fondamentali di queste bambine che sono i pilastri del mondo di domani e dunque le cui vite allo stato nascente vanno accompagnate e sostenute oggi lungo una strada di autodeterminazione e consapevolezza del proprio ruolo


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"No alle Spose Bambine e ai Matrimoni Combinati"
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Articolo a cura di
Maris Davis

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mercoledì 18 ottobre 2017

Acerra (Napoli), arrestato nigeriano. Costringeva 4 connazionali a prostituirsi


Costringeva quattro ragazze nigeriane a prostituirsi, ogni giorno. Le lasciava la mattina ai margini della strada e le riprendeva la sera appropriandosi dei loro soldi.

I carabinieri della stazione di Acerra (Napoli) hanno interrotto tutto questo ed hanno arrestato un 29enne nigeriano già noto alle forze dell'ordine, senza fissa dimora. Per catturarlo e per non destare sospetti i militari si sono travestiti da cacciatori.

Indagando su un giro di prostituzione nella zona rurale di Acerra, al confine con la provincia di Caserta, i militari hanno ricostruito quanto accadeva: dopo dieci giorni di osservazioni, è scattato l'arresto.

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Liberato don Maurizio, il sacerdote italiano rapito in Nigeria

Rilasciato nella serata di ieri a conclusione di una delicata trattativa seguita dalla Farnesina. Il missionario sta bene, oggi il suo 63esimo compleanno.

don Maurizio Pallù

È stato liberato ieri sera intorno alle 22 don Maurizio Pallù, il sacerdote italiano itinerante del Cammino neocatecumenale rapito venerdì scorso nel sud della Nigeria. Una notizia che tanti attendevano e che giunge proprio nel giorno in cui il missionario compie il suo 63esimo compleanno. A confermarlo a Vatican Insider sono fonti a lui vicine al quale lo stesso Pallù ha telefonato ieri notte per confermare il suo rilascio e le buone condizioni di salute.

«Don Maurizio sta bene aveva una buona voce anche se era chiaramente provato, non tanto per il trattamento ricevuto ma per la tensione vissuta in questi giorni». Come già ipotizzato il sequestro è stato opera di un gruppo di criminali locali che aveva derubato e portato via il prete mentre si recava insieme ad altre quattro persone in macchina da Calabar a Benin City per un incontro di catechesi. Tra i sequestrati non c’era solo il sacerdote come reso noto in un primo momento ma anche altre tre persone, tutte nigeriane.

Don Maurizio nella telefonata di ieri ha raccontato che all'interno del gruppo ci sono state divergenze su quale dovesse essere la sorte delle vittime. In particolare uno dei rapitori, che si vantava di aver già ucciso quattro persone, li minacciava continuamente di morte. Il capo, invece, con il quale Pallù racconta di aver «stabilito un buon rapporto», ha deciso invece per la loro liberazione. Probabilmente è stato pagato un riscatto, ma di questo al momento non ci sono conferme.

Negli ultimi giorni le fasi della trattativa, seguita con grande attenzione dall'Unità di crisi della Farnesina, si erano rese più delicate. La risonanza del rapimento sui diversi media rischiava di alzare la posta in gioco e si temeva qualche imboscata da parte dei rapitori, considerando anche che nella stessa zona del paese africano non è il primo caso di rapimento di un sacerdote (lo stesso don Maurizio Pallù aveva già subito un attacco qualche mese fa) e che non sempre tali sequestri terminano con un lieto fine.

Ieri sera, invece, poco prima di mezzanotte la notizia del rilascio. Appena libero il prete si è messo in contatto con altri amici in Nigeria e, subito dopo, con i parenti in Toscana in particolare la mamma Laura, 92 anni. Proprio alla madre don Maurizio aveva telefonato la sera di domenica 15 ottobre per annunciarle l’imminente liberazione. Era stata la donna stessa a riferirlo pubblicamente durante una veglia di preghiera dedicata al figlio. Una delle tante celebrate in questi giorni in Italia per l’itinerante, in particolare in Toscana, sua regione di provenienza, ma anche ad Harleem, Londra e Roma dove ha prestato servizio nel corso degli anni.

Attualmente don Maurizio si trova ancora in Nigeria dove nei prossimi mesi continuerà la sua missione. Quasi sicuramente tornerà per qualche giorno in Italia per abbracciare le persone a lui care e ringraziare tutti coloro che hanno seguito con partecipazione questo momento difficile. Una vicinanza per la quale il sacerdote si è detto «fortemente commosso», soprattutto dopo aver saputo che anche il Papa aveva assicurato di pregare per lui.

La conferma della notizia della liberazione è stata confermata anche dal ministro degli Esteri Angelino Alfano.
(La Stampa)

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lunedì 16 ottobre 2017

In Somalia la guerra dei due Califfi fa una strage. 270 morti a Mogadiscio

La scena dopo la strage a Mogadiscio

È di almeno 237 morti e 300 feriti, alcuni in gravi condizioni, il bilancio della "strage più grave" mai avvenuta in Somalia, provocata dall'esplosione, sabato sera, di due camion-bomba nella capitale Mogadiscio. Il numero delle vittime è destinato tragicamente a salire ancora perché molte persone sono rimaste intrappolate sotto le macerie dopo il crollo di alcuni edifici a causa della potente deflagrazione.

La prima devastante esplosione, quella che ha provocato la maggior parte dei morti, è avvenuta davanti al Safari hotel, vicino al ministero degli Esteri, forse il vero obiettivo degli attentatori, lungo il quartiere commerciale della capitale, con diversi ristoranti, negozi e alberghi. L'automezzo saltato in aria era stato seguito dalle forze dell'ordine in quanto ritenuto "sospetto". Tra l'altro, l'esplosione ha provocato gravi danni anche all'ambasciata del Qatar.

Il secondo camion bomba è esploso pochi minuti dopo in un'altra strada provocando diverse vittime. I vetri delle finestre di numerosi edifici sono andati in frantumi mentre alcuni veicoli sono stati rovesciati dall'onda d'urto e si sono incendiati. Le immagini drammatiche trasmesse dalle TV di tutto il mondo mostrano diverse ambulanze sui luoghi degli attentati e i medici che cercano di assistere i feriti, mentre sono in molti a vagare tra le macerie degli edifici distrutti, alla disperata ricerca dei propri cari.

Le vittime, raccontano i soccorritori, hanno riportato ustioni talmente gravi da essere irriconoscibili e ci vorranno diversi giorni per poterle identificare. I feriti, 300 finora, sono stati ricoverati in tutti e sei gli ospedali della città: alcuni di loro hanno subito l'amputazione delle mani o delle gambe. "In 10 anni di esperienza nel nostro lavoro è la prima volta che assistiamo a una cosa del genere", ha scritto in un tweet il centro Aamin Ambulance che assiste i feriti.

Il presidente somalo, Mohamed Abdullahi Mohamed, ha proclamato tre giorni di lutto, mentre gli attentati non sono ancora stati rivendicati, anche se il governo punta il dito contro i jihadisti di al-Shabaab, che spesso hanno preso di mira zone strategiche nella capitale.

La strage avviene tre giorni dopo l'incontro a Mogadiscio tra esponenti del Comando americano in Africa e il presidente somalo. E sempre tre giorni fa si erano dimessi dal governo somalo il ministro della Difesa, Abdirashid Abdullahi Mohamed, e il capo delle forze armate, generale Mohamed Ahmed Jimale.

Il ministro degli Esteri italiano, Angelino Alfano, si è detto "sconvolto dall'attacco orribile contro gente innocente" e con un tweet ha espresso "vicinanza e condoglianze al popolo ed al governo della Somalia". Mentre l'inviato speciale dell'Onu, Michael Keating, ha definito la strage "un attacco orrendo" con un numero di morti senza precedenti. "Sono scioccato e inorridito dal numero di vite umane perdute nelle esplosioni e dal livello di distruzione che hanno causato", ha detto Keating. L'Onu e l'Unione Africana stanno fornendo "assistenza logistica, medica e attrezzature" al governo somalo, ha aggiunto, mentre le autorità locali hanno lanciato un appello alla popolazione per la donazione di sangue.
(Ansa)

Una strage di cui i media occidentali non spenderanno spazio e tempo per parlarne diffusamente, 270 morti che presto verranno dimenticati. Si sa che le stragi jihadiste in Africa fanno meno rumore di quelle europee



In Somalia ci sono due nomi da tenere a mente. Il primo è Ahmad Umar, alias Abu Ubaidah, salito ai vertici di al Shabaab dopo la morte di Moktar Ali Zubeyr "Godane". Sul suo conto si sa poco o niente. Un personaggio enigmatico, un combattente esperto. Si è formato nella divisione speciale "Amniyat", il servizio segreto clandestino della milizia. Dal 2014 ha alzato l'asticella degli obiettivi e ha avviato un sottile processo di "rebranding" (cambio di immagine), intraprendendo un cammino verso l'istituzione di un'entità statale vera e propria. Prove di Califfato, o quasi.

Il secondo nome da segnarsi è quello di Abd al-Qādir Mū'min. Classe 1950, britannico e attuale leader dello Stato Islamico. Uno di quelli a cui l'MI5 (servizio segreto inglese) dava la caccia già da tempo. Un passato in Svezia, dove al Shabaab ha un radicamento molto forte, poi Londra e Leicester. Fugge in Somalia poco dopo, diventa l'autorità religiosa di al Shabaab per qualche anno e infine decide di lasciare l'organizzazione. Giura fedeltà ad al Baghdadi (ISIS), proclamando nel 2015, nel Puntland, "lo Stato islamico in Somalia" (Abnaa ul-Calipha).

L'Hotel Safari dopo l'attentato di ieri a Mogadiscio
Una transizione che allora provoca più di una frattura. E due rami: uno guidato da Umar, legato ad al Qaeda, e il secondo con a capo al-Qādir Mū'min, affiliato all'Isis. La rivalità tra le due cellule, nel tempo, ha finito per allargare il perimetro del terrore in un paese martoriato da un lungo intreccio di guerre e carestie.

Il risultato da ieri è sotto gli occhi di tutti: oltre 270 i morti a Mogadiscio, dove due camion sono esplosi, uno davanti all'hotel Safari e al ministero degli Esteri sulla grande arteria centrale Jidka Afgooye e l'altro in una strada poco distante. A memoria, siamo di fronte al più sanguinoso attacco terroristico mai condotto nel Paese. Precedenti simili risalgono al 2011, con il furgone bomba esploso contro l'ingresso del governo federale di Mogadiscio. Oltre 100 vittime, più di 150 feriti.

L'attacco all'hotel Safari non è stato ancora rivendicato, ma i sospetti ricadono proprio su al Shabaab. O sullo Stato Islamico, perché quella in corso ha tutte le sembianze di una guerra tra due Califfi. Appunto: Ahmad Umar o Abd al-Qādir Mū'min. Non fa molta differenza, il processo di apostasia nella galassia jihadista ormai rende confusa ogni analisi sugli esecutori.

Quel che è certo è che la Somalia resta uno dei laboratori terroristici più pericolosi al mondo. È in Somalia che al Qaeda revisiona le sue modalità di attacco grazie all'ingegno di Fazul Abdullah Mohammed, il fedelissimo di Bin Laden che mise in piedi i terribili attentati del 1998 alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania costati la vita a 223 persone. Obiettivi soft (come alberghi, centri commerciali, villaggi turistici o navi da crociera) e armi low tech.

Un metodo che negli anni abbiamo visto ripetere più volte: Charlie Hebdo, il Bataclan, Bruxelles. Ma soprattutto il Westgate di Nairobi. Correva l'anno 2013 e per la prima vota un'organizzazione terroristica improvvisava un live tweet del proprio attacco. C'erano gli assassini che sparavano e i loro compagni davanti a un pc, a raccontare il sangue. Un orrore, dietro al quale c'erano ancora una volta i somali di Shabaab.

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venerdì 13 ottobre 2017

Nigeria. Rapito a Benin City un sacerdote italiano

Bloccato da un gruppo armato mentre si stava recando a Benin City. Al lavoro la Farnesina e il gruppo antiterrorismo della procura di Roma.

Don Maurizio Pallù, il sacerdote rapito a Benin City

Un sacerdote italiano della diocesi di Roma è stato sequestrato ieri in Nigeria. Sull'accaduto è già stata allertata l'unità di crisi della Farnesina e la Procura di Roma, gruppo Antiterrorismo, ha aperto un fascicolo di indagine.

In base a quanto si apprende, il sacerdote è stato bloccato ieri, insieme ad altre 4 persone, mentre si stava recando a Benin City, nel sud della Nigeria. I quattro sono stati fermati da un gruppo armato che li ha rapinati di tutti i loro averi e ha rapito il sacerdote che si trova in missione in Nigeria da tre anni dove, tra l'altro, seguiva un progetto per il reinserimento di ragazze nigeriane rientrate dall'Italia dopo essere state vittime di sfruttamento sessuale. L'indagine della Procura di Roma è affidata al PM Sergio Colaiocco.
(Huffington Post)

Aggiornamento (14 ottobre 2017)
Si chiama don Maurizio Pallù e appartiene della diocesi di Roma. In base a quanto si apprende, il Prete, appartenente al Cammino neocatecumenale, è stato bloccato ieri, insieme ad altre quattro persone, mentre si stava recando a Benin City, nel sud della Nigeria. I cinque sono stati fermati da un gruppo armato che li ha rapinati di tutti i loro averi e ha rapito il Sacerdote che si trova in missione in Nigeria da tre anni.

La Procura nel fascicolo avviato sull’accaduto procede per il reato di sequestro per fini di terrorismo; l’indagine è affidata al pm Sergio Colaiocco.

La Farnesina conferma che attraverso l’Unità di crisi sta seguendo, sin dall’inizio, la vicenda di un connazionale che risulta tuttora irreperibile in Nigeria, nella zona meridionale del paese. Ogni sforzo è in atto al fine di accertare i fatti in una doverosa cornice di riservatezza. Lo rendono noto fonti del Ministero degli Esteri.

Don Maurizio Pallù è nato a Firenze il 18 ottobre 1954. Nel 1971 ha incontrato il Cammino neocatecumenale. Nel 1977, si legge in una breve biografia pubblicata dalla parrocchia di San Bartolomeo in Tuto a Casellina (Firenze), si è laureato in Storia e dopo sei anni è partito come missionario laico per undici anni in vari paesi. Nel 1988, alla morte del padre, è entrato nel seminario «Redemptoris Mater» di Roma. Nel 1991 è stato ordinato presbitero e dopo due anni, trascorsi lavorando come cappellano, in due parrocchie di Roma, è stato inviato in Olanda.

«Monsignor Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma, è stato avvisato del sequestro del sacerdote della diocesi di Roma in missione nel sud della Nigeria. Vive insieme a tutta la Chiesa di Roma un’apprensione, sperando e pregando, soprattutto, che questo suo figlio possa tornare presto in libertà ed essere riabbracciato e riaccolto dalla sua Chiesa madre». È quanto afferma al Sir don Walter Insero, responsabile dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma, a seguito del rapimento.

«C’è apprensione e preoccupazione – aggiunge don Insero – ma allo stesso tempo la Chiesa si unisce in preghiera, pregando per lui e per la sua liberazione»

«Papa Francesco è stato informato del sacerdote italiano rapito in Nigeria, don Maurizio Pallù, e sta pregando per lui». Lo riferisce via Twitter il direttore della Sala stampa vaticana, Greg Burke.

«Per ora non abbiamo buone notizie ma abbiamo fiducia e continuiamo a sperare che a breve don Maurizio venga liberato. Le forze dell’ordine stanno facendo del tutto per rintracciarlo. Tra poco i rapitori dovranno rilasciarlo perché non è facile portare in giro un italiano nel bosco senza essere visti. Anche noi abbiamo mobilitato e impiegato tutte le forze possibili. Dobbiamo continuare a pregare perché prima o poi verrà rilasciato». Lo ha detto l’Arcivescovo di Abuja (capitale della Nigeria), il cardinale nigeriano John Olorunfemi Onaiyekan, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000.

«Ho parlato con l’arcivescovo di don Maurizio – ha aggiunto Onaiyekan – perché è qui con me insieme agli altri vescovi della Nigeria per celebrare la festa dell’anno mariano che si conclude oggi. Anche l’Arcivescovo è in attesa di buone notizie. Con don Maurizio non c’erano suore ma solo altri passeggeri»
(La Stampa)



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Arrivata a Palermo la "nave dei bambini". A bordo 241 minori, mai così tanti

Salvati da nave Aquarius di Sos Méditerranée sulla rotta libica. L'imbarcazione ha attraccato nel porto del capoluogo siciliano questa mattina.


È arrivata nel porto di Palermo Aquarius, la nave di Sos Méditerranée, con a bordo 606 migranti salvati in sette operazioni di soccorso in meno di 36 ore. La 'nave dei bambini' è stata ribattezzata. Sul natante dell'organizzazione franco-italo-tedesca, infatti, 241 minori, 178 dei quali non accompagnati. Sono undici le donne incinte, di cui due al nono mese di gravidanza, e c'è anche un neonato di appena una settimana.

Diversi naufraghi presentano sintomi di malnutrizione e appaiono provati dalla prolungata mancanza di cure, un giovane porta i segni di ferite da arma da fuoco e da machete. Numerose donne di origine sub-sahariana hanno dichiarato di essere state ripetutamente vittime di violenze sessuali e di essere state imprigionate per diversi mesi.

"Un naufrago su tre è bambino o adolescente", ha confermato Madeleine Habib,coordinatrice SAR (Search and Rescue) di Sos Méditerranée. I migranti soccorsi martedì e mercoledì provengono da più di 15 Paesi differenti: Siria, Egitto, Mali, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Sudan, Marocco, Somalia, Eritrea, Senegal, Camerun, Nigeria, Liberia, Etiopia, Algeria, Ghana, Benin, Gambia, Yemen. Tra loro anche un migrante originario della Turchia. 50 sono i richiedenti asilo siriani in fuga attraverso la Libia, tra i quali intere famiglie con bambini.

C'è anche un giovane che porta i segni di ferite da arma da fuoco e da machete. Lo rende noto la stessa organizzazione umanitaria. Diversi naufraghi presentano sintomi di malnutrizione e appaiono provati dalla prolungata mancanza di cure.

Cinquanta persone sono richiedenti asilo siriani in fuga dalla Libia, e tra questi intere famiglie con bambini e due donne incinte al nono mese di gravidanza. "Siamo fuggiti dalla Siria e siamo arrivati in Libia nel 2012. Ho lavorato nel settore delle costruzioni. Ma presto in questo Paese tutto è diventato caotico, non ci sono più soldi, né lavoro. Tutto ormai ruota intorno al racket e al traffico di esseri umani" ha spiegato un siriano ai volontari della ong.

"In Libia, se vedono Siriani dicono 'dammi i soldi'. Mi hanno rubato la macchina. È uguale per tutti gli stranieri, se non sei libico non sei niente. Non ho avuto altra scelta: il mio passaporto era scaduto, era il mare o la morte" ha continuato il testimone siriano, che desidera chiedere asilo in Germania, dove si trova una parte della sua famiglia.

"Abbiamo tentato la traversata tre volte. Ma la prima volta la barca è quasi affondata, la seconda volta il tempo era troppo brutto e dei pescatori ci hanno consigliato di tornare sulla costa altrimenti saremmo morti in mare, la terza volta era questa. I trafficanti ci hanno dato una bussola e ci hanno detto: se andate in questa direzione arrivate a Malta. Se andate in questa direzione arrivate a Venezia. Se andate in questa direzione arrivate in Andalusia" ha aggiunto ancora il naufrago siriano, assicurando che la barca è partita da Garabulli, a est di Tripoli.

"Le diverse operazioni di salvataggio effettuate dalla Aquarius in queste ultime ore dimostrano che la crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale continua o addirittura peggiora. Gli uomini, le donne e specialmente i tanti bambini salvati in mare scappano dal caos e dal clima di insicurezza e di violenza in Libia. In mancanza di un'alternativa sicura, non hanno altra scelta che tentare la traversata del tratto di mare più mortale al mondo" afferma Valeria Calandra, presidente di Sos Méditerranée Italia.

L'organizzazione si appella alle autorità nazionali ed europee sulla "necessità urgente di mobilitazione di imbarcazioni di salvataggio nel Mediterraneo per intervenire in tempo, prima che le imbarcazioni di fortuna si rompano e affondino, non lasciando alcuna possibilità sopravvivenza ai loro passeggeri. Di fronte all'assenza di un adeguato dispositivo di salvataggio istituzionale, continueremo la nostra missione in mare durante tutto l'inverno, per il secondo anno consecutivo" ha concluso. Da quando la missione della ong ha preso il via, a fine febbraio, sono più di 23.000 le persone salvate e soccorse a bordo della nave Aquarius.
(La Repubblica)


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