lunedì 19 marzo 2018

Tutte le accuse contro l’ong Proactiva Open Arms

La sera del 18 marzo 2018 la nave dell’ong spagnola Proactiva Open Arms è stata sequestrata dalla polizia italiana nell'ambito di un'inchiesta aperta dalla procura di Catania. Era ormeggiata al porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa, dopo aver sbarcato 216 migranti.


L’organizzazione umanitaria, impegnata nel soccorso in mare di migranti al largo della Libia, è accusata di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tre persone dell’equipaggio, tra cui il capitano Marc Reige la capomissione Anabel Montes, hanno ricevuto un avviso di garanzia.

Le accuse
Secondo quanto ricostruito dalla difesa, gli spagnoli sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per non aver riconsegnato ai guardacoste libici i migranti soccorsi il 15 marzo 2018, perché secondo la Centrale operativa della guardia costiera di Roma i libici avevano assunto il coordinamento delle operazioni.

Per gli spagnoli la Centrale operativa di Roma ha avuto una condotta contraddittoria: prima ha chiesto di intervenire e poi invece di rimanere in attesa dell’intervento dei libici. Ma l’avvocata di fiducia del capitano, Rosa Lo Faro, ha dichiarato a Internazionale che l’accusa sarebbe quella di aver violato gli accordi previsti dalla missione europea Themis, che da febbraio assegna la competenza delle acque internazionali a nord della Libia alla guardia costiera libica. Sarebbe stato violato anche il codice di condotta per le ong voluto dal governo italiano e sottoscritto dall'ong la scorsa estate. “Tuttavia i termini di questo accordo nessuno li ha potuti vedere”, spiega l’avvocata. “E in ogni caso si tratterebbe della violazione di un regole amministrative, non di norme di diritto internazionale

Ci siamo comportati come al solito”, afferma Riccardo Gatti, portavoce dell’organizzazione. “Se sono cambiate delle regole o dei protocolli noi non siamo stati informati da Roma”.

Il fondatore dell’organizzazione, Oscar Camps, il 18 marzo ha scritto su Twitter: “Si tratta solo di un’ipotesi di reato e anche il sequestro della nave è solo preventivo. Però ci accusano di associazione a delinquere per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver disubbidito ai libici e non aver restituito donne e bambini”. E poi ha aggiunto: “Impedire il soccorso di vite in pericolo in alto mare con il fine di restituirle a un paese non sicuro come la Libia, equivale a un respingimento e contravviene alla convenzione sui rifugiati delle Nazioni Unite

In una conferenza stampa a Barcellona Camps ha confermato le accuse rivolte al comandante della nave e al capo-missione, che rischiano pene severe che vanno da cinque a sette anni di carcere. Nella conferenza stampa, a cui ha partecipato anche la sindaca di Barcellona Ada Colau, Camps ha accusato la procura di Catania “di voler bloccare i soccorsi di migranti nel Mediterraneo centrale. Ci sono sempre meno barche per fare questo lavoro e l’obiettivo è che non ne resti nessuna

Non è immaginabile che esista un reato di solidarietà umana
L’avvocata Rosa Lo Faro ha definito l’ipotesi di reato contro l'ong spagnola “reato di solidarietà”, perché “il decreto legge 286 del 1998 dice chiaramente che non commette reato chi soccorre persone”. Per questo ha aggiunto: “Devo dedurre che hanno istituito il reato di solidarietà”. Rosa Lo Faro spiega però di non aver ancora potuto leggere il provvedimento, “perché nonostante io sia la legale del comandante hanno notificato il fermo e l’avviso di garanzia a un legale d’ufficio

Intorno alle 19.30 del 18 marzo la squadra mobile di Ragusa ha consegnato il provvedimento di sequestro della nave al comandante, Marc Reig, a cui è stato notificato anche un avviso di garanzia. Non era presente un interprete e all'equipaggio è stato concesso di passare la notte sulla barca ormeggiata al porto di Pozzallo. Il giorno precedente, il 17 marzo, Reig e la coordinatrice dell’operazione, Anabel Montes, sono stati interrogati per cinque e sei ore nel commissariato di polizia all'interno dell'hotspot di Pozzallo, senza che fosse presente un avvocato e un interprete.

L’ultimo salvataggio
Intorno alle 7 del 15 marzo la Centrale operativa della guardia costiera italiana ha contattato la Proactiva Open Arms per segnalare un gommone con più di cento persone a bordo in difficoltà a 25 miglia dalle coste libiche. La nave si è diretta verso l’obiettivo indicato, ma dopo venti minuti un’altra chiamata da Roma ha chiesto agli spagnoli d’interrompere la missione e di lasciare il campo alla guardia costiera libica, che avrebbe dovuto coordinare l’operazione.

Mezz'ora dopo un'altra chiamata da Roma ha segnalato un barcone in difficoltà, molto vicino al precedente: a 27 miglia dalla Libia, in acque internazionali. Le lance di soccorso di Open Arms sono intervenute e hanno trovato un gommone con 117 persone a bordo che stava per affondare, con diversi migranti in mare e alcuni che avevano bisogno di un rapido intervento dei medici di bordo.

Sono stati soccorsi 109 uomini e otto donne. Intorno alle 10.30, quando i soccorsi erano ormai conclusi, l’imbarcazione di Open Arms è stata contattata via radio dalla guardia costiera di Tripoli, che ha intimato di consegnare i migranti soccorsi alla nave libica. Gli spagnoli hanno rifiutato. “Sappiamo che i libici hanno compiuto numerose azioni illegali, abusi e maltrattamenti ai danni dei migranti. Sappiamo anche che i libici non hanno giurisdizione in acque internazionali, anche se collaborano con l’Italia e l’Europa, quindi non abbiamo obbedito alla loro richiesta di trasferire i migranti”, spiega Riccardo Gatti, portavoce di Proactiva Open Arms.


La tensione è durata un paio di ore fino a quando i libici si sono ritirati
Più tardi, nel corso della giornata, la nave ha partecipato ad altri soccorsi e nel pomeriggio si è trovata di nuovo in difficoltà con la guardia costiera libica, a 73 miglia dalle coste nordafricane. Dopo essere intervenuti in soccorso di un’imbarcazione in alto mare, i gommoni di salvataggio degli spagnoli sono stati bloccati dai libici, che hanno minacciato di ricorrere alla forza se i migranti non fossero stati consegnati alle motovedette di Tripoli. Alcuni guardacoste libici sono saliti sulle lance di soccorso di Open Arms, rendendo la situazione ancora più difficile.

La motovedetta libica 648 Ras Jadir, donata dall’Italia, si è posizionata tra l’imbarcazione dei migranti e la nave dell'ong, impedendo alle lance di soccorso, che stavano distribuendo i giubbotti di salvataggio, di continuare il recupero. Molti migranti si sono gettati in mare, perché non volevano essere soccorsi dai libici. La situazione di tensione è durata due ore, fino a quando i libici si sono ritirati.

Sono state soccorse in tutto 218 persone, tra cui una neonata in condizioni gravissime, che qualche ora dopo è stata trasportata in emergenza a Malta insieme con la madre. La nave dell'ong è rimasta al largo per 48 ore prima di ricevere un porto di sbarco dalle autorità italiane. L’Italia per la prima volta nella storia dei soccorsi in mare ha chiesto all'organizzazione umanitaria che fosse il proprio stato di bandiera, cioè la Spagna, a chiedere l’autorizzazione per lo sbarco.

Chi coordina i soccorsi?
Una delle questioni più spinose che si sta riaccendendo rispetto ai soccorsi nel Mediterraneo centrale riguarda la zona di ricerca e soccorso (Sar) affidata alla guardia costiera libica. Dal 2013 le operazioni nelle acque internazionali di fronte alle coste libiche erano state affidate alla guardia costiera italiana in seguito all'operazione Mare nostrum, ma dalla scorsa estate le autorità italiane vogliono che il coordinamento torni in mano ai guardiacoste libici.

La guardia costiera libica nell'agosto del 2017 ha reclamato la sua sovranità sulle acque internazionali e ha chiesto l’attribuzione della propria zona Sar alle autorità marittime internazionali. Questa autorizzazione non gli è stata mai concessa. Tuttavia in un comunicato il 16 marzo 2018 la guardia costiera italiana per la prima volta afferma che i soccorsi avvenuti il 15 marzo erano sotto il coordinamento di Tripoli e implicitamente critica la condotta dell’organizzazione umanitaria che ha rifiutato di riconsegnare alla Libia i migranti appena salvati.

Per l’Associazione studi giuridici sull'immigrazione (Asgi) le autorità marittime internazionali non hanno ancora concesso ai libici la giurisdizione su quel tratto di mare. “Anche in ragione della mancanza di adeguati requisiti per essere riconosciuta dall'International maritime organisation (Imo) si deve ritenere che un’area Sar libica non esista”, scrive l’Asgi in un comunicato. “Non sussistendo la responsabilità di alcuno stato sull'area del mar libico a sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia, la prima centrale contattata ha la responsabilità giuridica di attivarsi per salvare le barche dei migranti e dei rifugiati in pericolo e per condurli in un porto sicuro
(Internazionale)

Adesso che in Italia hanno vinto destre e populisti le procure fasciste si mettono in mostra. Anziché arrestare i veri trafficanti di uomini accusano di traffico di esseri umani coloro che invece i migranti li salvano in mare. Che vergogna.
(Maris)


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