Papa Francesco si sarebbe visto costretto a decidere di rimandare il viaggio a causa delle informazioni ricevute dal team che si era recato a Juba, la capitale del Sud Sudan, all'inizio del mese, per verificare la fattibilità della visita.
Il gruppo avrebbe trovato che i servizi nel paese non sono assolutamente adeguati ad una visita del papa e metterebbero a repentaglio la sua sicurezza e quella della gente che si sarebbe ammassata per incontrarlo. I problemi cominciano dall'aeroporto, che è costituito da strutture provvisorie e non è adatto a contenere la folla che si radunerebbe per l’occasione.
Le condizioni di sicurezza a Juba, inoltre, non sarebbero sufficienti a permettere al papa di uscire dall'aeroporto, e questo finirebbe per risultare dannoso per l’immagine stessa del paese e per il morale dei sud sudanesi, che dovrebbe invece essere sollevato dall'incontro con Francesco.
La visita, di cui a lungo si è parlato, avrebbe dovuto essere effettuata con l’arcivescovo anglicano di Canterbury, un segnale importante a sostegno del lavoro coordinato che le chiese cristiane fanno nel paese, attraverso il Consiglio delle chiese sud sudanesi. La visita del papa era stata sollecitata e promessa, proprio durante la visita di una delegazione del Consiglio delle chiese sud sudanesi in Vaticano l’anno scorso.
L’idea iniziale era di andare tra ottobre e novembre, non prima per via delle temperature proibitive in quella area geografica. Nel frattempo la situazione politica e militare è precipitata, è stato un susseguirsi di eventi che hanno portato di nuovo alla guerriglia, alla rottura del cessate il fuoco mentre la situazione umanitaria peggiorava ulteriormente. Gli scontri sono ripresi in tutta la regione, in una terra segnata da conflitti tribali, alimentati dai cosiddetti signori della guerra, insomma un ginepraio.
Le organizzazioni umanitarie sono state le prime a segnalare, settimane addietro, che l’equilibrio stava saltando, che i soldati si macchiavano di comportamenti indegni.
Uccisioni di massa, stupri, violenze nei villaggi. Un particolare che non è stato ignorato nemmeno dal presidente Salva Kiir attraverso una denuncia pubblica. Ondate di fuggitivi hanno preso a spostarsi dai villaggi, verso mete imprecisate, per sfuggire al terrore. La sopravvivenza si misura ogni giorno e la crisi alimentare ha ripreso a falcidiare la gente.
Durante la sua visita in Vaticano, il presidente americano Trump ha promesso a Papa Francesco che gli Usa avrebbero destinato nell'immediato maggiori quantità di risorse e denaro in quell'area per combattere fame, denuntrizione e carestia.
Nel Sud Sudan ci sono quattro milioni di cattolici presenti nel Paese, circa un terzo della popolazione totale
Il sogno del viaggio papale sembra svanire anche nei vescovi sudanesi che, sei mesi fa erano arrivati a Roma per invitare il Papa, per incoraggiarlo a portare una parola di pace capace di riaccendere i riflettori della politica internazionale su quel fazzoletto di terra dimenticato. Monsignor Paolino Luky, vescovo di Juba, spera ancora in un miracolo fino alla fine. Resta convinto che Papa Francesco possa essere la chiave di volta nel processo di pace.
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