sabato 13 ottobre 2018

Condannato a 25 anni il romanziere di Giaveno. Riconosciuto colpevole dell'assassinio di Anthonia, nigeriana di 20 anni

Aveva descritto il delitto in un romanzo. Giovedì 11 ottobre il tribunale di Torino ha condannato Daniele Ughetto Piampaschet a 25 anni di carcere per l’omicidio di Anthonia Egbuna, all'epoca (2011) ventenne.

Anthonia Egbuna, 20 anni
La condanna è arrivata dalla Corte d’Assise nel nuovo processo d’appello. la Cassazione aveva infatti annullato la precedente condanna di secondo grado (in primo grado Ughetto era stato assolto) e allora è stato “rifatto” il processo.

Anthonia Egbuna fu uccisa "presumibilmente" alla fine di novembre 2011 a Torino. Era una delle tante ragazze nigeriane costrette a prostituirsi nel torinese e Ughetto si era "innamorato" di lei, o come disse lui stesso, voleva salvarla. Il corpo della giovane nigeriana fu gettato nel fiume Po e trovato solo il 26 febbraio 2012, tre mesi dopo il suo assassinio. Si tratta della quarta sentenza nei confronti dello "scrittore" di Giaveno.

Il Piampaschet aveva descritto l'assassinio della ragazza in un romanzo "La Rosa e il Leone" (mai pubblicato) e poi, secondo l'accusa, mise in pratica il delitto anche nei dettagli. Ha retto quindi l'impianto accusatorio che si è basato proprio sulla premeditazione del delitto.

Una lunga vicenda. Sullo sfrondo il romanzo "La Rosa e il Leone"
La storia della vita di Daniele Ughetto Piampaschet, si incrocia con le pagine del suo stesso romanzo, “La Rosa e il Leone”. Scritti che nel 2012 vennero sequestrati dai carabinieri per far luce sul tragico epilogo di una dolorosa vicenda, non ancora terminata (la sentenza di questi giorni non è ancora definitiva), in cui il Piampaschet è stato condannato per l’omicidio di Anthonia Egbuna, una ragazza nigeriana che era costretta a prostituirsi nelle grigie e polverose strade tra Torino e Carignano.

I giovani si erano frequentati assiduamente dal 19 febbraio 2011 (data in cui si erano conosciuti), al 28 novembre 2011 (presunta morte della donna)

Una lunga trafila giudiziaria. Daniele Ughetto viene arrestato con l’accusa di omicidio, ma è scarcerato in seguito all'assoluzione della Corte d’Assise di Torino che non lo ritiene responsabile di aver commesso il fatto. Il libro da lui scritto che narra di un assassinio quasi identico a quello avvenuto nella realtà, sarebbe stato una semplice finzione letteraria che avrebbe condizionato le indagini nei confronti dell’imputato. Secondo i giudici di primo grado la narrazione letteraria e i fatti reali sarebbero stati "simili" solo per una coincidenza. Una coincidenza perfino il nome identico tra la protagonista del romanzo e quello reale della povera Anthonia.

L’appello ribalta tutto. Quel romanzo per la Corte d'Assise di Torino non sarebbe stato frutto di fantasia dello scrittore bensì un triste preludio all'omicidio, ed Ughetto viene così condannato a 25 anni. Infine il ricorso alla cassazione, che rimanda tutto indietro per ascoltare nuovi testimoni. Il nuovo processo d'appello, l'11 ottobre scorso, conferma a Daniele Ughetto Piampaschet 25 anni di carcere per aver premeditato il delitto.

E poi ci sono quelle 1900 telefonate in pochi mesi che dimostrano l'ossessione del Piampaschet per Anthonia, una circostanza non secondaria. Lui avrebbe voluto redimerla, ma lei nonostante tutto continuava a prostituirsi. 


Storie Vere .. Così parlavamo di Anthonia nel 2016 nella pagina facebook dedicata al "Le Ragazze di Benin City", qualche tempo dopo la prima sentenza d'appello.

Una circostanza travagliata che aldilà di qualunque ipotesi narra e restituisce il riflesso di un contesto sociale estremamente drammatico. “Viaggiava su una vecchia 500 Fiat. Il contachilometri segnava 343.541, e scorreva inesorabile, come gli anni che sbriciolano ogni traccia del passato. Anche se il suo presente sembrava l’eterna riproposizione di un identico passato”. Questo è l’incipit del breve racconto “La Rosa e il Leone” scritto da Piampaschet, oggi condannato per omicidio volontario premeditato e occultamento di cadavere, nei confronti della ventenne Anthonia Egbuna, giovane prostituta nigeriana.

La storia di Daniele
Daniele Ughetto Piampaschet
La storia di Daniele Ughetto inizia molto tempo prima, quando all'età di soli 16 anni, era rimasto scosso da un episodio legato alla protezione. Dai racconti dei genitori. “Era arrivato a casa piangendo perché durante un giro in bicicletta aveva visto una prostituta albanese vendere il suo corpo sulla strada. Andò dal parroco e cercò di sollevare la questione, sperando che potesse essere salvata. Nella sua ingenuità pensava che sarebbe bastato per risolvere un problema così vasto. Ne rimase molto deluso e da allora cercò sempre di salvare e far inserire nella società queste donne dal vissuto doloroso. A volte le portava da noi a cena

In effetti di ragazze ne aveva salvate tante, nel suo piccolo e senza mezzi. Nel 2011 ne aveva tolto dalla strada due e altre le aveva condotte al Serming, facendo sì che alcune di loro si inserissero socialmente affrancandosi da una misera esistenza. Aveva persino pagato riscatti per una sua precedente compagna. L’amore per l’Africa era sempre stato forte: nel 2002 si sposa con una donna nigeriana da cui si separa consensualmente solo dopo anni di matrimonio, accogliendo comunque nella sua casa anche il figlio che lei aveva avuto da un altro.

Era mosso dall'altruismo, forse anche patologico, nel senso che il giovane tendeva a dimenticare le proprie motivazioni di vita per dirigere tutti i propri sforzi e le energie verso gli altri, ritenendoli addirittura più importanti di se stesso, come si evince da alcune righe del racconto: “Lui aveva dato tutto per amore, aveva fatto tutto e il contrario di tutto per amore. Si era bruciato per amore. E questo era il suo unico vanto. Oggi non era nessuno. E se non era nessuno il motivo era l’amore. Oggi non era nulla. E se non era nulla il motivo erano i suoi slanci ideali"

Gli stessi genitori lo hanno sempre ritenuto un idealista, come ricordava la madre. “Alle volte leggevamo insieme passi della Bibbia. Essendo molto cattolica spesso non comprendevo appieno il vissuto delle prostitute, lui cercava sempre di farmi capire quali condizioni di vita difficile vivevano

Idealismo, frutto anche di una formazione filosofica, che emerge dai suoi scritti e dalle sue riflessioni in cui trapela anche una profonda critica sociale al contesto aberrante della prostituzione. “La strada era corruzione, corruzione e abbruttimento spietati. Lui non poteva sopportare la vita di una ragazza di vent’anni rovinarsi, corrompersi in quel modo, giorno dopo giorno

Anthonia era un mistero di grazia e bellezza
La descrive con queste parole. “Anthonia era un mistero di grazia e bellezza. Per questo era gettonatissima dai clienti, alcuni anche molto danarosi. Ma lei si era innamorata di lui, che per quanto simpatico, era più squattrinato di un ladro in manette. La mattina e il pomeriggio li passava a Carignano su un secchio o una seggiola, prima che gliela rubassero. La notte batteva su corso Regina, poco distante dalla Pellerina. Per stare insieme avevano giusto alcune ore tra un “turno” e l’altro. Facevano quattro passi per Giaveno, sbirciavano le vetrine dei negozi di scarpe e di abbigliamento, sostavano alla Crai per comprare pizze surgelate e lattine di Coca-Cola e poi si rintanavano sotto le lenzuola a coccolarsi

Una relazione difficile
Nonostante tutto la coppia cercava quell'intimità consentita da pochi infinitesimali sprazzi di normalità per andare oltre quella quotidianità straziante. “Tutti i giorni presero l’abitudine di incontrarsi alle cinque o sei di sera nel luogo dove batteva. In pochi minuti Anthonia raccoglieva le sue cose, sacchetti di plastica, spazzole, ciprie e rossetti, borsone, portafoglio, agendina, soldi, ombrello. Poi raccoglieva le cartacce da terra in un sacco della spazzatura e infine ritirava in mezzo ai cespugli un secchio di plastica, una seggiola pieghevole e un grosso ombrello a pois. Tutte le volte di ritorno verso casa tirava fuori dalla borsa una banana e cominciava a mordicchiarla ascoltando la musica dialettale nigeriana

Lui era estasiato dal profumo del sole di quella terra lontana, dalla Nigeria e dalla bellezza che si celava dietro i loro occhi: “Era rimasto colpito dalla lucentezza dei suoi occhioni. La prima volta si era rivolto con “Che fai buttata lì per strada? Ti distruggi per niente, lo sai?”, e lei si era addirittura scritta la data di quell'incontro. “L’aveva annotata sul cellulare e spesso gliela mostrava orgogliosa. Sotto la data aveva scritto “I met a friend”. (Ho incontrato un amico).

Nelle pagine del romanzo emergono i ricordi di quella giovane cresciuta troppo in fretta, probabilmente arrivata dalla Libia. “Dopo l’attraversamento del deserto era riuscita ad infilarsi sul barcone, pagando la traversata grazie ad accordi presi con una donna che le aveva fatto promettere in nome del juju (pratiche religiose animiste) che avrebbe risarcito una certa somma di denaro"

"Una volta in Italia Anthonia venne invitata da alcuni conoscenti in Germania. Poi fu ri-condotta in Italia da un’altra donna, a cui pagò 15 mila euro battendo tre mesi nella zona di Cuneo”. Daniele Ughetto descrive nel racconto dedicato ad Anthonia la vita di tante ragazze sfortunate che sognano come delle cenerentole dei giorni nostri di trovare un uomo, forse italiano, che le porti via dalla strada. Per lui quelle erano fanciulle che per altri invece rappresentavano solo delle prostitute, lo dichiara apertamente quando scrive: “L’Africa per me significava Nigeria. E Nigeria significava le donne. E le donne significavano le prostitute, così chiamate da tutti, ma per me rappresentavano l’Assoluto in terra. L’Assoluto in termini di bellezza

Il racconto e la sofferenza
Il breve racconto “La Rosa e il Leone” viene donato alla giovane molto prima della sua uccisione, intorno ad aprile 2011, accompagnato da una lettera di dedica firmata da Ughetto: “Ad Anthonia, la vera custode dei miei segreti” e viene ritrovato dai carabinieri nell'abitazione di D., un'altra ragazza nigeriana che ospitava Anthonia, anch'essa legata al mondo della prostituzione.

L’epilogo però non è da leggersi soltanto nelle battute che descrivono l’omicidio. “Infine una notte in cui non riusciva a prendere sonno pensando alla sua Anthonia sotto la pioggia, su corso Regina, impegnata a caricare i clienti uno dopo l’altro, uno più sporco e lurido dell’altro. La sua Anthonia, la donna che considerava “sua moglie”, l’unica ragione della sua esistenza presente e futura. In quello stato d’animo sofferto e allucinato si sentì come avvolgere da pareti di fuoco, e in quello stesso istante prese la decisione più terribile della sua vita: ucciderla"

"Attese un pomeriggio molto piovoso”. Secondo la finzione letteraria il corpo doveva essere seppellito nei boschi di Giaveno ma: “Si sentì assalire da un’inquietudine profondissima e così pensò che era meglio affidarla all'acqua (il corpo di Anthonia fu effettivamente ritrovato nelle acque del fiume Po). Ora la sua Anthonia viveva sì dell’eterna contemplazione della sua bellezza, ma lui era solo, solo a questo mondo perché la sua unica ragione di vita era in un altro luogo, in un altro tempo. Doveva raggiungerla, unirsi a lei per sempre

Il tragico epilogo
Rendendosi conto dell’inutilità del gesto, e della mancanza dell’amata, il protagonista del romanzo, si suicida con un fucile. Ci sono qui delle analogie che rievocano l’atto più drammatico di Romeo e Giulietta di Shakespeare. Scrive Daniele Ughetto. “La verità è che non esiste guarigione possibile dal dolore della vita. Guarisce solo chi non si è mai ammalato avendo i piedi ancorati a terra. L’arte e la religione sono oppio, eccellente oppio per cuori sensibili e menti raffinate, e nulla più di questo. Mentre i soldi sono la panacea dei più. Ma per il saggio e l’illuminato, che è sempre anche un folle, “solo la morte è vera”, “la morte è la possibilità più propria dell’uomo”, anzi usando le parole di un poeta “la morte è un sogno

La morte quindi sarebbe, secondo queste righe, un epilogo ideale. Nel romanzo si possono intuire reminiscenze di Marx, Schopenhauer, Nietzsche. Infine il paragrafo più saliente è quello che riguarda il sogno, che conclude l’intera narrazione: “Ma la vita non è solo un sogno? L’omicidio e il suicidio non sono forse la scorciatoia a una più grande verità? E questa verità non è forse l’amore? Ma quale uomo può amare una prostituta? Perché lei aveva osato dirgli: “un giorno troverò un uomo bianco o nero che mi ama per come sono e quel che faccio”? quale uomo può amare una prostituta?”

Ed è su queste frasi che si è concentrato il dibattimento cercando di far luce sulla vicenda che ha portato alla morte, avvenuta presumibilmente tra il 28 novembre 2011 e il 26 febbraio 2012, data del ritrovamento del cadavere di Anthonia nel fiume nei pressi della diga del Po a San Mauro. È stato nuovamente analizzato il contesto nella quale la vittima esercitava la prostituzione, ambiti in cui è sempre presente un clima di intimidazione e controllo esercitato da chi gestisce questo traffico e il ruolo effettivo di tutti i soggetti emersi durante le indagini verificandone l’eventuale coinvolgimento.

I testi scritti da Daniele Ughetto, aldilà del contesto giudiziario, costituiscono un documento di una triste e diffusa condizione umana, di tante donne gettate per le strade tra l’indifferenza della gente e abusate ogni giorno, moralmente e fisicamente, da magnacci e clienti senza scrupoli.


Belle e tristi fanciulle, talvolta anche bambine, che nei loro amplessi celano le vite di altre persone, uomini dalla doppia vita, fidanzati e sposati, magari anche con figli, alla ricerca di una carezza proibita




Articolo a cura di
Maris Davis


Condividi su Facebook




venerdì 5 ottobre 2018

Premio Nobel per la Pace 2018 assegnato a Denis Mukwege e Nadia Murad

Denis Mukwege, medico congolese e Nadia Murad, attivista yazida, sono il simbolo della lotta contro lo stupro come arma di guerra.


Il premio Nobel per la Pace 2018 è stato assegnato a Denis Mukwege e Nadia Muradper i loro sforzi per mettere fine alle violenze sessuali nei conflitti armati e nelle guerre

L’annuncio a Oslo del Comitato norvegese per i Nobel. Entrambi i premiati, ha spiegato il Comitato, hanno dato un contributo essenziale per portare l’attenzione sui crimini di guerra. Denis Mukwege ha dedicato la sua vita ad aiutare e difendere le persone coinvolte in violenze e abusi. Nadia Murad ha raccontato le violenze subite e inflitte ad altre persone.

Grazie al loro lavoro, ripreso spesso dai media internazionali, hanno entrambi contribuito a rendere di attualità e sentito il tema delle violenze sessuali nei conflitti e nelle guerre, consentendo spesso di identificarne gli autori delle violenze

Denis Mukwege davanti all’Ospedale Panzi di Bukavu, Repubblica Democratica del Congo

Denis Mukwege
Denis Mukwege è di origini congolesi, ha 63 anni ed è un medico specializzato in ginecologia e ostetricia. È il fondatore dell’Ospedale Panzi di Bukavu, nella parte orientale del Congo (Repubblica Democratica), dove è diventato tra i più grandi esperti mondiali nel trattamento dei danni fisici dovuti agli stupri. Con i suoi colleghi, ha trattato migliaia di pazienti, donne accolte nella clinica dopo i numerosi casi di stupro avvenuti nella lunga guerra civile del paese. Mukwege viene anche chiamato "il dottore che aggiusta le donne stuprate"

Nel corso degli anni, Mukwege è diventato un simbolo e un punto di riferimento, sia nel Congo sia per la comunità internazionale, per l’assistenza e l’aiuto delle persone che hanno subìto violenze sessuali in guerra e nei conflitti armati. Dice spesso che “la giustizia è un affare di tutti” e che tutti hanno il dovere di segnalare casi di violenze, in qualsiasi condizione e a qualsiasi costo. 

Mukwege ha criticato duramente il governo congolese per non avere fatto abbastanza nel contrasto delle violenze sessuali, estendendo le critiche ad altri governi in giro per il mondo per la poca attenzione che hanno nei confronti di quello che è un vero e proprio crimine di guerra.



Nadia Murad
Nadia Murad, 25 anni, è un’attivista yazida, la minoranza religiosa di lingua curda che negli ultimi anni è stata oggetto di terribili persecuzioni e violenze da parte dello Stato Islamico (ISIS). Nell’agosto 2014 Murad fu rapita da alcuni miliziani dell’ISIS durante la grande offensiva dello Stato Islamico nel Sinjar, area dell’Iraq abitata in prevalenza da yazidi. I miliziani massacrarono centinaia di persone che abitavano a Kocho, la cittadina di Murad: presero in ostaggio le donne più giovani, che poi furono vendute come schiave.


Murad è una delle circa 3mila ragazze yazide vittime di stupri e altri abusi compiuti dai miliziani dell’ISIS, ampiamente documentati da diverse inchieste giornalistiche. Dopo tre mesi di sequestro, Murad riuscì a scappare e poi cominciò a raccontare le violenze che aveva subìto. Nell’ottobre 2016 vinse il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, il più importante riconoscimento per i diritti umani in Europa assegnato dal Parlamento europeo.



Gli stupri di guerra sono usati come arma psicologica da soldati, combattenti, milizie, ma anche da civili, durante i conflitti e comprendono anche i casi in cui le donne sono costrette a prostituirsi o a diventare schiave sessuali.

Violenze spesso sistematiche e associate ai massacri. Lo stupro di guerra e la schiavitù sessuale sono riconosciuti dalle convenzioni di Ginevra come crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Lo stupro oggi è anche affiancato al crimine di genocidio quando commesso con l'intento di distruggere, in parte o totalmente, un gruppo specifico di individui.

In lizza per il riconoscimento c'erano oltre 330 nomi, tra cui quello di Kim Jong Un e quello del presidente statunitense Donald Trump
(Corriere della Sera)


Condividi su Facebook




venerdì 21 settembre 2018

Papa Francesco denuncia il dilagare di «nuove forme di xenofobia e di razzismo»

"Chi sfrutta i migranti ne risponderà a Dio, ma accade pure che nel mondo della politica si ceda alla tentazione di strumentalizzare le paure"


«Ero straniero e non mi avete accolto» (Mt 25,43). Dirà forse così Gesù, nel giorno del Giudizio universale, a chi chiude le porte con disprezzo ai migranti che bussano? O a chi, ancor peggio, approfitta della loro condizione di irregolarità o di illegalità per sfruttarli? La riflessione è stata al centro del discorso di Papa Francesco ai partecipanti, ricevuti in udienza, alla Conferenza internazionale su «Xenofobia, razzismo e nazionalismo populista nel contesto delle migrazioni mondiali» promossa a Roma dal Dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale. Mettendo da parte il testo preparato, il Papa ha parlato interamente a braccio. Ecco i punti principali del suo discorso.

Torna la paura dello straniero. E la politica la cavalca
«Viviamo tempi in cui sembrano riprendere vita e diffondersi sentimenti che a molti parevano superati» ha osservato il Papa. «Sentimenti di sospetto, di timore, di disprezzo e perfino di odio nei confronti di individui o gruppi giudicati diversi in ragione della loro appartenenza etnica, nazionale o religiosa e, in quanto tali, ritenuti non abbastanza degni di partecipare pienamente alla vita della società. Questi sentimenti, poi troppo spesso ispirano veri e propri atti di intolleranza, discriminazione o esclusione»

«Purtroppo accade pure che nel mondo della politica si ceda alla tentazione di strumentalizzare le paure o le oggettive difficoltà di alcuni gruppi e di servirsi di promesse illusorie per miopi interessi elettorali»

Chi lucra sui migranti ne risponderà a Dio
«Coloro, poi, che traggono giovamento economico dal clima di sfiducia, in cui l'irregolarità o l'illegalità del soggiorno favorisce e nutre un sistema di precariato e di sfruttamento, talora a un livello tale da dar vita a vere e proprie forme di schiavitù, dovrebbero fare un profondo esame di coscienza, nella consapevolezza che un giorno dovranno rendere conto davanti a Dio delle scelte che hanno operato»

"Ero straniero e non mi avete accolto" (Mt 25,43). Ma già oggi ci interpella: "sono straniero, non mi riconoscete?"

Le religioni chiamate a diffondere la morale naturale
«Di fronte al dilagare di nuove forme di xenofobia e di razzismo, anche i leader di tutte le religioni hanno un'importante missione, quella di diffondere tra i loro fedeli i principi e i valori etici inscritti da Dio nel cuore dell'uomo, noti come la legge morale naturale. Si tratta di compiere e ispirare gesti che contribuiscano a costruire società fondate sul principio della sacralità della vita umana e sul rispetto della dignità di ogni persona, sulla carità, sulla fratellanza, che va ben oltre la tolleranza, e sulla solidarietà», ha spiegato il Papa. In particolare, «possano le Chiese cristiane farsi testimoni umili e operose dell'amore di Cristo. Per i cristiani, infatti, le responsabilità morali sopra menzionate assumono un significato ancora più profondo alla luce della fede. La comune origine e il legame singolare con il Creatore rendono tutte le persone membri di un'unica famiglia, fratelli e sorelle, creati a immagine e somiglianza di Dio, come insegna la Rivelazione biblica»

La dignità di tutti gli uomini, l'unità fondamentale del genere umano e la chiamata a vivere da fratelli, trovano conferma e si rafforzano ulteriormente nella misura in cui si accoglie la Buona Notizia che tutti sono ugualmente salvati e riuniti da Cristo, al punto che, come dice san Paolo, "non c'è giudeo né greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti [... siamo] uno in Cristo Gesù' (Gal 3,28)»

«In questa prospettiva, l'altro è non solo un essere da rispettare in virtù della sua intrinseca dignità, ma soprattutto un fratello o una sorella da amare. In Cristo, la tolleranza si trasforma in amore fraterno, in tenerezza e solidarietà operativa. Ciò vale, ha sottolineato il Pontefice, soprattutto nei confronti dei più piccoli dei nostri fratelli, fra i quali possiamo riconoscere il forestiero, lo straniero, con cui Gesù stesso si è identificato»

Il cristiano è chiamato ad andare controcorrente
«E quando Gesù diceva ai Dodici: "Non così dovrà essere tra voi" (Mt 20,26), non si riferiva solamente al dominio dei capi delle nazioni per quanto riguarda il potere politico, ma a tutto l'essere cristiano. Essere cristiani, infatti è una chiamata ad andare controcorrente, a riconoscere, accogliere e servire Cristo stesso scartato nei fratelli»

«Consapevole delle molteplici espressioni di vicinanza, di accoglienza e di integrazione verso gli stranieri già esistenti, mi auguro che dall'incontro appena concluso possano scaturire tante altre iniziative di collaborazione, affinché possiamo costruire insieme società più giuste e solidali»
(Avvenire)

Condividi su Facebook


Tanzania. Si rovescia un barcone sul lago Vittoria, 130 le vittime fin'ora accertate

Il traghetto che si è rovesciato trasportava almeno 300 persone, molte di più del consentito. Solo poche decine le persone tratto in salvo fin'ora. Si teme che il numero delle vittime possa essere molto maggiore di quello fin'ora accertato.


Centotrenta persone sono morte a causa del ribaltamento di un traghetto che stava navigando sulle acque del Lago Vittoria, il più grande del continente africano, che bagna anche il territorio del Kenya e dell'Uganda. Ma il numero delle vittime potrebbe crescere ancora.

L'imbarcazione si è rovesciata nella zona sud del lago, quella di competenza della Tanzania, non lontano dall'isola Ukerewe, la più estera del lago. Non sono per ora note le cause dell'incidente, ma è probabile che sia stato causato dalle cattive condizioni del natante e del sovra-carico.



Non si sa neppure  quanti passeggeri fossero a bordo del natante, ma si pensa che potessero essere più di 300. Per questo il timore è che le vittime possano essere molte di più di quelle fin'ora accertate. Per ora sono state salvate solo alcune decine di persone, non poche delle quali sono state ricoverate e versano in condizioni disperate. Se il numero di passeggeri dovesse essere confermato, ci sarebbero quindi ancora decine e decine di persone disperse.

Theresia Mwami, portavoce del governo della regione, ha fatto sapere in conferenza stampa che stanno proseguendo le ricerche dei dispersi e che la manutenzione sul traghetto era stata effettuata nei mesi scorsi, dando esito positivo. I due motori erano stati riparati e l'imbarcazione non aveva presentato particolari problemi. Nel suo ultimo viaggio il traghetto era stato caricato di persone e merci, e la tesi che va per la maggiore è che si sia rovesciato a causa del sovrappeso.

Non sono purtroppo una rarità gli incidenti sul Lago Vittoria, la maggior parte dei quali si sono verificati nell'area tanzaniana dello specchio d'acqua. Nel 1996 più di 800 persone morirono quando il traghetto passeggeri e merci MV Bukoba affondò improvvisamente. Sei anni fa, 144 persone morirono o sparirono quando un traghetto sovraccarico affondò nell'isola autonoma di Zanzibar.
(RaiNews)

Condividi su Facebook