lunedì 6 marzo 2017

Nigeriani in Italia, ecco in quanti siamo

La Nigeria, con 77.264 residenti regolari in Italia, costituisce la 19° comunità di stranieri.


Non è, numericamente, nemmeno la prima comunità africana in Italia. Marocco, Egitto, Senegal e Tunisia, nell'ordine, si pongono in avanti nella classifica dei poco più di 5 milioni di residenti stranieri in Italia. Numeri più o meno stabili negli ultimi anni, ovvero poco più dell'8% della popolazione italiana, che in qualsiasi parte del mondo non dovrebbero creare allarmismi.

Negli ultimi anni sono cresciuti enormemente gli arrivi dei nigeriani in Italia attraverso gli sbarchi luongo la rotta mediterranea. Nel 2016 il 20,7% dei 181.436 sbarcati era composto da nigeriani (37.551), un numero in grande crescita negli ultimi anni.


I motivi che spingono i nigeriani a migrare sono molteplici. Sicuramente la questione delle violenze nel paese (non solo quelle dei gruppi estremisti come Boko Haram) incide fortemente in alcune aree sulla stinta migratoria. Nel 2015 in Nigeria vi furono 11 mila morti dovuti alle violenze religiose, etniche e sociali. Vi sono poi fattori economici importanti.

Il colosso africano (oltre 180 milioni di residenti) fatica a svilupparsi. Le risorse petrolifere, che garantiscono quasi il 20% del PIL, (era il primo produttore dell'Africa, superato da poco dall'Angola) rischiano di creare più problemi che opportunità. La corruzione è alle stelle, alcuni ambienti come il Delta del Niger sono devastati, forse per sempre, dall'inquinamento, e la povertà attanaglia non solo le grandi città.

Vi è infine un'altra fetta di migrazione che rende quella nigeriana una storia diversa dalle altre.

Crescono il numero delle giovani donne che nella speranza di cercare fortuna in Europa entrano nei circuiti della prostituzione, soprattutto di strada

Sulla prostituzione nigeriana ho scritto e si conosce quasi tutto. Un tempo l'inganno, oggi il sacrificio di una delle figlie, i riti vudu, il debito accumulato per la migrazione, il ruolo delle organizzazioni criminali (confraternite) sempre più capillari e strutturate e infine la madame e la vita di strada, tra le periferie di mezza Europa. Nel 2013 erano giunte 433 donne nigeriane, tra il 2015 e il 2016 questo numero è arrivato a 11.300.


Recentemente la rete criminale nigeriana ha iniziato ad utilizzare, confondendosi con gli altri, gli unici canali di accoglienza aperti nel nostro paese: quelli della protezione internazionale. Nell'ultimo triennio i numeri delle richieste d'asilo di nigeriani è cresciuto esponenzialmente, mettendo a dura prova il sistema.

Il risultato delle richieste è per oltre il 66% negativo. Infatti nel periodo 2001-2015 solo al 2% dei richiedenti è stato accordato lo stato di rifugiato. Oggi appare del tutto evidente che il circuito dei richiedenti asilo è divenuto l'unico canale di regolarizzazione. Le "Commissioni Territoriali" (quelle deputate a valutare le richieste di asilo) sono intasate e incapaci di dare risposte in tempi celeri. Oggi si aspetta almeno nove mesi per una audizione. I tempi dilatati finiscono inevitabilmente per favorire le reti criminali e danneggiare chi ha diritto alla protezione.


Le reti criminali nigeriane (confraternite) sono diventate sempre più capillari e strutturate. Gli esperti ritengono che la "mafia nigeriana" sia molto pericolosa per la sua duplice capacità di essere aggressiva e innovativa. Nata in ambienti universitari è capace di mettere assieme elementi tipici della criminalità (in termini di brutalità) e uno spiccato senso della modernità fatta di tecnologia e business.

La questione di maggior rilievo è quella relativa ai legami con la comunità nigeriana regolarmente residente in Italia (sono circa 77 mila) che sembra almeno essere cieca nei confronti del dilagare della rete di infiltrazione nella società.

La sensazione, sempre più confortata dai dati, è che il business della traffico di donne da avviare alla prostituzione si sviluppi ben oltre la criminalità organizzata sembra essere sempre più una verità anziché un sospetto.



Articolo a cura di
Maris Davis

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