martedì 4 settembre 2018

"Connection man" gestiva di centinaia di ragazze nigeriane schiave del racket

Un solo uomo, un “connection man”, gestiva un centinaio di ragazze nigeriane, costrette a prostituirsi, schiave del racket e di riti woodoo.


Molte di queste ragazze attirate in Italia con la scusa di un "viaggio studio" che si è presto rivelato una trappola. Reclutate in Nigeria nei villaggi più poveri con la promessa di ottenere un titolo di studio e un lavoro in Italia, le ragazze venivano affidate a un “connection man” che aveva il compito di organizzare il viaggio dalla Nigeria fino all'Italia.

I “connection men” sono figure chiave della tratta. Sono gli emissari delle organizzazioni criminali che prendono in carico le nigeriane, fino al loro arrivo in Libia, spesso fino all'arrivo in Italia. Garantiscono loro il viaggio e istruiscono le ragazze nei minimi dettagli. Danno loro un numero di telefono da chiamare una volta arrivate nel centro di accoglienza. Il numero è dell’ultimo anello della catena, quello che le porterà fisicamente dalla “mamam” che le ha "comprate", la nigeriana adulta che poi le costringerà a prostituirsi con ricatti e spesso con violenze e stupri "preventivi"

Il 20 agosto i carabinieri di Torino Mirafiori, in collaborazione con i colleghi di Borgo Dora, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di una nigeriana di 33anni, residente a Torino, per avere reclutato e indotto alla prostituzione due connazionali. La donna gestiva le ragazze e aveva contatti con altri soggetti, allo stato non identificati, che si trovano in Nigeria e che, verosimilmente, organizzerebbero i cosiddetti “viaggi della speranza

Le indagini dei militari che hanno portato all'arresto della donna, sono state avviate nel gennaio del 2018 in seguito alla denuncia sporta da una ragazza nigeriana che riferiva di essere arrivata in Italia nel 2016 dopo aver percorso un lungo viaggio, stipata in autobus, insieme ad altri connazionali, fino alla Libia. Giunta a Lampedusa era stata trasferita a Settimo Torinese, avvicinata da una donna, era stata fatta uscire dal centro di accoglienza (dopo aver pagato 100 euro per la fuga) poi accompagnata in un appartamento di Torino, dove era stata consegnata a una “mamam”. Era stata indotta a prostituirsi al fine di pagare un debito di 25.000 euro per la propria liberazione. I guadagni e le spese, tutte a carico delle ragazze (alloggio, preservativi, ecc..), venivano annotati su un libro mastro poi sequestrato dai carabinieri.

La vittima aveva denunciato di essere stata affidata a un "connection man", un uomo nigeriano che gestiva un centinaio di altre ragazze, e che l’aveva aiutata nel suo viaggio verso una vita che pensava "più bella". Le indagini hanno poi accertato che la "mamam" arrestata ha fornito ad almeno altre due ragazze un supporto logistico per il trasferimento dalla Nigeria all’Italia nonché un domicilio e una posto dove prostituirsi. La "mamam" usava costantemente condotte violente e minacciose. La vittima, prima di lasciare il suo villaggio nella regione di Benin City, era stata sottoposta al rito woodoo.

Il rito woodoo
Per arrivare in Italia dall'Africa hanno contratto un debito di 25mila euro. La promessa di un lavoro onesto in Europa e la prospettiva di una nuova vita vale la fatica di un viaggio ben poco confortevole e il giuramento di non rivelare mai, per nessuna ragione al mondo, il nome di chi le ha traghettate. Il giuramento va rispettato perché altrimenti su di loro e sulle loro famiglie si abbatteranno sciagure, la pazzia, la morte.

A sigillare il patto, un rito che avviene raccogliendo in un sacchetto alcuni oggetti e parti proprie delle vittime come sangue, unghie e capelli. Tutto questo fa paura e le vittime sono le tante ragazze nigeriane che una volta finite in questo incubo, faticano a vedere una via di uscita se non quella di stare sulla strada come schiave fino all'estinzione del debito.
(La Stampa)


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