lunedì 30 settembre 2019

Silvia Romano sarebbe viva nelle mani degli Al-Shabaab che l'hanno costretta ad un matrimnio islamico

Secondo gli 007 italiani i sequestratori "vorrebbero farle assimilare, sino a sentirsene parte integrante, l’ambiente dove vive, cultura islamica"

Se da un lato la notizia è positiva perché Silvia sarebbe viva, dall'altra parte c'è la certezza che è nelle mani del gruppo Al-Shabaab, terroristi islamici che in questi anni hanno destabilizzato con decine e decine di attentati la Somalia e il Corno d'Africa, gli stessi che proprio oggi hanno attaccato un convoglio militare italiano a Mogadiscio.


Silvia Romano, la cooperante italiana rapita in Kenya il 20 novembre 2018, è viva e si troverebbe in Somalia, ma sarebbe stata costretta dai rapitori "all’islamizzazione e al matrimonio islamico". Lo affermano fonti di intelligence. Gli uomini che la tengono prigioniera stanno attuando nei suoi confronti "una sorta di lavaggio del cervello, una manovra di pressione psicologica che punta a recidere i legami affettivi e culturali con la sua patria d’origine"

Vorrebbero farle assimilare, sino a sentirsene parte integrante, l’ambiente dove viene costretta a vivere

Secondo gli 007 italiani i sequestratori di Silvia "vorrebbero farle assimilare, sino a sentirsene parte integrante, l’ambiente dove viene costretta a vivere". Silvia Romano si troverebbe quindi nell'interno della Somalia, il Paese africano dove più forte è la presenza jihadista e dove intere zone, soprattutto nel Sud, sono sotto il controllo delle fazioni integraliste vicine alla guerriglia.

La ragazza si trova probabilmente tra il Sud e il Sudovest del Paese, dominato dai mujaeddin di Al Shabab, una tra le fazioni più integraliste della jihad. Rapita nel villaggio in Kenya di Chakama, 80 km da Nairobi, Silvia fu portata in Somalia poche settimane dopo il sequestro.

Silvia ha dovuto sposare un musulmano e probabilmente il marito è un uomo dell'organizzazione che l'ha sequestrata

La strategia dei jihadisti è normalmente quella di indottrinare i prigionieri di guerra in modo da puntare ad avere, dopo la liberazione, un infiltrato da utilizzare per la Guerra Santa nel suo Paese di origine. Non è facile capire quale sia lo scopo di indottrinare però una semplice volontaria che non ha contatti particolarmente significativi e importanti per i militanti della Jihad.

La strategia del matrimonio combinato, sposare colui che è stato il tuo rapitore, è la stessa usata (per esempio) da Boko Haram in Nigeria. Rapire le ragazze per poi costringerle a matrimoni con gli stessi rapitori. Simboleggia il dominio dell'uomo sulla donna, ma anche il tentativo dei rapitori di affermarsi all'interno dell'organizzazione, "voglio quella donna e la rapisco per farla diventare mia moglie, in questo modo dimostro il mio potere e le mie capacità anche all'interno del mio gruppo". Così potrebbe essere capitato anche a Silvia, rapita proprio a questo scopo, "qualcuno" che voleva a tutti i costi "avere" Silvia in moglie e per questo non ha esitato ad uccidere e a chiedere aiuto a dei terroristi.

Rapita quasi un anno fa in Kenya fu poi ceduta agli Al-Shabaab somali

Alla fine del 2018 Silvia, rapita in Kenya, fu ceduta a bande di banditi somali finendo così in un territorio in cui l'intervento occidentale è molto più difficile rispetto al Paese dove la ragazza prestava servizio di volontariato in un villaggio. Difficile pensare a un raid per liberarla. L'unica strada è quindi quella dell'intelligence, della ricerca di contatti e trattative con i rapitori, a cominciare dal pagamento di un riscatto, che pare oggi l'unica strada per la liberazione.

Il fatto che sia arrivata la notizia del matrimonio significa che è stato attivato un canale con i rapitori. Ora resta da verificare se i sequestratori la considerino una di loro e non vogliano trattare, o se si tratti di una strategia per alzare il prezzo del riscatto.

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