L’Africa è in fiamme, più dell’Amazzonia, 10.000 incendi tra Angola e Congo. Le terre arse nel continente africano rappresentano quasi il 70% dell’area bruciata del mondo.
Brucia l’Amazzonia e lo sappiamo ormai tutti. Ma ciò che abbiamo ignorato fino a oggi è che anche l’Africa è in fiamme. E da più tempo.
Congo e Angola, infatti, sono interessati da vasti incendi almeno da metà luglio. I peggiori incendi degli ultimi 15 anni, dicono gli esperti. Una catastrofe rimasta a lungo sotto traccia, a differenza di quella brasiliana, e che forse ora, spinta dai fuochi amazzonici, arriva al centro del dibattito politico.
Dai satelliti della NASA si evidenzia come il fumo sul continente africano sia visibile da molti giorni prima rispetto a quello prodotto dagli incendi in Amazzonia.
Una tragedia dimenticata, fino a oggi: “Seguiamo con molta attenzione quello che sta succedendo in Africa, aveva detto al G7 il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e abbiamo avuto uno scambio con l’Unione africana e altri Paesi. La foresta brucia anche in Africa, in Congo. Stiamo esaminando la possibilità di lanciare un’iniziativa similare (a quella proposta per il Brasile, ndr) anche in Africa”
Tra giovedì e venerdì della scorsa settimana, per esempio, solo l’Angola ha registrato 6902 incendi, la Repubblica Democratica del Congo 3395, mentre il Brasile “solo” 2127. Anche stando alle rilevazioni di Copernicus (il programma europeo di osservazione della Terra) attualmente è la regione centrafricana a registrare la maggior parte di incendi di biomasse nel mondo.
Gli incendi nell’Africa sub-sahariana rappresentano circa il 70% dell’area bruciata di tutto il mondo e la causa di questi incendi, come per l’Amazzonia, è riconducibile alle attività agricole e zootecniche, in particolare all’utilizzo della tecnica "taglia e brucia" con gli agricoltori centrafricani che utilizzano il fuoco per ripulire vaste distese di foreste o savane, rigenerare pascoli e bruciare gli scarti delle terre coltivate per prepararsi alla prossima stagione.
Gli occhi del mondo sono puntati sull’Amazzonia che brucia. Intanto, in Africa, almeno il 10% dei fuochi appiccati dai contadini che usano la tecnica del debbio, ovvero il taglia e brucia, sono diventati incontrollabili: quest’estate più di 10.000 incendi stanno distruggendo l’immensa foresta pluviale che attraversa l’Angola, lo Zambia e il sud della Repubblica democratica del Congo. Gli incendi in Brasile, in confronto, sono “appena” 2.127.
Foto Nasa. In Africa il 70% di tutte le terre bruciate del Pianeta
Agricoltura ancestrale e cambiamento climatico
Le terre arse nel continente africano rappresentano quasi il 70% dell’area bruciata del mondo. La causa principale è riconducibile a pratiche agricole e zootecniche primordiali. Contadini e pastori bruciano la vegetazione per ripulire e fertilizzare savana e foreste. Una tecnica antica che, in Costa d’Avorio ad esempio, ha portato alla perdita di tutta la parte boschiva al centro del Paese.
Lo sviluppo dell’agricoltura africana, mai avvenuto, consegna il settore primario alla semplice sussistenza delle persone: dalla mattina alla sera, uomini e donne con solo una zappa come strumento, rassodano la terra, piantano e raccolgono. Dopodiché, prima che inizi la stagione delle piogge, i campi vengono bruciati affinché la cenere fertilizzi il terreno privato dei nutrienti.
Foto Nasa. Brucia la foresta pluviale dell'Africa Sub-Sahariana
Un circolo vizioso dal quale non si riesce a uscire. Bruciare è più economico di qualsiasi altra soluzione per ripristinare i campi. E poi c’è il problema del cambiamento climatico: disastri ambientali e periodi di siccità più frequenti stanno rosicando la disponibilità di terre fertili.
Per questo subentra il bisogno di incendiare le foreste, per avere nuovi spazi coltivabili. Ma il disfarsi delle aree boschive e l’anidride carbonica liberata nell’atmosfera non fanno altro che accelerare quel cambiamento climatico di cui tanto si discute e poco si fa. Un circolo vizioso, appunto.
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