martedì 13 novembre 2018

RD Congo. Paese nel caos tra ebola e massacri. L'allarme dei Vescovi

La situazione sembra precipitare nel Paese africano, in preda ad una crisi tra le quattro peggiori del mondo. Le recenti violenze rendono difficile l’isolamento del virus.



L'ultima epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo è la peggiore nella storia del Paese

Lo afferma il ministero della Sanità, spiegando che da agosto sono morte almeno 200 persone, e sono oltre 300 gli ulteriori casi di infezione confermati. Il programma di vaccinazione ha finora interessato 25mila persone. L'attuale epidemia è la decima divampata nel Paese e la più grave dal 1976, quando venne segnalato il primo focolaio.

La tragedia in cui è precipitata la Repubblica Democratica del Congo non sembra avere fine. Il Paese, teatro di sanguinosi conflitti e scontri susseguitisi, con brevi pause, praticamente dal 1960, anno dell’indipendenza dal Belgio, è ormai sprofondato in una fase drammatica che lo fa annoverare tra le quattro peggiori crisi umanitarie in atto nel mondo accanto a Siria, Yemen e Sud Sudan.

Il momento che si appresta a vivere, prima di una tornata elettorale tra le più travagliate della sua storia (23 dicembre), presenta alcuni aspetti inquietanti. All'instabilità politica ormai perdurante da anni dovuta al rifiuto del presidente Kabila a farsi da parte, si aggiungono l’ennesima esplosione del virus Ebola (oltre duecento i decessi accertati e 300 casi confermati nelle due enormi province del Kivu settentrionale e dell’Ituri) e la situazione di violenza diffusa che sfocia spesso in veri e propri massacri in varie zone del Paese.

L’Unhcr il mese scorso ha diramato un preoccupato comunicato in cui si denuncia che «il numero degli sfollati nel Nord Kivu supera il milione, circa mezzo milione di persone sono state costrette a lasciare le proprie case solo quest’anno. Negli ultimi mesi si è verificato un brusco aumento degli abusi contro i civili e del numero di persone costrette ad abbandonare le proprie case nell'area di Beni (solo in agosto erano circa 13mila)»

«Quando è troppo è troppo!», sembrava urlare monsignor Sikuli Paluku, vescovo di Butembo-Beni, epicentro dei feroci scontri degli ultimi giorni, all'indomani dell’ennesimo massacro di una ventina di persone. «Mentre stiamo facendo ogni sforzo nella lotta contro la pericolosa e mortale malattia del virus Ebola, ci troviamo costretti ad affrontare ancora una volta, attacchi sanguinosi alla nostra popolazione di Beni»

Manifestazioni in Congo in vista delle elezioni

Sotto accusa sono tutte le forze di sicurezza. «Come è stato possibile che una simile strage si verificasse sotto gli occhi di un imponente dispiegamento delle forze armate (Fardc) e una massiccia presenza della Monusco (le forze di pace Onu)?»

Gli fa eco monsignor Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani. «Ci chiediamo chi ci sia dietro questi massacri e chi siano i perpetratori, così forti da sfidare il nostro esercito nazionale che a sua volta è assistito dalla Monusco? Terroristi? Chi beneficia di questi crimini che minacciano il processo elettorale il cui successo è la garanzia di una pace duratura nella Repubblica Democratica del Congo? Esprimiamo la nostra indignazione per l’inerzia del governo congolese e della comunità internazionale, che risultano impotenti nel porre rimedio ai massacri e ai rapimenti di esseri umani»

In tutta la zona di Butembo-Beni le attività normali sono sospese. I ragazzi non vanno a scuola, il lavoro e i trasporti procedono a singhiozzo. E si teme che da un momento all'altro si precipiti nel caos totale. Le tensioni, inoltre, rendono impossibili gli interventi di contenimento di Ebola, proprio mentre si registra una recrudescenza del virus. È Peter Salama, responsabile emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a parlare di «tempesta perfetta» per una nuova diffusione.

La situazione che peggiora di giorno in giorno, torna ad alimentare i sospetti che dietro a tali disordini, se non proprio Kabila (il presidente attuale), ci sia una strategia del caos che miri a destabilizzare un Paese già in ginocchio, allo scopo di rendere indispensabile una permanenza del presidente sulla scena politica a garanzia della sicurezza. Alcune testimonianze denunciano infatti, oltre all’acquiescenza dell’esercito dispiegato nella zona, la sospetta lentezza degli interventi se non addirittura la partecipazione di alcuni effettivi delle forze armate nei massacri.

«La Chiesa e la società civile denunciano ormai quotidianamente la situazione e la totale assenza di sicurezza, ma il governo risponde con silenzio o cinismo. Il governatore della nostra regione, ha sostanzialmente irriso i tantissimi dimostranti che gli chiedevano ragione di uno stato di terrore in cui si vive da tempo: “Davvero pensate di farci paura minacciando uno sciopero?”, ha dichiarato alla folla che se ne è andata frustrata. Ci aspettiamo che di fronte a queste prese di posizione chiare della Chiesa e della società civile le autorità si attivino per fermare i massacri. Ma vediamo che l’esercito continua a rimpallare la responsabilità delle uccisioni a milizie straniere in azione in Congo. Per conto nostro, siamo sempre più convinti, invece, che dietro a queste stragi ci sia proprio l’esercito. Ultimamente ciò è stato avvalorato anche da dichiarazioni della stessa Monusco: non è un caso, infatti, che Kabila, durante la scorsa Assemblea Generale dell'Onu a New York della fine di settembre, abbia chiesto alla Missione Onu di lasciare la Repubblica Democratica del Congo»
(Vatican Insider)

Martin Fayulu
Ieri a Ginevra i leader dei sette principali partiti d’opposizione della Repubblica democratica del Congo hanno scelto il candidato unico che correrà alle elezioni presidenziali del 23 dicembre contro il delfino del presidente Joseph Kabila, Emmanuel Ramazani Shadary.

Sorprendendo più di un osservatore, gli oppositori hanno scelto come loro rappresentante Martin Fayulu, il “terzo uomo”, rispetto ai due favoriti, Felix Tshisekedi e Vital Kamerhe.

"Un uomo che non ha mai commerciato con il potere di Kabila", secondo i suoi amici politici, "un estremista", invece, agli occhi della maggioranza presidenziale. Martin Fayulu non è molto conosciuto fuori della capitale congolese, Kinshasa, dove è nato 62 anni fa. Molto vicino alle posizioni della società civile e dei movimenti dei cittadini, Fayulu è considerato un “combattente”. Fu arrestato almeno due volte per la sua partecipazione a manifestazioni vietate dalle autorità. Anche per questo incarna in un certo senso l’ala dura dell'opposizione che non intende cedere alle principali rivendicazioni: l’esclusione del macchinario per il voto elettronico e la revisione della lista elettorale. La minaccia è il boicottaggio delle elezioni.

Dopo gli studi a Parigi e San Francisco negli Stati Uniti, è entrato a far parte del gruppo petrolifero Mobil nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) dove ha fatto carriera, fino a diventare direttore generale per l'Etiopia. Il suo impegno politico risale agli anni '90, quando partecipò alla National Sovereign Conference. Già all'epoca era nel campo d’opposizione al maresciallo Mobutu Sese Seko.

Nel paese, oltre alle elezioni presidenziali, si svolgono anche elezioni legislative nazionali e legislative delle 26 province.
(Radio France Internazionale)


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