lunedì 19 novembre 2018

Repubblica Centrafricana. Attacco ad un gruppo di rifugiati cristiani, decine di vittime

Il bilancio provvisorio è di 42 vittime, ma potrebbe salire a 100. Il massacro sarebbe stato compiuto da una frangia militare ribelle di ispirazione musulmana vicina alle milizie Seleka. Il Paese da anni è scosso dalla guerra civile.


Nell'assalto compiuto nella cattedrale di Alindao da forze ex-Seleka sarebbero rimasti uccisi anche due sacerdoti, tra i quali il vicario generale della diocesi.

Almeno 42 persone uccise, ma un bilancio che potrebbe salire anche a 100 vittime. Così si è risolto l’attacco di un gruppo di guerriglieri nella Repubblica Centrafricana ai danni di una missione in cui si trovavano dei rifugiati quasi tutti di religione cristiana. La notizia è stata diffusa dalla fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre. L’attacco è avvenuto nel compound della cattedrale di Alindao e oltre ai rifugiati sono stati uccisi anche due sacerdoti. L’eccidio sarebbe stato da forze ribelli ex Seleka: si tratta di una formazione militare anti governativa attiva fino al 2014.

Ufficialmente i Seleka si sono sciolti ma alcune frange continuano a essere attive in Centrafrica. Pur non avendo una dichiarata ispirazione religiosa, molti degli aderenti sono di religione musulmana. Si finanziano attraverso estorsioni ma anche grazie all'esportazione illegale di caffè e minerali. L’attacco sarebbe stato compiuto dalle forze ribelli del generale Ali Darassa in risposta all'uccisione di un musulmano da parte delle milizie rivali avvenuta il 14 novembre.

L’attacco ad Alindao avviene due settimane dopo quello a Batangafo che ha provocato numerosi decessi e lo sfollamento di oltre 5mila persone attualmente rifugiate negli ospedali. La Repubblica Centrafricana è scossa da anni da una feroce guerra civile. Secondo Medici Senza frontiere nel paese ci sono 690mila sfollati interni mentre altre 570mila persone sono scappati in paesi confinanti. Il tutto su una popolazione complessiva di appena 4,5 milioni.
(Vatican Insider, La Stampa)



Repubblica Centrafricana. Situazione attuale
Il Centrafrica vive ormai il quinto anno di guerra civile da quando, nel 2013, i ribelli del gruppo Seleka (che dichiarano di ispirarsi all’islam) hanno conquistato la capitale e costretto alla fuga l’allora Presidente François Bozizé. Cinque anni nei quali, nonostante i 13mila caschi blu presenti, il Paese è rimasto fondamentalmente un campo di battaglia fra milizie, gruppi armati e bande di malviventi che nel tempo si sono moltiplicati.

Il Governo controlla a malapena buona parte della capitale, Bangui (ma non tutta). Accanto all'esercito governativo (debolissimo) e ai soldati della missione Onu Minusca, sul terreno si muovono i cosiddetti gruppi Antibalaka (sedicenti cristiani e animisti), mentre le milizie di Seleka si sono spostate nelle aree Nord Orientali del Paese, delle quali continuano a mantenere il controllo.

Alla guida dello Stato, dal 30 marzo 2016, c’è il Presidente, eletto al secondo turno nel mese di febbraio, Faustin-Archange Touadéra, prendendo il testimone da Catherine Samba-Panza, l’ex sindaca di Bangui che era stata posta alla presidenza di transizione nel gennaio del 2014. Touadéra non è riuscito né a riportare la pace nel Paese né ad avviare una reale smilitarizzazione dei gruppi armati. E neppure a migliorare le condizioni disperate di una popolazione, già poverissima da ben prima del 2013. Secondo i critici, l’attuale Presidente sarebbe stato incapace di elaborare e realizzare una efficace strategia per uscire da una crisi sempre più drammatica. L’ultimo grido d’allarme, nel gennaio 2018, viene dalla la Croce Rossa Internazionale.

L’organismo umanitario ha denunciato una situazione in ulteriore peggioramento. Oltre metà della popolazione ha bisogno urgente di aiuti internazionali. L’appello della CRI è l’ultimo di una serie lanciati dalle Ong e dai missionari presenti nel Paese. Una situazione che, peraltro, non si può considerare venga descritta in tutta la sua gravità, perché vi sono intere zone del Centrafrica inaccessibili agli stessi volontari e cooperanti (nella seconda metà del 2017 diverse organizzazioni umanitarie sono state costrette a lasciare il Paese per l’estrema insicurezza nella quale si trovavano a operare).

Secondo gli ultimi dati (fine 2017) forniti dall’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu, a causa della realtà indiscriminata di violenze, i profughi interni e i rifugiati centrafricani nei Paesi vicini hanno superato il milione e 200mila (esattamente 688.700 sfollati e 542.380 rifugiati), su un totale 5,7milioni di abitanti.

Per cosa di combatte
Nella classifica dell’Onu sullo sviluppo umano, il Centrafrica risulta essere il Paese più povero del mondo (al 188° posto). Eppure, dispone di ingenti materie prime, sia del suolo che del sottosuolo. Non solo il legname delle foreste che ricoprono buona parte del territorio, ma anche diamanti, oro, petrolio, uranio. Beni che fanno gola alle potenze internazionali, le quali non a caso si contendono l’appoggio del Governo locale: Francia e Cina, ma anche l’Iran (interessato all’uranio) sono gli attori principali, che agiscono con l’appoggio locale di Ciad e Sudan.

Sono scesi dal Nord-Est, che confina con Ciad e Sudan, gli uomini armati che hanno dato origine alle milizie Seleka. Allora, nel 2013, la ragione dichiarata era la rivolta contro il Presidente François Bozizé, accusato di non aver rispettato accordi di pace che prevedevano l’integrazione nell'esercito degli ex combattenti ribelli. Bozizé poi era fuggito, le milizie Seleka avevano insediato Michel Djotodia, in seguito sostituito (a gennaio 2014) da Catherine Samba-Panza (l’unica, fra questi, votata dal Parlamento).

Oggi gli uomini della Seleka sono tornati a occupare le zone da cui provenivano, quel Nord-Est del Paese che alcuni vorrebbero rendere autonomo, dividendo lo Stato africano. Opzione mai nemmeno presa in considerazione dalla comunità internazionale, come pure dal Governo eletto nel 2016.

Va detto che in Centrafrica cristiani, musulmani e aderenti alle religioni tradizionali hanno convissuto pacificamente da secoli. Di sicuro l’eventuale divisione del Paese renderebbe più facile lo sfruttamento delle materie prime. Nel Nord-Est della Repubblica Centrafricana, in particolare nella Regione di Birao, vi sono ricchi giacimenti di petrolio.

Quadro Generale
Il Centrafrica non ha mai conosciuto una vera democrazia. Provato da decenni di malgoverno e colpi di Stato, il Paese non è mai riuscito a risollevarsi. Negli ultimi anni il Paese africano ha anche subito pressioni e instabilità causate dalle vicende politiche degli stati confinanti, Ciad e Sudan, che hanno inciso nella sua tenuta interna, totalmente impreparato a ricevere le ondate di profughi in fuga da altri teatri di guerra. L’insicurezza e il pericolo, oltre a una rete di strade per lo più disastrate, hanno impedito alle agenzie umanitarie di raggiungere le zone colpite dai combattimenti, in particolare nel Nord-Est, e di portare sostegno alla popolazione. La criminalità e il traffico clandestino di diamanti (seconda voce nelle esportazioni del Paese) contribuiscono ad aumentare la già drammatica situazione interna del Centrafrica.

La Repubblica Centrafricana è considerata come uno “Stato fantasma, secondo i report dell’International Crisis Group: il Paese avrebbe perso completamente la propria capacità istituzionale.

Il Centrafrica ha vissuto in una condizione di brutalità continua, sia prima che dopo il raggiungimento dell’indipendenza. Cinquant’anni di regimi autoritari hanno dato vita a uno Stato predatore e violento, in cui l’unica possibilità per arrivare al potere e per mantenerlo è stato il ricorso continuo alla forza. A ciò vanno aggiunte le pressioni esercitate dalla ex potenza coloniale, la Francia, che ha mantenuto legami molto stretti con i vari leader che si sono susseguiti, determinando la caduta o il ritorno di chi poteva dimostrarsi un interlocutore affidabile e garantendosi un altro Paese amico nella Regione, oltre al Ciad.

Il risultato di tutto ciò è che il 70% della popolazione vive al di sotto del livello di povertà e la condizione di emergenza umanitaria (ora particolarmente drammatica) è una costante.



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Articolo a cura di
Maris Davis


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