martedì 19 luglio 2016

Nigeria. Intervista a "Fati" per 5 mesi prigioniera di Boko Haram

"Quando quelli di Boko Haram vengono a chiedere alle ragazze? Chi di voi vuole fare un attentato suicida? Tutte si mettono a gridare e fanno la lotta per essere scelte come kamikaze"

Le parole di Fati, 16 anni, fanno rabbrividire. L'idea che bambine e adolescenti siano disposte a farsi saltare in aria fra civili innocenti è del tutto innaturale, per noi. Ma la sua spiegazione è ancora più sconvolgente. Quel comportamento non è dovuto al violento indottrinamento condotto senza sosta dai loro rapitori, ma è l'ultima, disperata chance per salvarsi.

"Non lo fanno perché hanno subìto il lavaggio del cervello. Soltanto vogliono farla finita con la violenza, gli stupri quotidiani e la fame che subiscono ogni giorno. E poi ci sono i bombardamenti continui, gli scontri a fuoco nella foresta. Più di quanto si possa umanamente sopportare". Farsi mettere addosso una cintura esplosiva diventa l'unica possibilità per sottrarsi a tutto questo.

"Se ti mettono la cintura, c'è qualche possibilità che incontri dei soldati e che tu possa gridare Ho addosso una bomba, aiutatemi!. Se sei fortunata, vengono a rimuoverla. Allora sei libera"

Fati, 16 anni, (assieme alla sorellina) per 5 mesi
prigioniera di Boko Haram. Oggi vive assieme alla mamma
nel campo profughi di Manawao, in Camerun
Fati racconta queste cose di fronte a una telecamera della CNN che la riprenda da dietro, per proteggere la sua identità. Proviene da Gulak, villaggio nello Stato di Adamawa, nel nord-est della Nigeria, la regione funestata dalle scorrerie di Boko Haram, che qui contende aspramente al governo federale il controllo del territorio. A due ore di macchina da qui c'è Chibok, la città in cui nell'aprile 2014 vennero rapite oltre 270 studentesse, episodio che diede vita alla campagna globale #BringBackOurGirls.

"Un giorno, nel nostro villaggio due uomini hanno seguito me e mia cugina fino a casa. Si sono presentati ai miei genitori dicendo che volevano sposare me e mia cugina. Abbiamo tentato di opporci, dicendo che eravamo troppo giovani per sposarci, ma quando hanno tirato fuori le armi abbiamo capito tutto. Erano gente di Boko Haram. Non abbiamo avuto scelta e siamo dovute partire con loro"

La ragazza, ancora quattordicenne, dovette acconsentire a un "matrimonio forzato" con uno dei due rapitori e seguirlo nella foresta, dove i guerriglieri jihadisti conducono la loro lotta contro le forze regolari di Nigeria e Camerun. Racconta di avere conosciuto lì anche diverse delle studentesse rapite a Chibok e mai più liberate. "Tutte le ragazze piangevano ed erano terrorizzate. E loro ci violentavano, tutte quante"

Per salvarsi Fati non ha dovuto passare per la roulette della cintura esplosiva. Un giorno, nell'ottobre 2015, la pattuglia dei suoi rapitori è stata intercettata dai militari camerunesi, nella zona di confine con la Nigeria. I miliziani di Boko Haram sono stati arrestati e lei è stata mandata al campo profughi di Minawao, in Camerun. Il suo rapimento è durato 5 mesi.

A Minawao, Fati è stata riunita a sua mamma Mariam e alla sorellina, di appena 8 mesi. Ogni giorno viene a trovarla un'assistente sociale di ALDEPA (Action Local pour Le Développement Participatif et Autogéré), un'organizzazione non governativa locale sostenuta dall'UNICEF.

Nel 2015 Boko Haram ha utilizzato minorenni in ben 44 attentati suicidi, 11 volte di più rispetto all'anno precedente. In tre quarti dei casi, le vittime erano bambine o ragazze. Con 21 attentati sul suo territorio, il Camerun ha superato addirittura la Nigeria per numero di episodi.
(Guarda l'intervista nel sito della CNN)



Boko Haram, escalation di attentati suicidi con bambini. Secondo i nuovi dati resi pubblici dall'UNICEF, il numero di bambini coinvolti in attacchi suicidi in Nigeria, Camerun, Ciad e Niger è drasticamente aumentato nell'ultimo anno, passando dai 4 casi del 2014 ai 44 del 2015. Oltre il 75% delle vittime sono ragazze.

A due anni dal rapimento di oltre 200 ragazze a Chibok, il rapporto "Beyond Chibok" mostra trend allarmanti in 4 paesi colpiti dalle azioni terroristiche del gruppo Boko Haram. Tra gennaio 2014 e febbraio 2016, il più alto numero di attacchi suicidi che hanno coinvolto bambini è stato registrato in Camerun (21), seguito da Nigeria (17) e Ciad (2).

Negli ultimi due anni, circa un quinto delle persone che si sono fatte esplodere erano minorenni. Nel 2015 i bambini sono stati utilizzati nel 50% degli attacchi kamikaze in Camerun, in 1 attentato su 8 avvenuto in Ciad e in 1 su 7 in Nigeria.

L'anno scorso gli attentati suicidi con esplosivo di Boko Haram si sono espansi per la prima volta al di fuori dei confini nigeriani. La frequenza degli attentati è aumentata da 32 nel 2014 a 151 lo scorso anno. Nel 2015, 89 di questi attacchi sono avvenuti in Nigeria, 39 in Camerun, 16 in Ciad e 7 in Niger.

"Deve essere chiaro che questi bambini sono vittime, non esecutori consapevoli" sottolinea Manuel Fontaine, direttore UNICEF per l’Africa Centrale e Occidentale. "Ingannare i bambini e costringerli ad atti suicidi è una delle forme più orribili di violenze perpetrate in Nigeria e nei paesi vicini"

"Beyond Chibok" è un rapporto che analizza l’impatto che il conflitto ha sui bambini nei 4 paesi colpiti da Boko Haram:
  • Circa 1,3 milioni di bambini sono stati sfollati.
  • Circa 1.800 scuole sono chiuse, perché danneggiate, saccheggiate, bruciate o utilizzate come rifugi per gli sfollati.
  • Oltre 5.000 bambini sono rimasti orfani o separati dai loro genitori.
L’utilizzo deliberato di bambini in attentati con esplosivo ha creato un’atmosfera di paura e diffidenza che sta avendo conseguenze devastanti per le ragazze sopravvissute alla prigionia e alla violenza sessuale di Boko Haram nel Nord-est della Nigeria.

Profughi e sfollati nigeriani
Chi è evaso o è stato rilasciato da un gruppo armato viene spesso visto come una potenziale minaccia per la sicurezza, come ha evidenziato la recente indagine "Bad Blood" condotta da UNICEF e dall'ONG International Alert. Anche i bambini nati a seguito di una violenza sessuale subita dai miliziani subiscono stigma e discriminazione nei villaggi, nelle comunità ospitanti e nei campi per sfollati.

"Gli attacchi suicidi con impiego di bambini stanno diventando sempre più frequenti. Molte comunità cominciano a vedere i bambini come una minaccia per la propria sicurezza. La diffidenza nei confronti dei bambini può avere conseguenze tragiche. Come può una comunità ricostruirsi se rifiuta i propri fratelli, le proprie sorelle, figli e madri?"

L’UNICEF aiuta le comunità e le famiglie in Nigeria, Ciad, Camerun e Niger a combattere lo stigma rivolto a chi è sopravvissuto alle violenze e fornire un ambiente sicuro a chi era stato rapito. Insieme alle organizzazioni partner, l’UNICEF garantisce a questi bambini acqua potabile, servizi igienici, cure mediche, istruzione (anche attraverso la creazione di spazi temporanei per l’apprendimento), sostegno psicologico e distribuzione di alimenti terapeutici per quelli affetti da malnutrizione.

Purtroppo gli interventi scontano ancora un grave problema di finanziamenti. Per quest’anno, l’UNICEF ha ricevuto solo l’11% dei 97 milioni di dollari necessari per la risposta a questa crisi umanitaria.
(Fonte: UNICEF)

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