Le vittime erano bambini piccolissimi, perfino un bebè di 8 mesi. Molte delle piccole vittime non sono sopravvissute alle sevizie.
Nelle province del lago Kivu, nella parte orientale della R.D. del Congo, lo stupro è l’orrenda caratteristica del lungo conflitto che oppone i gruppi ribelli alle forze di pace dell’Onu (la settimana scorsa sono stati massacrati 14 caschi blu) e agli eserciti congolese, ruandese e ugandese.
Fino a qualche anno fa, le violenze sessuali erano dirette soprattutto contro le donne, ed erano “stupri di gruppo”, ossia perpetrati da più soldati su una sola vittima. Di solito, l’ultimo dei carnefici del branco infila nella vagina della vittima una manciata di chiodi o della sabbia. Accadeva e ancora accade ogni volta che uno dei 120 gruppi armati che funestano quella regione conquista un villaggio.
L’ospedale Panzi di Bukavu, specializzato in ginecologia e chirurgia ricostruttiva, riceve anche 150 donne al giorno vittime di stupri. Sono quelle che sopravvivono alla violenza e che dalla foresta riescono ad arrivare fin lì. Nel 2014, il direttore dell’ospedale, il dottor Denis Mukwege, che i congolesi chiamano “l’uomo che ripara le donne”, è stato finalmente insignito del premio Sakharov, sorta di premio Nobel per la Pace del Parlamento europeo. Da quando lo fondò, nel 1998, al Panzi sono stati ricuciti i corpi mutilati di oltre 40mila donne, vittime di una guerra dimenticata che da due decenni insanguina quella regione.
Più di recente i miliziani hanno cominciato ad accanirsi sui bambini. I ribelli condannati all'ergastolo, tutti appartenenti all'Esercito di Jesù, se l’erano presa con una quarantina di piccoli, il più giovane dei quali aveva 8 mesi, nel villaggio di Kavumu, vicino alla frontiera ruandese. Almeno due di questi bambini sono morti per le conseguenze degli stupri.
A capo dei ribelli condannati c’è un deputato provinciale, Frédéric Batumike, arrestato nel giugno 2016. L’accusa contro di lui era quella di aver assoldato uno stregone «che consigliava ai soldati di stuprare i bambini più piccoli per assicurarsi una protezione sovrannaturale»
La sentenza del tribunale militare è stata letta in una sala dove erano presenti oltre ai componenti delle parti civili anche dagli operatori delle ong che da anni si battono contro le violenze sessuali in quella vasta regione del Congo. «Fino a qualche anno fa, un tale processo sarebbe stato impensabile», ha detto il portavoce dell’organizzazione Physicians for Human Rights. «Per troppo tempo i responsabili degli stupri si sono creduti invincibili, ma questo verdetto dimostra che l’impunità non è più inevitabile»
(La Repubblica)
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