martedì 8 gennaio 2019

Burundi. Depositati alla Corte Penale Internazionale 1700 dossier per violazione dei diritti umani

Le famiglie delle vittime di esecuzioni extragiudiziali e di altre violenze, compiute dall'aprile 2015 ad opera delle forze dell’ordine e delle milizie del presidente Nkurunziza, hanno chiesto alla Corte Penale Internazionale di individuare e punire i responsabili.


Durante una conferenza stampa organizzata alla fine dello scorso anno a Bruxelles dalla diaspora burundese, dalla società civile e da personalità politiche in esilio, un collettivo di avvocati di famiglie di vittime di esecuzioni extragiudiziali ha reso noto che più di 1.700 dossier sono stati depositati davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI).

Tutti i casi riguardano la repressione attuata dalle forze di sicurezza burundesi e dalle milizie Imbonerakure, che fanno capo al partito al potere del presidente Pierre Nkurunziza, a partire dall'aprile 2015, quando sono iniziate le proteste contro il terzo mandato presidenziale consecutivo (non previsto dalla Costituzione) di Nkurunziza.

Armel Niyongere, uno degli avvocati e direttore dell’ong Sos Torture Burundi, ha spiegato che i consigli delle famiglie delle vittime hanno messo a punto un meccanismo tale da garantire l’anonimato di coloro che denunciano e il segreto delle loro fonti. E ha aggiunto che lo scopo dell’azione è di favorire le inchieste del procuratore della CPI, Fatou Bensouda, e di stabilire la catena delle responsabilità dei crimini compiuti.

Secondo un altro avvocato, Bernard Maingain, in molti casi le vittime conoscevano l’identità di coloro che hanno compiuto le violenze. E anche gli avvocati delle vittime sono in possesso di informazioni precise sulle circostanze in cui sono accaduti i fatti.

I dossier presentati appaiono così solidi che non pochi membri dell’apparato poliziesco, giudiziario e militare del Burundi hanno accettato di collaborare con il procuratore della Corte Penale Internazionale

L’avvocato Niyongere, nell’evocare la scoperta di fosse comuni, ha spiegato che il fatto che il Burundi si sia ritirato dalla CPI il 27 ottobre 2017 non avrà alcun effetto sulla procedura e che la Corte rimane competente per tutti i crimini commessi dal 1° dicembre 2004 al 27 ottobre 2017. Il procuratore ha scelto i crimini perpetrati dall’aprile 2015.

Casi di torture, di incarcerazione arbitraria, di violenze sessuali e di sparizioni

Le autorità burundesi hanno intrapreso azioni legali nella capitale Bujumbura contro il collettivo degli avvocati, accusandoli di complicità in un colpo di stato e chiedendone l’arresto. Da parte sua, il collettivo degli avvocati ha messo in causa l’atteggiamento del procuratore generale del Burundi, Valentin Bagorikunda, davanti al procuratore della CPI per «ostacolo alla giustizia». Bagorikunda, in un comunicato, ha velatamente minacciato 60 famiglie di querelanti se avessero affidato le loro denunce a degli avvocati con l'obiettivo di fare giustizia.

Il collettivo degli avvocati, a sua volta, ribatte accusando il procuratore generale di non aver nemmeno aperto i dossier dei loro clienti che gli erano stati inviati, e che sono poi quelli sottoposti al vaglio della CPI.

Tutto è iniziato nel 2015 quando il presidente in carica Pierre Nkurunziza si è candidato alle elezioni presidenziali per il terzo mandato andando contro la costituzione che prevede un massimo di due mandati (10 anni). Seguì una serie manifestazioni popolari organizzate dalle opposizioni che vennero represse nel sangue.

Da allora tutta una serie di violazioni dei diritti umani, oggi documentati nei 1.700 dossier presentati alla Corte Penale Internazionale di Bruxelles.

In questi anni, secondo l'Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR) le repressioni e le violenze del regime hanno costretto alla fuga oltre 400.000 persone.

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Articolo a cura di
Maris Davis


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