mercoledì 13 giugno 2018

Ecco quanti migranti stanno arrivando nel 2018. E non sembra un'invasione


Tra giugno 2014 e giugno 2017 sono arrivate via mare in Italia 550 mila persone, la gran parte proveniente dall'Africa sub-sahariana, Nigeria ed Eritrea i paesi di origine più rappresentati, su imbarcazioni partite dalla Libia. 

Da luglio 2017 la frequenza degli arrivi è calata sensibilmente, come effetto degli accordi che Italia e Unione Europea hanno stretto con la Libia e con altri paesi di transito dei migranti, come il Niger.

Lo stesso meccanismo era già stato adottato con i profughi siriani, afghani e iracheni che fino a marzo 2016 entravano in Europa dalla Turchia. Più di un milione in un anno, cifra che ha convinto l’Europa a versare sei miliardi di euro nelle casse turche in cambio della chiusura dei confini.
  • Cosa sta succedendo nel 2018?
  • L’accordo con la Libia regge?
  • Continueranno i programmi europei nei paesi africani per limitare le partenze?
  • Che effetto avranno nel medio-lungo periodo?

I numeri in Italia

Secondo i dati Unhcr, tra il 1° gennaio e il 31 maggio 2018 sono sbarcate in Italia 13.313 persone. Gli arrivi sono in crescita rispetto a inizio anno, ma siamo ben lontani dai numeri del 2017 (60 mila arrivi tra gennaio e maggio), 2016 (47 mila), 2015 (48 mila). Un calo dunque sensibile, il 78% in meno rispetto al periodo dello scorso anno.

Tra i paesi di provenienza il più rappresentato è la Tunisia (circa 1.900 persone, 21% del totale) seguito da Eritrea (1.800 persone, 20%), Nigeria (8%), Sudan e Costa d’Avorio (6%). Seguono Pakistan, Mali e Guinea.

Rispetto ai mesi precedenti sono meno presenti i paesi dell’Africa occidentale (Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Guinea, Gambia), mentre il dato più significativo è la crescita degli arrivi dalla Tunisia, che arriva ad essere il paese più rappresentato nel 2018. Pur con alti e bassi, l’arrivo di persone tunisine è un fenomeno che ha ormai una sua consistenza da settembre 2017.

Il 70% delle persone arrivate sulle coste italiane è di sesso maschile, le donne sono il 12%, i minori il 18%, in gran parte non accompagnati.

Interessante notare che mentre lo scorso anno il 97% delle imbarcazioni era partito dalla Libia, nei primi quattro mesi del 2018 questa percentuale è al 72%. Cresce invece la percentuale di partenze dalla Tunisia, che raggiungono ora il 21%.

I numeri in Europa
Se consideriamo gli sbarchi su tutte le coste europee, tra il 1° gennaio e il 31 maggio 2018 sono arrivati via mare in Europa circa 35 mila migranti. 11.278 sono sbarcati in Grecia e 10.639 in Spagna.

Fino ad ora quindi gli arrivi nei tre paesi di primo approdo quasi si equivalgonoIn Grecia arrivano soprattutto siriani (43%) e iracheni (23%) che sfuggono alle maglie del controllo turco. In Spagna il numero delle persone in arrivo, in parte via mare e in parte via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco, è aumentato passando dagli ottomila del 2016 ai 22 mila del 2017. Il trend sembra continuare a inizio 2018, con una crescita significativa proprio a maggio.

Strategie politiche
Il tema migrazioni è in cima all'agenda politica e all'attenzione dell’opinione pubblica europea da ormai quattro anni e non accenna a perdere rilevanza. Moltissime sono le questioni poste, proposte, affrontate, risolte, fallite in questo tempo.

L’Unione Europea fatica a trovare una politica comune e ogni stato sembra badare più ai propri interessi e tornaconti elettorali che all'interesse comune europeo e globale.

Gli stati mediterranei, Italia e Grecia soprattutto, sono alle prese con una prima accoglienza che, a causa della chiusura delle frontiere interne all'Europa e dell’assurdo regolamento di Dublino, diventa un’accoglienza di lungo periodo che genera molti malumori e molti disagi, innanzitutto per i migranti.

Gli stati del centro-nord Europa, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, accolgono già grandi numeri di richiedenti asilo e rifugiati e non sembrano disposti ad accoglierne altri, definendo quote e chiudendo confini.

Gli stati dell’est Europa mostrano un atteggiamento di chiusura totale, rifiutando di accogliere anche numeri minimi di richiedenti asilo, come dimostra la rigidissima gestione delle frontiere in Ungheria.

L’unica linea che sembra mettere tutti d’accordo è quella di lasciare fuori dall'Europa il maggior numero possibile di migranti. È una strategia che ha funzionato con l’accordo con la Turchia, che da un anno e mezzo funge da barriera per i migranti siriani, iracheni, afghani, pakistani e che sta funzionando anche con la Libia, nonostante la traballante situazione politica del paese nord africano.

È una linea molto pragmatica che mette in secondo piano la questione umanitaria.

È stato ampiamente documentato come la Libia sia un posto infernale per i migranti, vittime di torture, violenze, stupri, ricatti

Ancora più a monte della Libia, l’Italia e l’Unione Europea sono molto attive in Niger, per due motivi. Primo, non vogliono che altri migranti entrino in Libia. Ciò renderebbe meno strategici gli accordi con un paese instabile e molto frammentato come la Libia, oltre a lavare un po’ di coscienze evitando che le persone finiscano nei terribili centri di detenzione libici. Il controllo di questa “nuova frontiera europea” si sta rivelando però molto problematico. Secondo, vogliono raccogliere le domande di asilo direttamente in Niger, e che il Niger accolga temporaneamente i migranti mentre questi attendono l’esito delle loro domande.

I problemi però non mancano
L’economia del Niger, per molto tempo basata sui servizi connessi al transito dei migranti, è in ginocchio, nonostante gli investimenti europei per la ricollocazione lavorativa di chi operava nel settore, e i presunti vantaggi dei programmi europei ancora non si vedono.

La strategia europea di esternalizzare il controllo delle frontiere a sud della Libia è dunque piena di insidie, e di conseguenze imprevedibili sul medio-lungo periodo, in un paese, il Niger, tra i più poveri al mondo e non estraneo ai richiami del fondamentalismo islamico.

In Turchia i migranti esclusi dall'Europa, in gran parte siriani, vivono un crescente sentimento di ostilità da parte della società turca, già sfociata in episodi di violenza, ma che si manifesta anche in inevitabili difficoltà di integrazione nel medio periodo, con scarse prospettive educative e occupazionali e la sensazione di vivere una vita sospesa tra la patria perduta e quell'Europa meta irraggiungibile del progetto migratorio di molti di loro. Tanto che alcuni stanno ritornando in patria, nonostante la totale mancanza di sicurezza.

Attraversare il Mediterraneo è diventato sempre più pericoloso, dalle 37 morti ogni 10 mila persone del 2015 alle 180 del 2017. Decine di migliaia di persone sono intrappolate nei confini interni dell’Europa, in Grecia, Bulgaria, Serbia, Italia stessa, in condizioni in alcuni casi disumane. Delle situazioni che i migranti vivono in Libia e Turchia abbiamo già detto.

Il 2018 vede quindi un’Europa sempre più impegnata a contenere i flussi di migranti in arrivo, con ulteriori sviluppi nei suoi interventi diretti nei paesi africani, a partire dal Niger, e il rafforzamento della cooperazione con la Turchia per impedire l’accesso al continente ai profughi siriani, afghani e iracheni.

L’Italia intanto si è espressa in maniera contraria alla riforma del regolamento di Dublino proposta dalla presidenza bulgara del Consiglio europeo, così come Spagna, Germania, Austria, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. Contrarie per motivi opposti, da un lato il paesi dell'est Europa che non vogliono immigrati in assoluto e dall'altro chi vorrebbe un redistribuzione più equa.

La proposta bulgara era in effetti molto blanda rispetto alla bozza iniziale elaborata dal Parlamento europeo, che proponeva un superamento integrale del principio del primo paese d’ingresso per sostituirlo con un meccanismo di ripartizione dei migranti in arrivo sulle coste mediterranee.

Nella pratica sarebbe cambiato poco, con un meccanismo di ripartizione per quote che sarebbe scattato solo nei momenti di pressione migratoria intensa, e comunque gli stati avrebbero potuto rifiutarsi di aderire versando in cambio dei contributi monetari.

La bocciatura di questa seppur blanda riforma è tuttavia un segnale politico importante

L’Europa si è mostrata ancora una volta spaccata, e l’esito più probabile è che tutto rimanga com'è ora, con il regolamento di Dublino pienamente in funzione, i migranti che devono chiedere asilo nel primo paese d’ingresso e un meccanismo di quote di ripartizione volontario, confuso e inefficace.

E l'Italia, con il nuovo governo, ha subito mostrato i muscoli e per puro calcolo politico non ha esitato ad abbandonare a se stessi 629 migranti appena salvati dalla nave Acquarius di Medici Senza Frontiere tra cui 123 minori e 7 donne incinte.

I numeri, almeno per questo inizio di 2018, NON parlano di "invasione", e nemmeno parlano di emergenza, eppure non si è esitato un solo attimo ad abbandonare a se stesse persone in difficoltà, provate da torture, stupri e fame, e in viaggio chissà da quanti mesi, forse in viaggio da anni.

No, non è questa l'Italia che voglio. Non, non è questa l'Europa che che ho sempre immaginato. Per i migranti che arrivano in Europa prevedo tempi difficili

Un Paese diventa incivile quando mette la politica al di sopra delle vite umane




Articolo a cura di
Maris Davis


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